ZumZumZum

Intervista a Roberto Biondi

8 gennaio 2005

Il 1° febbraio prossimo debutta al Teatro Colosseo di Roma ZumZumZum, il nuovo spettacolo della produzione The Aries (“Good As You”, “Maledetta Primavera Show”) con la regia di Nicasio Anzelmo. Il debutto cade a ridosso della Giornata della Memoria in cui si ricorda la persecuzione ebraica, e questo perché la commedia affronta tra gli altri anche il delicato tema della condizione degli ebrei e degli omosessuali durante il nazi-fascismo. ZumZumZum racconta infatti di una compagnia teatrale che sotto il regime, con l’imbarbarimento dei gusti del pubblico, deve cambiare il proprio repertorio passando dai grandi classici al più popolare avanspettacolo. I due capocomici (Riccardo Garrone e Gianna Breil) accoglieranno dunque in compagnia un drammaturgo ebreo (Andrea de Venuti) e una sciantosa en-travesti napoletana, Zezza Stroffolino (Diego Longobardi), trasformando così il teatro in un ricettacolo di perseguitati politici e di eccentriche personalità. Abbiamo intervistato l’autore, Roberto Biondi (“Fiesta”, “Good As You”), uno fra i più conosciuti autori italiani di teatro a tematica gay.


Roberto, come è nata l'idea di un testo sulla Roma del 1943?

Parlando col mio amico, collaboratore e soprattutto attore-feticcio Diego Longobardi, abbiamo pensato di esplorare il genere “teatro nel teatro”, non nuovo ovviamente (dalle “Due commedie in commedia” di Andreini, testo barocco, a “Rumori fuori scena” di Frayn) ma sempre stimolante, che permette a un drammaturgo di giocare con quel mondo che tanto ama e che, nel mio caso di ex-allievo attore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, ha vissuto in prima persona e difficilmente scorda.


E’ stato difficile documentarsi storicamente sull’argomento?

Con internet il modo di fare ricerca è cambiato, è molto più immediato, enciclopedico, anche se va comunque operata sempre una scelta accurata nel marasma di informazioni che si incontrano. Per un’idea più precisa di quella che era la realtà italiana degli omosessuali di quel tempo – e quindi non i forni crematori, a cui erano condannati gli omosessuali tedeschi, ma “il confino” – mi è stato utile un libro del Circolo Pink “Il triangolo rosa”, che tratta accuratamente le vicende di quei pochi omosessuali italiani che hanno voluto rendere pubblica la propria esperienza nella realtà nostrana. Non così tragica come quella dei lager, ma pur sempre sconvolgente e brutale, se solo si pensa all’improvviso processo a cui erano sottoposte queste persone dal momento in cui, arrestate in flagrante o solo per un sospetto, venivano improvvisamente escluse dalla società in quanto “socialmente aberranti”.


Come mai l'idea di affrontare nella forma “commedia” un tema così drammatico?

La commedia è la realtà in cui mi identifico di più, il tessuto connettivo che mi appartiene: mi devo comunque divertire per far sorridere il pubblico. Questo non vuol dire affrontare con superficialità temi importanti e, in questo caso, tragici, ma far riflettere attraverso l’intrattenimento. Non dimentichiamoci “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin o “La vita è bella” di Benigni a cui certamente si è ispirato.


Come autore teatrale hai affrontato il kitsch (“Fiesta”) e il camp (“Good as you”). Questo di ZumZumZum
è un salto nel trash?

Il trash, o spazzatura che dir si voglia, è un terreno fertile, basta non scivolare su un tappeto di banane. Prendi Diego Longobardi: in “Fiesta” era l’amico di Fabio Canino un po’ fuori di testa ed esagitato, in “Good As You” la pazza alla perenne ricerca d’amore che affoga in un cocktail di sesso e psicofarmaci. In ZumZumZum quale escalation migliore se non interpretare il ruolo della sciantosa en-travesti dal passato drammatico?


L'avanspettacolo è stato molto rappresentato al cinema in film poi divenuti dei cult, penso a “Polvere di stelle” di Alberto Sordi ma anche a “Basta guardarla” di Luciano Salce. Hai rivisto quei vecchi film per scrivere ZumZumZum
?

Certo. Con “Polvere di stelle” sono entrato dalla porta principale per costruire ZumZumZum. “Basta guardarla” è un cult. Oltre alla conturbante Buccella, basti pensare a Mariangela Melato nel ruolo di una “virile” spagnolas e a Franca Valeri in quello della vedette un po’ imbalsamata. In “Risate di Gioia” di Mario Monicelli e “La Sciantosa” c’è una strepitosa Anna Magnani che mi ha aiutato a delineare le sfumature più intime del personaggio interpretato da Gianna Breil, una primadonna in piena crisi di mezza età. Ne “L’ultimo metrò” di Truffaut, l’idea di proteggere e nascondere un fuggiasco è stata fondamentale, fino a “Pallottole su Broadway” di Woody Allen e alla sua miniera di battute, e a “Essere o non essere” di Mel Brooks, a sua volta rifacimento in un film del ’42 di Ernst Lubitsch, che mi ha dato lo spunto per delineare il passaggio dallo splendore degli anni Trenta alla catastrofe della seconda guerra mondiale.


Esiste un teatro a tematica omosessuale in Italia, e quali sono le principali difficoltà che incontra secondo te?

Penso che esista, ogni tanto sento parlare di lavori sul tema. Le difficoltà sono quelle della fruizione: spesso l’idea dell’omosessualità è legata all’aberrazione e ad esperienze al limite. Non dico che non sia tutto vero, ma la realtà è fatta di più facce e la mia idea è quella di un teatro gay che possa essere sdoganato a una cultura popolare per facilitare la sua integrazione e l’accettazione da parte del pubblico e quindi della società. Per fare questo sono io il primo a mettermi alla berlina attraverso i personaggi che scrivo, ma se non si parte da un po’ di autoironia non si arriva molto lontano.


Non è forse un lavoro "politico" affrontare temi omosessuali in un panorama teatrale piuttosto refrattario al nuovo e al "diverso"?

Siamo animali politici. Il messaggio è sicuramente per un’amplificazione ancora maggiore a temi quali il “Pacs” o i matrimoni gay. È’ ora di smetterla di vivere come fantasmi.


Sei di solito soddisfatto della messinscena dei tuoi testi, o sei di quegli autori ipercritici? Partecipi alle prove come alcuni autori o come altri preferisci vedere il lavoro compiuto?

Vedere prender forma un mio lavoro è sempre un piacere. Non nego che mi piace partecipare alle prove anche perché se il regista o gli attori hanno bisogno di chiarimenti sono sempre disposto a darglieli, o a lasciare campo libero a eventuali invenzioni, ma non mi metto mai a sentenziare su questo o su quello. Sono per la pluralità delle idee. Il mio mondo attraverso il loro mondo.


Toglici una curiosità, quanto paga il lavoro di autore teatrale?

È un lavoro di fantasia e come tale è inestimabile. Io attraverso le mie storie vivo tante vite e il mio messaggio è quello di non far spegnere mai nel pubblico la fantasia che avevamo da bambini e che è sempre lì nel fondo della nostra anima. Basta tirarla fuori.

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