Gli arabi e noi

Intervista a Vincenzo Patanè

Vincenzo Patanè, critico cinematografico, firma importante del mondo culturale omosessuale italiano, è nato in Sicilia, da 22 anni vive e lavora a Venezia, si definisce napoletano "per essenza e per cultura". Quando ha scoperto di essere napoletano?
Sono figlio di un siciliano e di una napoletana e così a nove anni mi sono spostato dalla natia Acireale a Napoli, una città eccezionale, che mi ha plasmato e forgiato culturalmente e umanamente.
Mi sento napoletano, anche se poi, scherzosamente, amo definirmi uno "spartano-napoletano", visto il rigore e l'impegno che amo mettere in tutte le cose che faccio.


Il suo libro, Arabi e noi. Amori gay nel Maghreb, scritto prima del disastro delle Torri, è un saggio molto completo e preciso sul mondo arabo, e ha toni intimi in alcuni punti, quasi un diario personale.

Com'è nato?
Un libro simile (che, ricordo, ha un titolo, impostomi dalla casa editrice, un po' fuorviante, visto che metto la lente d'ingrandimento in particolare sul Maghreb e non sul mondo arabo tout court) non può che nascere innanzitutto in loco, sul campo, attraverso appunti e note personali che si sommano, si stratificano, fino ad incastrarsi in un tutt'uno logico e congruente (ma anche, naturalmente, non esente da contraddizioni).
Sono stato molte volte in Marocco e in Tunisia, anche per lunghi periodi. Lì, benché sicuramente condizionato dal fatto che non conosco l'arabo, indispensabile per comprendere quelle realtà, ho cercato quanto più possibile di entrare a fondo in quelle società suggestive ed interessanti, quanto estremamente diverse dalla nostra (ma anche, lo sottolineo, con numerosissime affinità con la realtà siciliana e meridionale in genere degli anni Cinquanta, ossia quella della mia infanzia).


Pym Fortuyn, il leader gay olandese assassinato negli scorsi mesi, si scagliò contro la minoranza musulmana che minacciava le libertà sociali della comunità glbt.

È lecito parlare di una questione araba interna alla nostra società?
In Italia fino agli anni Ottanta non era lecito. Adesso sì, più che mai, visto che per una discreta fetta gli immigrati che arrivano nel nostro paese sono arabi o, in senso più lato, musulmani.
Ma siamo in buona compagnia, visto che la cosa riguarda da vicino quasi tutti gli stati della Comunità Europea e moltissimi altri al mondo, Stati Uniti e Russia in primis. Anzi, rispetto a questi paesi arriviamo per ultimi, ad affrontare alcuni problemi di fondo.
Rimane certamente da definire se la questione è poi effettivamente tale.
Personalmente, credo ci siano i termini: mettendo da parte i fondamentalismi e, soprattutto, gli integralismi - schegge impazzite di un Islàm in evidente crisi di fronte alle lusinghe consumistiche del mondo moderno - il problema più grande mi sembra quello di una religione che ama proporsi per definizione (forse come nessun'altra) anche come morale e legge, cosa che non può non entrare in attrito con le società laiche.
Così, saranno moltissimi gli scogli da superare per vivere in armonia, dall'uso dello chador alla poligamia.
Ma non credo che la cosa toccherà, se non marginalmente, l'omosessualità come ora è vissuta nei paesi occidentali.


Leggiamo le cose da un altro versante: il Mediterraneo è un legame indissolubile, dice Khaled Fouad Allam. Leggendo il suo libro traspare una mitizzazione reciproca tra Occidente e mondo Arabo, come amanti che si odiano-amano. Questo fa male ad entrambe le società, che sono più vicine di quanto si creda: ci bagniamo nello stesso mare come rane in uno stagno, osservarono i greci fondatori dell'Occidente.

Quali difficoltà ci sono per l'integrazione delle culture del Mediterraneo, quando potremmo auspicare di vivere negli Stati Uniti del Mediterraneo?
Effettivamente nel mio saggio ho iniziato il discorso proprio col mito dell'Orientalismo che, a partire dal Settecento, ha stregato e continua a sedurre moltissimi occidentali (io stesso da bambino cullavo i miei sogni fra tappeti volanti e lampade magiche).
È stato in quel periodo che la spocchia occidentale ha iniziato a dover ammettere, sia pure a denti stretti, che esistessero altre civiltà degne di attenzione (e, solo in seguito, di rispetto).
Credo che tuttora il fascino che l'Oriente esercita continui ad esistere per molti, quantunque contrapposto all'evidente fastidio che altri provano per quella civiltà in particolare.
Sulla sponda opposta, in compenso, non è difficile riscontrare un atteggiamento analogo: le società arabe se odiano l'Occidente in quanto lesivo dei loro valori tradizionali, ne sono indubitabilmente anche ammaliate.
Ciò detto, non ci si può non augurare che questo conflitto stridente fra queste due Weltanschauung così diverse, se non in molti punti antitetiche, sia frutto di un momento contingente, e che in futuro si possa vivere con maggiore armonia e rispetto reciproco.
Per quanto riguarda il Mediterraneo, i greci avevano evidentemente ragione, ma pensare ora ad un'integrazione fra i vari stati che vi si affacciano è pura utopia.
Piuttosto, noi italiani su tutti dovremmo ricordarci la nostra naturale posizione di ponte fra l'Europa ed il Maghreb, farci carico di questo compito, oserei dire fisiologico, di pendant fra le due culture e, soprattutto, finirla di infastidirci se qualcuno osa paragonarci a Tunisi, vicina peraltro in linea d'aria pochi kilometri dalla Sicilia, piuttosto che a Francoforte.


