Kurt Cobain. Il Male oscuro

5 marzo 2005, "Babilonia", n. 122, maggio 1994 con il titolo "Il Male oscuro"

Eccomi qui a scrivere un altro necrologio. (...)

Stavo finendo un articolo sui Nirvana e la loro recente tournée italiana quando la notizia del suicidio del cantante ventiseienne Kurt Cobain mi ha raggelato da un frettoloso annuncio televisivo.

Si è sparato alla testa dopo che il 4 marzo scorso era scampato ad un tentato suicidio, con Roipnol e champagne, in un hotel romano.

Solo una settimana prima l'avevo potuto ascoltare a Milano per la promozione dell'ultimo LP In utero.

Migliaia di ragazzi, un trionfo. Questo è stato il suo ultimo concerto in assoluto.

A Seattle, col suo gruppo, creò un nuovo sound composto di sonorità prese a prestito da rock, metal e punk che in seguito venne ribattezzato grunge.

Cobain prese dal pensiero punk tutta la sua attitudine anarcoide unendola alle pulsioni incontrollate di un mal de vivre tutto americano.

Fu un iconoclasta fino in fondo. Antisociale fin da bambino, finì per essere arrestato all'età di diciotto anni per aver scritto ovunque con lo spray scritte dal tono: «Dio è gay», «Abortisci Cristo», «Il sesso omosessuale è meglio».

Cobain dovette combattere una battaglia personale contro il machismo in cui fu costretto a crescere nella provincialissima Aberdeen. Fu etichettato da tutti come omosessuale per il suo apparire diverso.

Quando divenne famoso si prese a cuore la sorte dei gay. Pochi mesi fa aveva dichiarato: «Ho anche pensato d'essere gay. Ho pensato che questo mio stato omosessuale fosse la soluzione a tutti i miei problemi durante gli anni scolastici. Lo pensavo solamente e mi confrontavo con i miei amici gay. Poi mia madre mi emarginò perché odia i gay. Ero distrutto: avevo finalmente trovato delle amicizie maschili che mi apprezzassero per quello che ero e avevo perduto mia madre per sempre».

Acerrimo nemico dei rockers inneggianti all'intolleranza, finiva per urlare al pubblico che se tra loro ci fosse stato qualcuno che odiava gli omosessuali, la gente di diverso colore o le donne non avrebbe più dovuto andare ai concerti dei Nirvana o comprare i loro dischi. Acclamato e idolatrato, dopo il successo del disco Nevermind nel 1991, aveva finito per scandalizzare tutti baciando gli altri membri del suo gruppo, in diretta TV, al Saturday Night Live o partecipando ai numerosi benefits a favore dei gay.

Tutto ciò poteva appartenere ad un anticonformismo tipico britannico, ma mai era accaduto negli Usa.

Rifacendosi ad un tradizionale atteggiamento del rocker con i "coglioni", che sa di poter giocare anche sull'ambiguità, per poter riscaldare maggiormente l'animo dei fans, Kurt Cobain non esitava a mettersi capi d'abbigliamento femminili e addirittura apparve in copertina di The Face inglese dello scorso settembre con un vestito di cotonina a fiori. Sull'ultimo disco appare il brano All apologizes che finisce con la frase significativa: What can I say? Everyone is gay.

Un altro pezzo, composto con il cantante dei R.E.M. Michael Stripe, dal titolo Rape me ("Stuprami") parla di un rapporto sado-maso hard tra uomini.

Brani immortali scritti col cuore e cantati con tutta la rabbia che Kurt aveva in corpo. Distrutto da un periodo di tossicodipendenza, afflitto dalla difficile situazione del suo matrimonio con Kurtney Love e attanagliato da un persistente, quanto misterioso, dolore allo stomaco, Kurt Cobain alla fine è crollato.

Rileggendo le sue interviste ci si accorge che i riferimenti al suicidio sono sempre stati presenti. Inquietante è addirittura una celebre foto che lo vede scherzare con una canna di fucile in bocca.

Per allontanare lo spettro, di questo desiderio di autodistruzione, decise di togliere dall'ultimo disco il brano I hate myself and I want to die.

Macabro modo di salutarci quello di Kurt.

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