Charlotte Wolff

17 luglio 2005, "Babilonia", ottobre 2004

Particolari ricorrenze della vita di uno scrittore o di una scrittrice, come compleanni o assegnazioni di premi, rappresentano per molti editori un'ottima occasione per recuperare tesori letterari nascosti e renderli fruibili al grande pubblico.

A marzo di quest'anno, Christa Wolf, una delle più autorevoli rappresentanti della letteratura contemporanea tedesca, ha compiuto 75 anni. La sua casa editrice, la Luchterhand Literaturverlag di Monaco di Baviera, ne ha approfittato per pubblicare un toccante scambio epistolare tra l'autrice e la dottoressa e psicologa Charlotte Wolff (1897-1986), pioniera degli studi inerenti la bisessualità e l'omosessualità femminile.

Ciò che è nato come uno splendido omaggio all'autrice di Cassandra, 1983, e di Nessun luogo. Da nessuna parte, 1979, oltre che svelare al pubblico aspetti intimi, quotidiani della vita di Christa Wolf, altrimenti celati, ha anche il merito di proporre all'attenzione del grande pubblico la figura di Charlotte Wolff, un personaggio ingiustamente poco conosciuto e che ha avuto tantissimi meriti nel raggiungimento dei primi traguardi verso l'emancipazione sessuale femminile.


È l'inizio del 1983 quando Christa rivolge la propria attenzione alla autobiografia di una donna, Charlotte Wolff, della quale, sino ad allora, non aveva mai sentito parlare: Augenblicke verändern uns mehr als die Zeit (Attimi ci cambiano più del tempo stesso).

La storia di Charlotte è avvincente, eccezionale. Ebrea tedesca, nata nel 1897 in una piccola cittadina della Prussia occidentale, laureata in medicina e filosofia, si trasferisce a Berlino, dove porta a termine il suo dottorato di ricerca e lavora come medico. Nel maggio 1933 fugge dalla Germania nazionalsocialista, dando, così, inizio ad un esilio che non conoscerà mai fine. È Christa a prendere l'iniziativa scrivendo una lettera a Charlotte il 30 aprile 1983: "Cara Charlotte Wolff, comprenderà che devo assolutamente scriverle...", esordisce l'autrice della RDT, dando avvio ad uno scambio epistolare che durerà per più di tre anni, spinta dall'aver trovato nell'autobiografia di Charlotte il proprio nome. In quel passaggio, effettivamente, la Wolff riferiva come, leggendo "Nessun luogo. Da nessuna parte" si era imbattuta in un'immagine poetica da essa stessa utilizzata, decenni prima, in una delle sue poesie: "Secondo la mia opinione, è un miracolo che una così simile espressione poetica venga creata da due anime differenti". Aveva cominciato a leggere quel libro, in quanto interessata alla poetessa Karoline von Günderrode. In Nessun luogo. Da nessuna parte, Christa immaginava un incontro fittizio tra la poetessa ed Heinrich von Kleist, uniti da un destino simile: Karoline, infatti, si tolse la vita nel 1806, convinta che per lei non ci fosse spazio "in nessun luogo e da nessuna parte", poiché donna in una società maschile; Kleist si suicidò pochi anni dopo, nel 1811. Il testo trae linfa da un conflitto con uno stato che non esiste più, quello della ex Germania dell'Est, e da una rivendicazione che, invece, è sempre viva ed attuale: il diritto al dissenso, il rifiuto di assoggettarsi ad una norma che non ci contiene: "Dove io non sono, là c'è la felicità", è il messaggio drammatico di Karoline von Günderrode. La risposta di Charlotte alla prima lettera di Christa non si fa attendere: "La Sua lettera mi ha commosso - Il Suo calore ed il fatto che mi vede così come io effettivamente sono. [...] Lei, Christa Wolf, ha fatto molto per me, senza saperlo."

Il titolo di questa raccolta di lettere costituisce la summa del mondo che in esse, pagina dopo pagina, si dispiega: "Ja, unsere Kreise berühren sich", (Si, i nostri due mondi si toccano).

