Romanzi in carriera

Intervista ad Andrea Mancinelli

5 marzo 2005, "Pride", n. 68, febbraio 2005

E’ la poca ispirazione degli autori, lo scarso coraggio dei lettori o l’arretratezza culturale del mercato la causa della scarsità di narrativa gay di produzione italiana? L’abbiamo chiesto a Andrea Mancinelli, giovane autore gay che ha scritto un secondo romanzo “a tematica eterosessuale”.


Andrea Mancinelli, come dovrebbe testimoniare anche il servizio fotografico di queste pagine, è un ragazzo di bella presenza. E ha anche il curriculum giusto per interpretare il ruolo dello scrittore gay “bello e possibile”, per le verità non molto ambito dalle nostre parti..E’ nato nel 1968 e proviene dal vivaio creativo coltivato negli anni Ottanta da Pier Vittorio Tondelli, il più famoso tra i pochissimi scrittori gay italiani, che prima di morire giovanissimo a trentasei anni era una forza della natura e pubblicava generosamente, oltre alla propria torrenziale produzione, racconti di scrittori in erba nelle raccolte “Under 25”. Fu su una di queste che uscì il primo racconto di Mancinelli, che all’epoca aveva diciassette anni. Il primo romanzo, Solitudini imperfette, arriva dopo la metà dei novanta ed è una storia con un protagonista e un grande amore gay che ha una discreta accoglienza, tant’è che viene pubblicata una prima volta da peQuod e poi di nuovo da Baldini e Castoldi, che ne ha fatto anche una edizione economica. I fan del genere, costretti di solito dalla scarsa produzione nazionale a consumare grandi quantità di (peraltro ottima) narrativa gay angloamericana, possono ben sperare. Ma il colpo di scena è dietro l’angolo: il secondo romanzo, Cuori Meccanici (pubblicato l’estate scorsa da BaldiniCastoldi Dalai) cambia le carte in tavola e mette in primo piano una tormentosa e ambigua vicenda di amore eterosessuale. Ad attenuare almeno parzialmente lo shock, esce quasi in contemporanea per Mondadori il terzo volume di Men on men, antologia di racconti gay italiani con ben due storie firmate da Mancinelli.

Di per sé non è uno scandalo che uno scrittore scriva romanzi con protagonisti di diverso orientamento sessuale, ma tra le giovani promesse della narrativa gay italiana sembra quasi contagioso. E’ accaduto di recente, tanto per fare un nome, anche a Marco Mancassola di scrivere un secondo romanzo etero dopo un primo romanzo gay. Ed è una particolarità bizzarra, se si pensa che in altri paesi, Usa e Inghilterra in testa, scrittori gay “senza se e senza ma” come Michael Cunningham, Armistead Maupin, Edmund White o Alan Holinghurst, sono celebrati dalla critica e dal pubblico, vendono valanghe di libri e ricevono premi niente affatto di settore come il Pulitzer o altrettanto prestigiosi riconoscimenti letterari. C’è qualche caratteristica italiana che impedisce che da noi si creino carriere analoghe, o che spinge gli scrittori gay a emigrare verso tematiche sessuali più conveniente dal punto di vista della carriera? Abbiamo girato la polemica domanda proprio a Mancinelli, che ha risposto molto volentieri.

“Per quanto mi riguarda”, dice, “il primo libro doveva essere a tematica gay. Era il mio romanzo di formazione in cui, anche se non è strettamente autobiografico, emerge l’importanza formativa delle paure e delle speranze legate all’essere omosessuale. Questo però, attestando il fatto non scontato in partenza che sono sopravvissuto, ha chiuso una fase dal punto di vista creativo. Mentre dal lato dell’impatto sociale del mio lavoro, il fatto che il libro sia piaciuto mi ha imposto automaticamente l’etichetta di scrittore gay, con tutte le ambiguità di questa definizione.


Quali ambiguità?

Diciamo pure svantaggi, se ambiguità è troppo vago. Faccio un ragionamento terra terra: se finisci sullo scaffale gay della libreria, un sacco di gente non guarderà mai nemmeno la copertina del tuo libro. Molti librai non lo terranno neppure. Quindi mi sembra comprensibile che dopo un primo libro che va bene scatti la voglia di non fermarsi. Troppo piacevole continuare a scrivere quando è sempre stato il sogno della tua vita. Quindi non vuoi fermarti. E non ti piace sapere che ci sono novanta o novantacinque lettori su cento che neanche ti prendono in mano perché ritengono che tu non abbia nulla da dire a loro. D’altra parte, finora, il 75% delle cose che ho scritto è a tematica gay. Non m i sembra poco.


Ma la scelta di cambiare argomento deriva da un’urgenza creativa o da una considerazione di mercato?

