Corpi in crescita. Maschietti nella letteratura del Novecento

5 settembre 2004

Non ho la pretesa di esaurire nel breve respiro di una conferenza un argomento tanto spinoso, complicato e così poco sviscerato qual è la sessualità infantile e adolescenziale presente nella letteratura novecentesca. Né ho l’ambizione di parlare di tutta la letteratura del Novecento! Nessuna meraviglia, quindi, se sarà citato, solo, un esiguo numero di scrittori: la scelta non implica giudizi di merito, ma è frutto del gusto personale di chi vi sta parlando.

Con questo mio intervento, mi prefiggo l’obiettivo di stimolare la riflessione collettiva su tale materia. Per fare ciò, leggerò alcuni brani letterari — a volte molto crudi — che descrivono esperienze sessuali di ragazzini.

Per completare tale breve premessa è giusto che io faccia, ancora, alcune precisazioni:

1. Ovvero, perché, per parlare di “corpi in crescita”, ho puntato decisamente alla sfera della sessualità;

2 E perché ho scelto di concentrare l’attenzione prevalentemente sui “maschietti”.

Sono convinto — e rispondo alla prima questione — che la sessualità sia — in assoluto — uno degli aspetti più importanti della vita di ognuno di noi. Nei ragazzini tale elemento si amplifica a dismisura, grazie alle tempeste ormonali scatenate dal processo di crescita e sviluppo. Volendo esasperare, si potrebbe affermare che un “corpo in crescita” potrebbe essere paragonato ad una specie di macchina sessuale in continuo movimento.

Quando un “corpo in crescita” scopre il sesso, quando la manipolazione dei genitali diventa consapevole masturbazione, quando le sensazioni di piacere divengono atti deliberati di godimento, allora si può dire di stare guardando il mondo che ci circonda, e noi stessi, con occhi nuovi, diversi. Tale, in definitiva, è la crescita: qualcosa che parte da esigenze corporee e coinvolge processi intellettuali e cognitivi.

Per quanto, invece, attiene al secondo punto, ossia del perché ho focalizzato l’attenzione sui maschietti, la risposta è presto detta: la stragrande maggioranza degli scrittori di questo secolo ha concentrato la propria attenzione sulla sessualità maschile, per varie ragioni, non ultima il fatto di essere essi stessi dei maschi.

Altra spiegazione da tenere presente è il fatto che, storicamente, la sessualità maschile si è espressa in manifestazioni più evidenti di quella femminile che, generalmente, ha subito un processo di inibizione notevole. Tento di spiegarmi meglio: il diventare uomo — fino a non molto tempo fa — comportava dei riti di iniziazione e di passaggio socialmente molto pregnanti, quali l’indossare la divisa e il frequentare il casino. Ciò era il segno, paradossale, di un’acquisita libertà. Al contrario, l’essere diventata donna, implicava degli obblighi comportamentali che, non solo sfioravano il ridicolo, ma tendevano ad annullare la sessualità femminile stessa, nel solco di una libertà sessuale negata alla donna.

È facile comprendere, quindi, come la sessualità maschile, essendo stata platealmente più evidente di quella femminile, sia stata descritta, nelle opere letterarie, con frequenza maggiore.

Ma è giunto il momento di cedere la parola ai testi, non procedendo in ordine cronologico, bensì accorpando i brani per temi e associazioni mentali, come, ad esempio, la scoperta della sessualità in seno alla famiglia, o in collegio o durante le vacanze estive.

Inizio la veloce carrellata con Marco Lanzòl, giovane narratore, che ha scritto un romanzo dal titolo Piccoli italiani, nel quale si descrivono le vicende di un gruppo di ragazzini alle prese con la scoperta del sesso. Tra i protagonisti vi sono i cugini Luca e Gianni che passano la maggior parte della giornata insieme, sorvegliati una volta dai genitori di Luca e un’altra volta da quelli di Gianni. Ora sono al mare, in una cabina balneare:

«Dai!» ride Gianni, chinato a squadra con i pantaloncini al ginocchio. Un dito del cugino gli ricircola il buco del culo, spingendosi a penetrarlo. Con l’altra mano Luca carezza dolce l’uccello tosto di Gianni. Il cucciolo soddisfatto mormora, stancamente deciso: «Dai, che se dovemo sbriga’!» Luca stappa il dito dal culo e allontana la mano: Gianni procede con i pantaloni e, nudo in piedi, quando Luca si curva ricambia, appoggiandogli l’arnese tra le chiappe e ancheggiando. Luca protesta per finta, si volta, si stringono, ma decidono una tregua per non innescare una reazione educativa del padre—zio. Usciti, vanno all’ombrellone: Luca, che le ha in mano, dà le chiavi della cabina alla madre—zia, intenta a riporre rovistare ricercare. [Baldini & Castoldi, p. 28]