È un titolo programmatico, poiché lo scambio epistolare rivela immediatamente come questi due spiriti siano estremamente affini e vicini e diviene, quindi, testimonianza dell'unicità di questa amicizia di segno femminile. Le due scrittrici ritornano spesso sulla tematica del "miracolo", della casualità, delle coincidenze. Ma è soprattuto di questioni personali che le due donne scrivono, lasciando emergere dalle lettere i tratti di due figure intellettuali, testimoni dei grandi eventi del XX secolo, di più: fautrici stesse delle correnti di pensiero che lo hanno caratterizzato. È così che vengono approfonditi anche i temi della sessualità e della bisessualità, introdotti dalla stessa Christa, la cui vita emozionale è, comunque, quella di una donna eterosessuale, moglie e madre: "Talvolta rifletto sulla sua tesi della bisessualità di ogni essere umano", leggiamo nella lettera indirizzata a Charlotte il 16 febbraio 1984, "Ne sono convinta anch'io; credo, tuttavia, che il grado di bisessualità sia, di volta in volta, differente. Essa è maggiormente definita nelle persone creative". Rispondendo a questa lettera, Charlotte ribadisce come la bisessualità riguardi tutta l'umanità, "in quanto qualità psichiche maschili e femminili sono presenti in entrambi i sessi [...]. La cosiddetta società maschile si fonda sull'omosessualità sociale - gli uomini non sarebbero stati, altrimenti, in grado di usurpare i meriti ed i diritti delle donne! Una società femminile può essere costituita e, quindi, perseverare solo qualora essa si basi su una omo-emozionalità. [...] Ciò che le scrivo non proviene dalla bocca di una «femminista». Io sono io - non rientro in nessuna categoria - l'emancipazione si raggiunge a cominciare da se stessi". Spesso, Charlotte sottolinea, nelle missive inviate all'amica lontana e mai personalmente conosciuta, come si sia tutti costretti a vivere nascosti dietro ad una maschera e come, per questo, solo in rari momenti di contatti spontanei con un altro essere umano si riesca a mostrare ciò che davvero siamo. L'anelito verso questo vero «Io», verso il suo sviluppo e, soprattutto verso la capacità di renderlo manifesto a persone fidate ha rappresentato il filo conduttore interiore seguito dalla sessuologa; su di esso, Charlotte ha impostato tutta la sua vita. Trovare la fedeltà dentro se stessi, imparare a fidarsi di lei e ad esprimerla, questo significa vivere! Non a caso, Charlotte, il 15 agosto 1984, cita, in una sua lettera, Gertrude Stein: "Se riesci ad essere con altri manifestando il tuo proprio «Io» nella sua completezza, allora essi non potranno far altro che essere con te" e Christa replica: "È vero, ci si deve avvicinare alle persone ed essere sinceri; spesso non possono, allora, far altro se non aprirsi a loro volta."


Forte di queste convinzioni, Charlotte Wolff era giunta a Berlino sul finire degli anni Venti. Nella capitale tedesca degli anni della Repubblica di Weimar, prestò dapprincipio servizio nel reparto maternità della clinica Rudolph-Virchow dove ebbe l'occasione di conoscere da vicino le problematiche sociali delle donne provenienti dai ceti più disagiati. I grandi ospedali berlinesi, infatti, offrivano già allora servizi di consulenza familiare, nonché supporto in questioni d'educazione e nutrizione dei figli. Successivamente, il giovane medico diviene direttrice della clinica statale per l'assistenza nella pianificazione familiare, per l'assistenza durante la gravidanza e per l'educazione alle pratiche anticoncezionali. Sono gli anni che maggiormente l'hanno formata ed ai quali, più tardi, quando la Germania divenne un luogo dove non si poteva più vivere, continuerà a rivolgere il proprio sguardo. È, infatti, proprio in questo periodo che si avvicina con sempre maggior interesse ai campi della psicologia e della sessualità. È essa stessa a riferire che lei e le giovani donne, con le quali lavorava e viveva, erano libere: "eravamo semplicemente noi stesse, l'unica, vera liberazione che alla fine conti qualcosa." Ma la libertà dell'individuo e la libertà per l'individuo non erano ammesse nella Germania hitleriana. Charlotte venne licenziata, in quanto ebrea, e arrestata nella metropolitana con l'accusa di essere una donna in abiti maschili, coinvolta in attività di spionaggio. Venne rilasciata, pare, poiché uno dei poliziotti riconobbe in lei la dottoressa di sua moglie. Il 26 maggio 1933 fugge a Parigi e, nel 1936, a Londra. Per molto tempo cercò di cancellare il ricordo degli anni trascorsi nel suo paese, della cultura e della lingua tedesche. Come tutti gli esuli tedeschi di origine ebrea, anche Charlotte non potè mai superare lo shock dell'espulsione, dell'allontanamento e dello sterminio degli ebrei rimasti in Germania. "Quando andai in esilio", scrive a Christa il 23 luglio 1983, "la lingua tedesca non era, per me, semplicemente persa, bensì un orrore. I nazisti l'avevano talmente diffamata - insudiciata - privata della propria anima, che io non potevo assolutamente credere in una sua resurrezione. È Lei, Christa, ad aver riportato in vita per me la lingua tedesca." Berlino, dopo cinquant'anni d'esilio, era tornata ad essere un luogo sulla sua carta geografica emozionale, leggiamo in conclusione della sua autobiografia "Augenblicke verändern uns mehr als die Zeit". Il calore della sua lingua madre aveva dato avvio ad una nuova fase della sua vita. Ciò nonostante, l'atteggiamento critico e distante nei confronti del suo paese continuò ad esistere, il distacco dal quale, nel 1933, rappresentò una liberazione.

Raramente è stato scritto delle conseguenze morali dell'essere estirpati dalle proprie radici, in modo così franco, come ha fatto Charlotte, che anche in Inghilterra si vide, per molti anni, negata la possibilità di praticare la professione medica e visse, per questo, a lungo, ai margini della società, laddove è sempre possibile essere vittima del crollo emozionale e materiale.

