"Tunten lügen nicht": Rosa von Praunheim tra verità e provocazione

9 luglio 2005, "Babilonia", n.210, maggio 2002

"Tunten lügen nicht" ("Le checche non mentono") è un film-documentario sulla vita di quattro spavalde Tunten (il termine, tradotto letteralmente, significa "checche", ma viene usato anche per indicare i travestiti; nasce come insulto, per poi, con l'attività anche dei quattro protagonisti di questo film, assumere un significato socio-politico). I loro nomi d'arte: Ichgola Androgyn, Bev Stroganov, Tima die Göttliche e Ovo Maltine. Alla metà degli anni '80, si incontrano a Berlino Ovest. "Da allora fecondano il paesaggio culturale tedesco ed il resto del mondo", sottolinea Rosa. "Io ho avuto la fortuna di lavorare con ognuna di loro in diversi miei film".

In comune hanno tutte qualcosa che le distingue dalle altre Tunten; loro non sono semplicemente dei travestiti che fanno shows. Sin dal loro arrivo a Berlino si sono impegnate politicamente nella campagna di informazione sull'AIDS, in azioni contro la violenza nei confronti degli omosessuali, per il riconoscimento dei diritti delle prostitute, nella lotta contro l'estremismo di destra e il razzismo.

Per un certo periodo vivono tutte insieme su una specie di casa-battello, quasi fossero una famiglia, e progettano, sviluppano in collaborazione i loro spettacoli, le loro azioni politiche e le apparizioni in televisione.

La loro carriera come travestiti comincia in quello che negli anni '80 era il cuore della scena gay berlinese, lo "SchwuZ", oggi sede di una delle discoteche gay più amate dai berlinesi. Presto vengono ingaggiate un po' dappertutto a Berlino e in Germania.

Tre di loro sono risultati sieropositivi e si adoperano nella lotta per la vita...

Il film mostra, attraverso Ichgola, Bev, Tima ed Ovo e le loro storie, una parte fondamentale della cultura berlinese. "Le loro biografie sono colorate e vivaci come abiti di paillette, tenuti insieme da un immaginario filo rosso che altro non è se non l'orgoglio di essere Tunten. Questi quattro personaggi lavorano, litigano e amano ancora sempre insieme, poiché si considerano come una famiglia e solo la morte li può separare".


Come è nata l'idea di questo progetto? Perché le storie di questi quattro uomini?

Avevo già lavorato più volte con ognuno di loro quattro in precedenti film. Ciò che mi ha sempre interessato è la vita delle persone e difatti ho già girato diversi film-portrait. Così ho pensato di proporre a Ichgola, Bev, Tima e ad Ovo un film che narrasse la loro vita, le loro storie. Si sono dichiarati tutti d'accordo. Ciononostante sono stato consapevole sin dall'inizio che con loro quattro avrei avuto una difficoltà. Ti spiego: sono quattro uomini che, in abiti femminili, fanno del cabaret, shows; persone, cioè, che hanno dimestichezza con la recitazione. Io dovevo fare in modo che durante le riprese non indossassero mai quell'invisibile maschera d'attori e che mi narrassero se stessi, che mi lasciassero scoprire cosa si cela dietro quegli appariscenti abiti femminili, dietro quei marcati make up, quei movimenti esagerati e quelle taglienti battute che lanciano addosso al pubblico durante le loro apparizioni. Credo di essere riuscito in questo intento, di aver ottenuto risposte sincere da ognuno di loro.


Rosa, "Tunten lügen nicht", non mentono, e, direi, nemmeno tu lo fai. Se si dà uno sguardo ai film che hai girato, dal 1967 sino ad oggi, si nota immediatamente come tu sia sempre riuscito a portare sullo schermo verità "scomode", provocazioni... Che significato ha per te la provocazione?

Io oggi non parlerei più di provocazione, anzi penso che sia dagli anni '90 che non se ne possa più parlare in senso stretto. Le attuali generazioni non sono più interessate alle provocazioni, non hanno motivo di ricorrervi. Le provocazioni erano davvero una delle nostre pochissime armi quando si cominciò ad uscire allo scoperto in quanto gay richiedenti il riconoscimento di diritti; mi riferisco agli anni '70. Ma poi la società si è mossa in direzione di un maggiore adeguamento alle esigenze dei giovani. Oggi non si può più, a mio avviso, sorprendere ed interessare il pubblico attraverso la provocazione.