Lei ha scritto: "il cinema, come ogni altra forma artistica, rispecchia la società e quest'ultima non è fatta per le rivoluzioni, ma si adatta meglio a striscianti passi in avanti, dei quali è piacevole dover prendere atto". E se questa funzione sociale divenisse strumentale a un potere non libero?

È già accaduto molte altre volte e chissà quante altre accadrà, che il cinema, come tutte le altre espressioni artistiche, possa diventare strumentale ad un potere dittatoriale, come fu per il becero cinema sovietico che prese il posto dello straordinario, immaginifico cinema di Dziga Vertov, Ejzenstejn e altri.
Bisogna però ricordare che esiste, per quanto raro, anche un cinema sì servo di un regime non democratico, ma capace comunque di esprimersi ad altissimi livelli formali: si pensi a Leni Rienfenstahl e agli eccezionali Il trionfo della volontà e Olimpia.
Rimane il fatto (dato per scontato che il cinema esprima le problematiche della società, le sue evoluzioni come le involuzioni) che, a mio parere, esso si muove con passi leggeri, rinunciando nella maggior parte dei casi ad una sintassi rivoluzionaria e a contenuti forti, per assumere i toni accattivanti di intrattenimento e di imbonimento di massa.
Anche così, però (questo vale anche per il tema dell'omosessualità) a modo suo contribuisce a un sviluppo della società.


A proposito della frase, "che fine ha fatto Terence", il sito goliardico di cui lei curava la sezione cinema?

Terence (legato prima a Spray e poi a Clarence) offre attualmente un servizio ridotto di redazione, per gravi problemi economici, avvertiti già a metà dell'anno scorso ed esasperati dalla situazione economica mondiale creatasi dopo l'11 settembre.
Per il momento è così, ma non è detto che non ritorni ad essere operativo, come sono in molti a sperare.
Io personalmente mi sono trovato molto bene, ero felice di collaborarvi, anche se per la verità non era poi facilissimo trovare ogni settimana un film adatto ad un sito gay, per una recensione di oltre 6.000 battute.


Ci sono sempre meno grandi registi (ancora meno omosessuali) e sempre più produttori che inseguono il target glbt per il proprio mercato. Cosa pensa di questo, cosa è cambiato rispetto all'epoca di Visconti e Pasolini?

Tutto: è cambiato tutto.
Una disamina seria dell'argomento richiederebbe però evidentemente uno spazio enorme. In generale, posso dire che la situazione mondiale dei film a tematica omosessuale offre un certo respiro, fermo restando la pochezza del cinema italiano, mediocre in valore assoluto e quindi anche su questo versante.
Sicuramente, il cinema gay ha perso, persino a livello indipendente, molta della sua audacia; in compenso, sono sempre più frequenti i film che propongono figure positive di omosessuali, inseriti fluidamente nella società per quanto - è questo evidentemente lo scotto da pagare al cinema commerciale - vengano presentati di fatto asessuati.
Tutto ciò è un progresso?
Non è facile rispondere; a qualcuno della comunità gay andrà bene, altri saranno scontenti.
Per me questa situazione è comunque positiva, poiché può contribuire, per dirla alla Robbe-Grillet, a quegli slittamenti progressivi di evoluzione sociale di cui si parlava prima.


La coppia Ardant-Deneuve nel recente 8 donne e un mistero e Le modelle di Mulholland Drive di Lynch appaiono lontane dal vissuto lesbico, vicine piuttosto allo stereotipo. Cosa pensa di questa forma di rappresentazione lesbica per maschi eterosessuali?

Be', non credo che il film di Ozon rientri nel discorso.
Comunque non è certo una novità: è sempre esistita, anzi per certi versi ha funto da battistrada ad una maggiore visibilità dell'omosessualità; basti pensare al celebre film di Claude Chabrol, Les biches (lasciato così in italiano per la sua possibile lettura maliziosa), che fece enorme scalpore nel 1968 e che inaugurò un filone nel quale l'amore fra le donne fu poi sfruttato come un ingrediente fisso di tanti film, soprattutto pseudoesotici.
Ovviamente in sé non è certo una cosa positiva, ma fa parte del gioco.


Quali sono i suoi progetti futuri?

Ho iniziato già a lavorare ad una storia del cinema omosessuale europeo (e quindi anche italiano) a partire da quegli anni Settanta - proprio quelli di Visconti e Pasolini! - che hanno funto da spartiacque, preceduta da un ricco capitolo iniziale su quanto era accaduto prima.
Se tutto va bene dovrebbe essere pronto per la fine dell'anno prossimo.

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