È sempre stata alla disperata ricerca di attenzione ed assistenza, di aiuto ed amore da parte di un altro essere umano. In Inghilterra non trovò mai una vera patria, non perse mai la sensazione di essere un'estranea, ma ebbe la fortuna di trovare singole persone che le furono vicine, donne con le quali visse e che le diedero la certezza di avere stabilito dei contatti umani. Già negli anni Venti, a Berlino, una donna russa le aveva detto: "Il peggior destino è quello di vivere in esilio". Charlotte Wolff ne fece, drammaticamente, piena esperienza; un'ebrea, che non si poteva sentire veramente sicura in alcun luogo, addirittura nemmeno in Israele.


Eppure questo terribile destino non le impedì di dedicarsi alle tematiche che sin dagli anni berlinesi l'avevano interessata ed alle quali aveva cominciato a dedicarsi: la psicologia e la sessualità. Quando, all'inizio degli anni Sessanta, le prime organizzazioni gay e lesbiche uscirono allo scoperto, allargò il suo campo di ricerca alla bisessualità ed all'omosessualità femminile. È, infatti, a partire dal suo settantaduesimo anno di vita che pubblicò i cinque libri che ne fecero una delle figure chiave del movimento lesbico, tra i quali Love between Women, del 1971, in Italia pubblicato col titolo Amore fra donne, nel 1972, e la sua autobiografia Augenblicke verändern uns mehr als die Zeit, del 1980.

Amore fra donne si concentra, soprattutto, sull'aspetto emozionale, indagato attraverso una serie di interviste e test fatti a 108 donne lesbiche. Queste non vennero mai considerate dalla sessuologa alla stregua di pazienti, bensì quali amiche da aiutare nella ricerca di se stesse. L'omosessualità femminile è, secondo la definizione di Charlotte, "una disposizione emozionale, che conduce ad uno stretto ed intimo contatto tra persone dello stesso sesso"

Nel 1976 pubblica, inoltre, un romanzo: "An older Love" (Virago/Quartet Books). In esso, la Wolff si descrive come un'osservatrice attiva dell'amore tra due donne anziane, una di 65, l'altra di 75 anni, la cui relazione risulta essere danneggiata dalle convinzioni religiose e dalle convenzioni sociali, poiché impossibilitate ad ammettere i propri sentimenti e desideri sessuali.

Nel 1977 segue la pubblicazione di uno studio inerente la bisessualità maschile e femminile: Bisexuality. A Study (Quartet Books). La traduzione tedesca di questo testo contribuì alla proclamazione dell'autrice, nella Repubblica Federale Tedesca, quale pioniera della sessuologia.

Charlotte Wolff riesce, in questo studio, a dimostrare le seguenti tesi:

  • gli esseri umani sono sin dalla nascita bisessuali;
  • i bambini vivono in modo completo la propria bisessualità, nonostante i ripetuti tentativi degli adulti di inquadrarli in ruoli sessuali convenzionali;
  • il processo naturale di sviluppo procede dall'autoerotismo all'omosessualità;
  • l'affermazione del lato eterosessuale della bisessualità avviene solo attraverso una violenta imposizione sociale;
  • deformazioni psichiche emergono non attraverso la sperimentazione dell'omosessualità e della bisessualità, bensì attraverso la repressione forzata di uno di questi lati, attraverso il loro disprezzo sociale.

Poco prima di morire, riuscì a vedere pubblicata l'ultima sua opera, la biografia del sessuologo berlinese Magnus Hirschfeld, fondatore, negli anni Venti, del primo istituto di ricerca sessuale.

Il 12 settembre 1986, Charlotte Wolff muore a Londra senza essere riuscita a conoscere personalmente Christa Wolf. Ma, forse, non era così importante trovarsi l'una di fronte all'altra. Dopotutto, due spiriti così affini erano riusciti a stabilire un contatto la cui intensità e profondità andava ben oltre le barriere geografiche e politiche. Ciò non stupisce se si considera che, durante i primi anni d'esilio, Charlotte si mantenne grazie alla chirologia, sviluppando un modo di entrare in contatto con gli altri tutto particolare, un percorso del tutto intuitivo che le consentiva di conoscere il suo prossimo attraverso la lettura della mano e l'interpretazione della calligrafia. Giunta a Berlino per una breve visita, nel 1981, che doveva essere soprattutto un incontro con se stessa, col proprio passato, la Wolff rilascia un'intervista all'emittente radiofonica Sender Freies Berlin e viene ricordata come segue dalla giornalista:

"Nonostante i suoi 84 anni, sembra vivere senza tempo. È piccola, ha i capelli neri e pare essere fragile. I suoi gesti sono controllati. Da lei sembra emanare una grande calma. Solo i suoi occhi rivelano la tensione che porta dentro di sé. Chi la incontra ha l'impressione di conoscerla da sempre... Si nota come il contatto con le persone sia il suo mestiere. La sua presenza magnetizza, emana autorità e, allo stesso tempo, umanità."
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