Tuttavia trovo che sia legittimo parlarne anche in riferimento a questo tuo ultimo film. L'ho colta nella scelta stessa di portare in primo piano quattro travestiti, uomini che non hanno nessuna remora a presentarsi ad un vasto pubblico in quanto gay, a autodefinirsi "checche", tant'è che grazie a loro anche la percezione di questo termine ha cambiato di segno, perdendo una connotazione offensiva, legata all'insulto, e divenendo invece definizione di uno stile di vita. Uomini consapevoli, la cui vita e le cui decisioni presentano tanto aspetti comici quanto tragici. Raccontano di amori, di sesso, di paure e di morte, di delusioni e di speranze...

Ho ritenuto molto importante in un momento come quello che stiamo vivendo, in cui Tunten sono diventate un fenomeno estremamente commerciale, qualcuno da ammirare per ciò che in superficie porta con sé sul palcoscenico, dai costumi, al trucco, sino al loro modo di fare del cabaret, ma che, così i diffusi pregiudizi, non si fa portatore di contenuti, mettere Ichgola, Bev, Tima ed Ovo sotto dei riflettori che li potessero illuminare di luce diversa. I quattro travestiti nel mio film hanno cominciato la loro attività in un periodo in cui essere come loro significava anche, o forse soprattutto, essere politicamente e socialmente impegnati. Considera poi che nella scena gay Tunten sono sempre state una provocazione. La maggior parte degli omosessuali trova le "checche", i travestiti, divertenti, mai qualcuno da prendere sul serio, da considerare da un punto di visto erotico. Esiste anche una certa paura di fronte a queste persone sono uomini che in modo appariscente esprimono il loro lato femminino e potrebbero tradire la tua stessa omosessualità agli occhi di coloro che ti vedono accompagnato con queste persone. Non è una novità che travestiti vengano spesso insultati dagli stessi omosessuali. Si...; effettivamente c'è un fondo di provocazione anche in questo film. Lo spettatore può vedere in loro, così come io li racconto, o meglio, così come loro stessi si raccontano, qualcuno in cui ci si può rispecchiare, ci si può identificare. Esseri umani come chiunque altro, col proprio bagaglio di sentimenti che talvolta fanno toccare il cielo con un dito e più spesso rendono la vita un pochino più dura. In questo modo si ha la sensazione di star conoscendo qualcuno profondamente, si raggiunge una vicinanza con colui che si muove e parla sul grande schermo.


Nel 1970 presenti il film "Nicht der Homosexuelle ist pervers, sondern di Situation, in der er lebt" ("Non l'omosessuale è perverso, bensì la situazione nella quale egli vive") attraverso il quale compi il passo decisiviso nella carriera di regista...

In quell'anno girai due film; l'altro si intitola "Die Bettwurst" ed è ancora oggi più famoso di "Nicht der Homosexuelle ist pervers, sondern die Situation, in der er lebt", un classico per i giovani d'oggi. Si tratta di una commedia nella quale si racconta della relazione d'amore che nasce tra una donna di una certa età e un giovane gay, i quali, a dire il vero, non fanno altro che prendere in giro la vita sentimentale dei tedeschi e il loro modo piccolo borghese di comportarsi. "Nicht der Homosexuelle ist pervers...", pur non essendo un classico cinematografico, portò alla costituzione di un nuovo movimento omosessuale tedesco attraverso l'immediata formazione, in seguito all'uscita del film, di più di 50 gruppi di gay impegnati politicamente. Nasceva una nuova "coscienza di se'" nei ragazzi gay della Germania dell'ovest.


Nonostante questo tuo ruolo attivo nella formazione del movimento gay, 20 anni dopo, te ne distanzi a causa del dibattito intorno all'AIDS. A riguardo accusi l'AIDS-Hilfe e la sua politica di rapprensentare un "aiuto a morire" e null'altro...

Ciò che allora accusavo e che ancora oggi accuso è la mancanza di una vera e consapevole campagna preventiva da parte di questa istituzione... Inutile ribadire in questa sede quanto sia neccessario parlare di prevenzione alle nuove generazioni, dopo che le terapie combinate hanno portato anche alla illusoria convinzione che il problema sia quasi risolto. L'AIDS-Hilfe non fa abbastanza per la prevenzione, non lo ha mai fatto. Per dieci anni mi sono dedicato quasi esclusivamente a questo tema; a partire dal 1985 ho girato film, organizzato shows televisivi, manifestazioni, scritto articoli sull'argomento.