Un testo considerevole, non solo per la notevole invenzione linguistica, ma, soprattutto, perché accenna al carattere di sfida al potere degli adulti che può avere il sesso nei giovanissimi. Nel caso specifico, tutto deve essere veloce, perché si deve tornare all’aperto, alla vista dei genitori—zii, dando, in tal modo, la sensazione di essere costantemente sotto controllo. Invece, si è visto, i maschietti riescono a ritagliarsi uno spazio—tempo tutto loro e a conoscere il proprio corpo e quello altrui.

La conoscenza del corpo altrui è fortemente presente anche in un altro romanzo, il cui titolo è quasi una provocazione: Dei bambini non si sa niente. Anche nel libro di Simona Vinci ad essere protagonisti sono dei bambini, ma la storia che li vede coinvolti è assai più tragica e inquietante di quella, pure cruda, narrata in Piccoli italiani. Dal testo della Vinci citerò due brani riguardanti la conoscenza del corpo. Nel primo, è descritto il risultato finale cui è possibile giungere avendo una sorella maggiore da poter, quotidianamente, spiare per anni. Il bimbo che spia si chiama Luca.

Quando uno ha una sorella più grande da spiare, di cose ne impara tantissime. Lui, la storia delle mestruazioni l’aveva capita subito, e meglio degli altri, aveva anche rubato gli assorbenti dal cestino del bagno per verificare variazioni cromatiche e olfattive col passare delle ore. Per capire se era sangue davvero, o cosa, invece.

Quando uno ha avuto una sorella più grande, ha investigato per giorni mesi anni nei cassetti della biancheria, sa a memoria misure di mutande e reggiseni e soprattutto ha un’idea esatta ed empirica di come sia fatta una figa. In tutte le fasi: senza pelo, con qualche peluzzo, con pelo vero, depilata, rasata. [Einaudi, p. 37]

Sapere come è fatto il sesso delle ragazzine non vuol dire, però, conoscerne tutti i segreti e, soprattutto, quello del giusto movimento da impartire alle dita per dare piacere alla propria amichetta. E, allora, diventa necessaria una spiegazione:

Martina aveva insegnato a Mirko come si fa a toccare quel posto, come piaceva a lei. Glielo aveva spiegato con parole precise, come se gli stesse insegnando a manovrare i comandi di un videogioco.

Metti il dito in questa posizione, lo tieni premuto così e poi lo muovi piano.

Era strano insegnare il proprio corpo a qualcuno. […]

Martina pensava al suo corpo, a questa cosa che aveva abitato da sola per un sacco di tempo e che adesso spartiva con gli altri. Gli insegnava le vie da seguire per arrivare nei posti giusti, lei lo sapeva dove stavano. E imparava, imparava cose su di sé, imparava i corpi degli altri che erano diversi e simili e che si incastravano col suo. [p. 92]

 La masturbazione non più vista come atto privato, personale, ma come momento di aggregazione. Il corpo, di nuovo, diventa, per i piccoli, veicolo di conoscenza. A tale conclusione era giunto, ad inizio di secolo, anche Robert Musil in uno dei romanzi che includo tra le opere più belle che abbia mai letto: Il giovane Törless. La storia è ambientata in un collegio maschile ed è estremamente violenta: tre ragazzini schiavizzano, infatti, un quarto collegiale reo confesso di essere un ladruncolo, costringendolo a soddisfare ogni loro desiderio sessuale e stringendolo in una spirale di sadomasochismo che si fa sempre più insopportabile per la vittima. Tra i tre carnefici, anche se, spesso, si comporta diversamente dagli altri due, c’è Törless che, ora, di notte, vede il corpo nudo dello schiavo Basini per la prima volta:

Involontariamente Törless fece un passo indietro. La vista improvvisa di quel corpo nudo, niveo, dietro il quale il rosso delle pareti sembrava di sangue, lo abbagliò e lo sbigottì. Basini era ben fatto: sul suo corpo mancava quasi ogni traccia di forme virili, era di una magrezza esile e casta, simile a quella di una fanciulla. E Törless sentì che l’immagine di quel corpo nudo prendeva fuoco nei suoi nervi levando fiamme bianche e ardenti. Non riusciva a sottrarsi alla potenza di quella bellezza. Prima non aveva mai saputo cosa fosse la bellezza. Che cosa infatti poteva dirgli mai, alla sua età, l’arte, ammesso che ne conoscesse un poco? […]