Cominciamo subito col dire che non ho pregiudizi nei confronti del marketing, anche se ne colgo i limiti e ne parlo nei miei libri. Ce l’ho un po’ nel sangue e lo insegno pure. Confesso che preferisco avere dieci lettori anziché uno. Perciò, se nel decidere di scrivere un romanzo “eterosessuale” ci fosse anche un po’ di opportunismo non ci troverei niente di male. Può esserci del resto anche nell’ostinarsi a scrivere romanzi gay non avendo più niente da dire sull’argomento. Per opportunismo si può anche diventare una specie di Liala gay. Nel caso di Cuori meccanici rispondo però che il mio interesse nei confronti dell’eterosessualità era prima di tutto letterario. Mi andava di scrivere pensando a lettori diversi, specialmente alle donne. E poi comunque mi pare riduttivo definirlo un romanzo etero. Direi che esplora un territorio più di confine, come il protagonista, che è un eterosessuale pieno di fantasmi gay.


Non ti sembra che in Italia i territori di confine, come li chiami tu, siano già abbastanza affollati?

Non voglio fare il solito discorso dello scrittore o del cantante gay “ambiguo” che non si definisce perché lo considera ghettizzante. Io sono dichiarato da sempre, non ho mai detto bugie né cercato scuse. Però sia come persona che come scrittore ritengo di avere ancora il diritto di esplorare me stesso in qualunque direzione mi interessi. Se mi ispirano altre storie dovrei scrivere cose gay solo perché io sono gay? Finché sono giovane ho il dovere di fare esperienze. Avrò tempo per fare scelte più prevedibili quando sarò ricco e famoso, no? In ogni caso, per dimostrare che non ho nessuna intenzione di tradire i miei lettori gay, ho già in mente qualcosa per il futuro.


Anche se la tematica gay, da quello che dici, è molto marginalizzata nel mercato editoriale?

Non è il caso di fare dell’umorismo. Più vivo in Italia e più mi sembra che la libertà sia più che altro un’immagine di facciata. Nemmeno a Milano la si può dare per scontata. In un mio prossimo romanzo vorrei occuparmi, anziché dei pruriti sessuali del protagonista, dell’omosessualità da un punto di vista più politico. Affrontare cose come il fatto che dire al capoufficio che sei frocio è ancora un problema, persino nell’avanzatissima Milano. E che il problema molto spesso siamo proprio noi, i froci che non hanno il minimo coraggio di essere se stessi nella vita di tutti i giorni. C’è una rimozione mostruosa, perfino in ambienti insospettabili. E non basta certo essere orgogliosi di sé solo quando si va al Pride, ammesso che ci si vada. Dove sta l’orgoglio se nemmeno ci si dichiara in ufficio?


Quindi la responsabilità del fatto che in Italia ci siano pochi romanzi gay si potrebbe addebitare un po’ anche agli omosessuali, che essendo una massa di velate non costituiscono un pubblico di lettori sufficientemente forte?

Detta così suona un po’ assurda, ma è sicuro che da noi la letteratura gay è considerata un prodotto di nicchia. E’una cosa legata anche a come sono fatti gli editori in Italia. Qui siamo ancora un po’ al “si fa ma non si dice”. Il libro gay magari viene anche pubblicato, ma poi non viene promosso. E’ un po’ come dire “scrivete pure ma non fatelo sapere in giro”.


Se però qualche libro dopotutto esce e tu vieni perfino intervistato sull’argomento, vuol dire che un pubblico c’è, non ti pare?

Certo che c’è, ma è piccolo. E’ praticamente impossibile, con un romanzo gay, fare il colpaccio che tutti gli scrittori sognano di fare.


Mi permetto di insistere: non sarà che gli scrittori gay italiani, a immagine e somiglianza di una omosessualità nazionale poco orgogliosa, sono un po’ conformisti a loro volta?

Le mie prime due parole pubblicate sono state “Sei omosessuale”, perciò ritengo di avere già dato. Non ho firmato però nessun contratto che mi ordina di astenermi dal maneggiare personaggi eterosessuali. E poi, visto che provochi, ti voglio dimostrare che anche il mio cosiddetto “romanzo etero”, Cuori meccanici, non è così etero come potrebbe sembrare a una lettura disattenta. Anzi, direi che propone una visione molto inclusiva dell’omosessualità. Se è vero infatti che il protagonista è un eterosessuale, peraltro piuttosto confuso, è anche vero che i gay lo circondano, a cominciare dal suo migliore amico, sono più realizzati di lui. E’ un etero che non solo non ha paura degli omosessuali, ma ha anche la capacità di ammettere che sono meno sfigati di lui.


Va bene, ma c’è spèranza che questi gay così carini, simpatici e realizzati diventino i protagonisti delle storie che scrivi?

Dopo il primo romanzo, ho aspettato di avere una buona storia di questo tipo. Ormai non è facile essere originali nemmeno parlando di omosessualità, visto che lo fanno anche le telenovelas. Adesso, come dicevo, ho qualcosa in mente. Intanto il mio terzo romanzo, che è già scritto, è una storia corale. Racconta di un gruppo di studenti europei che si conoscono a Parigi negli anni novanta. Qui, in una delle città più belle e stimolanti del mondo, vivono l’età dell’onnipotenza, con gli amori, le amicizie e le sperimentazioni del caso. Poi però crescono…

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