Rimaniamo su questo tema. Se ne parla approfonditamente anche in "Tunten lügen nicht". Tre dei quattro protagonisti sono sieropositivi e raccontano di come abbiano deciso di non seguire una terapia, nella convinzione che gli effetti collaterali siano troppo forti e che vadano ad influire in modo estremamente negativo sull'organismo. Come vedi l'attuale situazione rispetto al tema "terapie: pro e contra"? Pensi che ci sia sufficiente consapevolezza nelle persone sieropositive di fronte ad una scelta a favore piuttosto che contro l'assunzione di medicinali?

I medicinali hanno salvato tantissime vite. Oggi, tra le persone che conosco e che hanno contratto il virus, pochissimi muoiono, mentre anni fa erano migliaia. Gli effetti collaterali esistono, sono forti, è giusto prenderne coscienza, ma non tutti reagiscono allo stesso modo, è anche una questione di costituzione, di stile di vita. Una triste verità è poi il fatto che moltissimi gay non si apprezzano, non si amano e spesso la malattia diviene quasi una forma di suicidio. Il senso di inferiorità è ancora estremamente diffuso tra i gay. La vanità, il narcisismo sono spesso caratteristiche intrinseche nella personalità omosessuale, ma ciò non ha nulla a che vedere con l'amore di se'. Riconoscere quest'ultimo con le sue debolezze e anche coi suoi vantaggi, tra i quali riuscire ad amare se stessi per poter amare anche gli altri, risulta sempre qualcosa di molto difficile. Mi spiace doverlo dire, ma sono convinto che ancora oggi manchi la volontà di confrontarsi consapevolmente con la realtà del problema AIDS, non ci si protegge abbastanza, si è ancora molto superficiali. Coloro che si sottopongono ad un test il cui risultato è positivo, notando, dopo aver superato lo shock, che si è ancora in salute, ignorano la questione. Non c'è consapevolezza...; il problema si fa presente qualora compaiano i primi segni della malattia e, spesso, allora è troppo tardi.


E come interpreti il modo di porsi davanti a tali problematiche di Ichgola, Bev, Tima ed Ovo?

Ovo stesso nel film racconta come Tima gli rimproveri di essersi intenzionalmente infettato per aver qualcosa di importante da portare sul palcoscenico. Forse lo ha fatto davvero; forse a causa di una profonda depressione, della mancanza di gioia e voglia di vivere; forse nella errata e folle convinzione di non valere più di tanto. Cerca la conferma nella malattia, nella droga piuttosto che nell'alcol, di questa mancanza di valore, di significato per se stesso prima che per gli altri. È un processo psichico tragico, ma sia Ovo che gli altri lo confermano in modo sincero nelle interviste rilasciate per il film. La scelta di non seguire una terapia è un qualcosa di estremamente importante e personale ed è una enorme responsabilità; non la si può giudicare a fondo, se non si vive la stessa realtà.


Accanto alla tua professione di regista affianchi da una anno e mezzo anche quella di docente dell'Accademia Cinematografica di Potsdam-Babelsberg. Cosa significa per te questa nuova esperienza?

Devo purtroppo dire che è un'esperienza negativa. Prima di arrivare all'Accademia ho tenuto molti workshops, uno dei quali per esempio anche qui a Berlino, per la scuola di cinema, cinque anni fa. Durante questo progetto sono andato a New York con sei giovani studenti di regia e lì abbiamo girato un film. L'esperienza è stata magnifica e divertente. Lo scorso settembre sono andato a Los Angeles, a Hollywood, con alcuni studenti dell'Accademia dove insegno ora; insieme abbiamo girato 9 cortometraggi; di quest'ultimi e soprattutto degli studenti che vi hanno lavorato sono molto orgoglioso. È anche questa un'esperienza che ripeterei immediatamente. Ma l'Accademia nella quale insegno è, probabilmente, tra le scuole di cinematografia, la più ricca nel mondo, ma in quanto a contenuti la più povera. Estremamente conservatrice, alla "vecchia maniera".


Hai già nuovi progetti?

Ne ho molti. Lavoro al momento a sei progetti e vedremo quale di questi troverà per primo la sua forma definitiva...


Non ci rimane allora altro che augurarti in bocca al lupo ed attendere di poter vedere il tuo prossimo film!
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