[…] l’arte era venuta a lui di nascosto, sui cammini della sessualità, e lo aveva aggredito. Un alito caldo e inebriante emanava dalla pelle nuda, una lusinga morbida, lasciva. Eppure vi era anche qualcosa che induceva a giungere solennemente le mani. [Newton, p. 129, trad. Andrea Landolfi]

Musil parte da un corpo di fanciullo e arriva lontano: alla conoscenza dell’arte e alla religione. Di fronte alla bellezza c’è una sorta di impotenza che induce a desistere pur desiderando, che spinge a riflettere e a pregare. Dal corpo si arriva, dunque, all’anima, alla spiritualità.

Quella descritta da Musil è una possibile reazione del carnefice. Quella della vittima, invece, è esposta con paurosa esattezza in un altro libro che narra una storia di torture e sevizie, questa volta ai danni di quattro ragazzini rinchiusi in un riformatorio statunitense: il romanzo è Sleepers di Lorenzo Carcaterra. I carnefici sono i secondini capitanati da Nokes. Le vittime non sono affatto desiderose di conoscere, ma agognano la rimozione, la morte. Ora i quattro ragazzini sono stati chiusi nella cella di Lorenzo, in occasione del tredicesimo compleanno di quest’ultimo.

Sentivo le palpebre sbattere freneticamente per impedire al sudore di entrarmi negli occhi. La voce mi uscì falsata dalla paura e dall’ira: «Che cosa volete?»

«Una succhiatina», fece Nokes.

Di quel giorno non ricordo molto di più. Mi ricordo solo di essere stato costretto in ginocchio, di aver chiuso gli occhi e di aver bloccato la mia stessa capacità di intendere, percependo solo risate e voci di scherno. Ricordo le mani sudaticce di Nokes che mi premevano alla nuca. Ricordo una pesante sensazione di stordimento e il desiderio ardente che mi uccidessero prima che finisse la notte. [Rizzoli, p. 198, trad. Raffaele Petrillo]

Il trauma di una sessualità imposta con violenza non aiuta la crescita, tutt’altro! Non sempre, però, gli atti di pederastia provocano dei danni tanto irrimediabili; e non sempre è il pederasta che tende la rete. Umberto Saba, in Ernesto, romanzo pubblicato postumo, descrive con leggerezza, ironia e consapevolezza critica la prima volta del sedicenne Ernesto, il quale, trovandosi solo con un bracciante, decide che è arrivato il momento di soddisfare una sua curiosità che lo aiuterà a completare la crescita.

«Soli — disse finalmente — soli per un’ora».

«In un’ora se pol far tante robe» incalzò, pronto, l’uomo.

«E lei che robe el volessi far?»

«Nol se ricorda più de quel che gavemo parlà ieri? Che el me gà quasi promesso? Nol sa quel che me piaseria tanto farghe?»

«Mettermelo in culo» disse, con tranquilla innocenza, Ernesto.

L’uomo rimase un po’ urtato dalla crudezza dell’espressione che, oltre a tutto, lo sorprese in bocca di un ragazzo come Ernesto. Urtato, ed anche impaurito. Pensò che il «mulo» (monello), già pentito della sua mezza accondiscendenza, lo prendesse ora in giro. Peggio ancora: che ne avesse già parlato a terzi o — eventualità temibile su tutte — si fosse confidato a sua madre. Si trattava invece d’altro. Con quella frase netta e precisa, il ragazzo rivelava, senza saperlo, quello che, molti anni più tardi, dopo molte esperienze e molto dolore, sarebbe stato il suo «stile»: quel giungere al cuore delle cose, al centro arroventato della vita, superando resistenze e inibizioni, senza perifrasi e giri inutili di parole; si trattasse di cose considerate basse e volgari (magari proibite) o di altre considerate «sublimi» e situandole tutte — come fa la Natura — sullo stesso piano. [Einaudi, pp. 13—14]

Una dichiarazione di poetica, quest’ultima, nella quale, peraltro, mi riconosco personalmente come scrittore.

Concludo questa rapida panoramica sulla sessualità infantile e adolescenziale citando un componimento di un poeta che i maschietti conosceva bene per assidua frequentazione: Sandro Penna. Con soli tre versi, Penna ci restituisce l’immagine frequente di ragazzini la cui sicurezza in se stessi, la cui strafottenza verso il mondo e le istituzioni, si basa tutta sulla vigoria basso—ventrale.

Se torna il dolce miele sciroccale

Lascivi si abbandonano ai gradini

Della mia chiesa giovani animali.

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