Emanuel Valk

30 marzo 2005

Era il 17 giugno del 1730.

Tutto si sarebbe aspettato il Emanuel Valk, che pieno d'entusiasmo aveva preso servizio come pastore in una nuova congregazione appena un mese prima, meno che di sentirsi sospettato del "nefasto crimine" di sodomia.

Valk era un membro della Chiesa Riformata d'Olanda, la confessione cristiana più diffusa nei Paesi Bassi. Era nato ad Amsterdam nel 1697, aveva studiato teologia a Leida, ed il 2 novembre 1723 aveva superato gli esami che gli avevano garantito, il 21 dello stesso mese, l'incarico della cura delle anime di Velsen fino a quando, il 14 maggio del 1730, venne trasferito a Vianen.

Dove cominciarono i suoi guai.

Non aveva fatto nemmeno in tempo ad ambientarsi nella nuova parrocchia, che il Consiglio della sua vecchia Chiesa si riunì, lo convocò, gli mosse delle accuse, e il 17 giugno (appunto!) gli vietò di predicare.

Cos'era successo?

Qualcuno aveva messo in giro la voce che il prete aveva sedotto un domestico, nella sua vecchia sede di Velsen.

Si trattava di un'accusa grave. Nell'Olanda del Settecento, era in vigore la Lex Carolina, il Codice Penale redatto da Carlo V nel 1532 con il nome di Constitutio Criminalis Carolina (Peinlich Gerichtsordnung), che all'art. 116 era piuttosto chiaro sul tipo di pena da imporre ai sodomiti: «Quelle persone coinvolte in condotta lasciva, sia uomo con uomo, che donna con donna, o essere umano con animale, perderanno la loro vita bruciando sul rogo»[1].

Del resto, proprio allora l'Olanda stava attraversando un periodo di cupa omofobia: il 21 luglio di quello stesso 1730, un ordine scritto delle autorità ricordava alle popolazioni che la pena per il peccato di sodomia era e restava la morte. Un terzo del documento si dilungava in citazioni bibliche, appelli all'Onnipotente, interpretazioni della volontà divina (la parola "Dio" veniva ripetuta sei volte nel solo preambolo!), il resto elencava sei deliberazioni che specificavano chi, come, quando e perché andava giustiziato, e che farne dei resti... Dopodiché, in una serie di retate, vennero arrestati 250 sodomiti in pochi giorni.

Solo di 157 sono rimasti i documenti che raccontano la sorte orribile loro riservata: 1 fu marchiato a fuoco, 2 decapitati, 2 affogati in una vasca piena d'acqua, 3 morirono in prigione, 4 vennero impiccati e poi bruciati, 5 condannati a varie pene detentive, 5 strangolati, 8 scottati e poi strangolati, 11 impiccati, 25 strangolati e poi bruciati, 91 esiliati, mentre dei rimanenti 93 non si sa bene che fine abbiano fatto.


Valk, nel frattempo, era tornato ad Amsterdam, presso i genitori, per far visita al padre ammalato. Aveva saputo che si stava imbastendo una causa contro di lui, e quel viaggio nella grande città poteva anche apparire come una fuga, un volersi sottrarre alle sue responsabilità e a un giudizio che, di solito, era particolarmente vergognoso ed umiliante per tutti coloro che ne restavano coinvolti.

E, forse, sarà stata proprio questa la sua intenzione, visto che partì, come dicono le cronache, "sulla propria carrozza", accompagnato dalla moglie e perfino da alcuni amici.

Resterà ad Amsterdam per ben sei settimane; nel frattempo si rivolse a qualcuno per avere un consiglio qualificato sulle mosse da fare. I suoi legali lo rassicurarono dicendo che le prove contro di lui sembravano insufficienti, e che poteva continuare a mantenere il suo incarico di pastore. Ma non se la sentì, e preferì dare le dimissioni, scrivendo ai superiori ed al Consiglio della Chiesa di Vianen.

Valk scrisse anche un documento in propria difesa nel quale respingeva le accuse di essere dedito al "malevolo vizio".

Durante la riunione del 17 giugno, convocata dal Consiglio della Chiesa di Vianen, uno dei consiglieri, Lentfrinck, si lamentò che nel villaggio stava circolando una petizione a favore del prete, promossa dal farmacista Augustus Sagittarius. I firmatari si auguravano che Valk mantenesse il presbiterio, visto che avevano tratto vantaggio dalle sue prediche e volevano continuare ad ascoltarlo. Però, a sopresa, durante il dibattimento, saltò fuori che la petizione se l'era scritta lo stesso pastore! Il Consiglio condannò il farmacista a non potersi avvantaggiare dei servizi della Chiesa, e gli vietò la comunione: condanna che, all'epoca, equivaleva a poco meno della morte sociale!

Quando Valk ritornò a Vianen da Amsterdam, venne convocato presso il Comune, dove gli venne intimato di non predicare fino a quando non avesse dimostrato la sua innocenza. Il 24 ottobre successivo, anche il Presbiterio gli vietò di parlare dal pulpito o in pubblico. A questo punto, il pastore chiese di poter consultare gli incartamenti che lo riguardavano e, nonostante l'opposizione del tribunale, finì per vedere soddisfatta almeno questa richiesta. Così, dopo una lunga battaglia legale, il 3 luglio del 1731, gli fu consegnata una copia di tutto quello che era stato raccolto contro di lui.

Valk aveva detto in giro che le leggi contro la sodomia e l'adulterio avevano un "sapore ebraico" e, dopotutto, che non si trattava di crimini così gravi. Inoltre, saltò fuori che il 5, il 7 e il 12 luglio dell'anno precedente (1730), tre testimoni avevano deposto contro di lui, ed erano stati questi i fatti decisivi che avevano fatto scattare la denuncia nei suoi confronti per il "crimine perverso" praticato durante il suo ministero a Velsen.

L'atto sessuale era stato commesso con Dirk de Zoete, un domestico al servizio del Signore di Velsen, Gerrit Corver, ex-Sceriffo di Amsterdam.

Il 30 giugno 1730, il domestico era stato interrogato ed aveva negato le accuse. Questo fatto aveva indignato il magistrato ed il Consiglio di Velsen, che lo aveva sospeso per sei settimane, e poi per ulteriori otto giorni.

Ma, visto che la voce si era ormai sparsa in giro, altri testimoni si presentarono per confermare che, in effetti, il servitore de Zoete aveva proprio raccontato che il pastore Valk aveva fatto con lui il "peccato abominevole". Più tardi, il domestico aveva lasciato la moglie ed aveva fatto perdere le sue tracce (8 luglio 1730).

In realtà, un altro testimone aveva dichiarato, il 20 settembre 1730, che de Zoete era entrato una sola volta nella canonica di Velsen in cui viveva Valk, e non aveva visto accadere nulla di male.

In base a tutti questi documenti, il 9 luglio 1731 Valk veniva convocato a Dordrecht, dove gli fu imposto di dare le dimissioni dal suo ufficio di pastore e di consegnarsi alle autorità civili per rispondere delle accuse mosse contro di lui.

Così, il successivo 19 agosto, Valk scrisse le sue lettere di dimissioni e, credendo di aver finalmente chiuso tutta la faccenda, si trasferì a vivere a Utrecht. Ma il Tribunale Civile di Vianen non lo aveva dimenticato, e lo convocò varie volte, senza risultato, fino a quando si rivolse al Tribunale di Utrecht chiedendone l'arresto.

Infine, ufficialmente accusato di sodomia il 27 agosto 1731, venne condannato il successivo 19 novembre, in contumacia. Le sue proprietà furono confiscate e lui condannato all'esilio perpetuo.

Qualche mese più tardi, Valk si rifece vivo a Utrecht, convinto dai suoi legali di essere ormai in salvo perché il Tribunale di Vianen lì non aveva giurisdizione. Ma si sbagliava. Il 10 luglio 1732, lo sceriffo, accompagnato da 4 funzionari, lo arrestava e lo trasferiva in prigione. Quello stesso pomeriggio, alle 3:00, s'insediava una speciale commissione del Tribunale, mentre lo sceriffo di Vianen si precipitava in città per prenderlo in custodia e riportarlo a Vianen.

Il viaggio fu, intenzionalmente, molto umiliante. La carrozza era scoperta per far sì che tutti lo potessero vedere. Addirittura, dicono le cronache, parecchia gente venne perfino dalle campagne circostanti, su chiatte, carri o a piedi, per godersi lo spettacolo.

In un libello intitolato Breve Storia Legale (Kort Histories Verhall), l'autore ironizzava sul fatto che Valk era stato accompagnato lungo tutto il viaggio da Utrecht a Vianen da una serenata suonata in suo onore con pentole, padelle e corni!

Il successivo 14 luglio, un lunedì, venne ascoltato dal Tribunale di Vianen.

Il 16, esasperato e terrorizzato dall'incubo che stava vivendo in prima persona, si tolse la camicia, l'avvoltolò su se stessa per darle maggiore consistenza, l'appese alle sbarre della porta che chiudeva la sua cella, e ci s'impiccò.

Il suicidio venne interpretato come un'ammissione di colpevolezza e, in base al paragrafo 4e del decreto del 21 luglio 1730[1], il successivo 19, un sabato, venne "trascinato attraverso la città in un carro a due ruote, la testa penzolante contro il terreno", poi messo su di un battello e portato fino al mare. Lì, finalmente, venne gettato in acqua, affinché non restasse traccia, né del corpo, né della memoria della nefandezza che aveva compiuto&

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