Le rondini di Tunisi

Intervista a Alessandro Golinelli

10 maggio 2005, "Pride", maggio 2005

L'immigrazione clandestina, i naufragi di barche di terza mano non sempre in grado di affrontare vento e Mediterraneo aperto, gli approdi fortunosi sugli scogli di Pantelleria o di Lampedusa, la permanenza in centri di accoglienza, le fughe verso il nord d'Italia, i rimpatri nei paesi d'origine... sono materia di cronaca quotidiana e non oggetto di romanzi. Se non in alcune opere scritte in italiano da autori non italiani, relegate spesso ingiustamente nell'ambito di una letteratura di genere, che gli studiosi classificano come "letteratura della migrazione". Penso in particolare a libri come Immigrato firmato da Salah Methnani e Mario Fortunato (Theoria 1990), a Io, venditore di elefanti di Pap Khouma (Garzanti 1990), o anche a Chiamatemi Alì di Mohamed Bouchane (Leonardo 1991).

Il nuovo romanzo di Golinelli fa pensare per certi aspetti a questi libri, ma è molto più complesso e il confronto, a più livelli e più in profondità, di lingue, religioni e culture sembra prefigurare con più incisività come inevitabilmente, prima o poi, saremo (Le rondini di Tunisi, Marco Tropea Editore, pp. 256).
Anche qui colpisce la rappresentazione drammatica delle esperienze degli immigrati, che mentre ci parlano dei loro disagi e delle loro sofferenze, ci parlano anche di noi e della nostra cultura, di cui vedono cose che noi, per assuefazione, non vediamo più. Attraverso il loro sguardo conosciamo meglio noi stessi e ci accorgiamo, forse con stupore, che sanno di noi più di quanto noi sappiamo di loro.
Ma nel romanzo di Golinelli il qui e l'altrove assumono caratteristiche diverse, perché non c'è solo l'esperienza dei giovani tunisini che lasciano il loro paese alla ricerca di un futuro in Italia, ma anche l'esperienza del protagonista-narratore del romanzo, che quel viaggio lo fa all'incontrario, dall'Italia alla Tunisia, alla ricerca di autenticità, di colori, di suoni, di bellezza e di giovinezza reali, "e non preziose rarità virtuali".

Il romanzo inizia con la rappresentazione di una casa, la maison des fous, la casa dei folli, dove vive Amir, lasciato qui dai genitori emigrati in Francia, e dove si incontrano i suoi amici, tra cui il narratore della storia, l'italiano che qui tutti chiamano, per i suoi tratti somatici, "il finlandese" (e il soprannome, che sembra marcare la distanza, nello stesso tempo la attenua, perché sottolinea una forma di familiarità che lo trasforma in uno di loro).
Per il "finlandese", Amir è compagno, complice, amante, come può esserlo un ragazzo arabo. Ad un certo punto chiarisce molto opportunamente il narratore: "ovviamente non mi amava, né secondo il concetto di amore occidentale - complementarità, assoluto, eternità,
fedeltà - né secondo quello di qui: non posso dargli figli. Ma per me era assai più che sufficiente..." .
Insieme ad Amir popolano la maison des fous Ibrahim, sempre con una lattina di birra in mano e altre quattro in un sacchetto, e sempre con la mente alla non distante zona turistica, dove rimorchia straniere disponibili; Abdali, il cantante, elegante e raffinato che esibisce pure una fidanzata che all'occasione mette in comune con gli amici, Moas, il figlio del calzolaio, "corpo longilineo, volto felino, occhi grandi", che contribuisce al fabbisogno di birra, hashish e musicassette della maison con piccoli furti sul posto di lavoro, Hosni, che lavora in un negozio della zona turistica, ossessionato dai soldi e che, per guadagnarne, alterna piccoli furti a regali che riceve da qualche omosessuale occidentale in cerca di compagnia, Tareq, "un ragazzone di diciotto anni con proporzioni da gigante e volto infantile", "uno dei migliori pescatori del paese", suo fratello Rashid, "più gigantesco di lui" e poi ancora Karim, Zakher e altri ancora.

È tramite questi ragazzi che il nostro protagonista entra nel mondo della famiglia araba, partecipa a riunioni parentali e a matrimoni, coglie differenze e affinità tra loro e noi, in un mescolamento di valori e culture visto dall'interno, perché lo sguardo innamorato di Golinelli sembra annullare distanze e diffidenze.
Il sogno di questo ragazzi è l'Italia, e alcuni di loro riescono ad arrivarci, rischiando carcere, naufragi e morte. In una delle pagine più belle del libro, Golinelli descrive la mattanza delle rondini, impallinate o fatte saltare in aria da mine seppellite sotto cumuli di pietra dai contadini tunisini, prima che distruggano il raccolto. Dopo la mattanza le rondini che a stormi solcano il cielo sono sempre migliaia, e un po' come le rondini, anche l'esercito di adolescenti in fuga verso l'Italia è inarrestabile. "Nessuna morte ferma la vita".
Qualcuno di loro muore, ma altri ce la fanno ad approdare a Milano, dove vivono la frustrazione di una realtà diversa da quella che avevano sognato, e dove sperimentano tutti i problemi dell'integrazione e di un confronto difficile con un mondo spesso ostile e diverso dal loro.


Il confronto tra culture che attraversa le esperienze e le avventure di questi ragazzi diventa centrale nella storia d'amore tra Qassam (fratello maggiore di Ibrahim, più adulto degli altri, operaio in una industria tessile, tra i pochissimi a non voler lasciare il proprio paese), e Diana, un'italiana, divorziata, che lavora a Tunisi.
Sono due personaggi fragili: lui insegue il sogno di costruirsi una casa, di sposarsi, ma è sempre in lotta con la precarietà del lavoro, con le difficoltà di una realtà che pare accanirsi contro di lui, con i pregiudizi interiorizzati nei confronti di una donna occidentale, libera e autonoma. Lei, delusa da un matrimonio fallito, è innamorata, ma diffidente nei confronti di un mondo che non sempre capisce.
La loro storia d'amore, ricca di sfumature (dal desiderio all'amore, dalla tenerezza e dall'abbandono alla diffidenza e alla difficoltà di comunicazione), è emblematica (ancor più delle esperienze dei ragazzi immigrati) di un incontro di due mondi: difficile, ma inevitabile e straordinariamente ricco quando si sostanzia di gesti e scambi reali, di emozioni vere, senza le lenti deformanti del turistico e dell'esotico.
Con questo romanzo, forse il più bello che ha scritto finora, Golinelli ci dà una rappresentazione inedita del tema dell'immigrazione e del confronto tra noi e gli arabi, un tema drammaticamente attuale, che qui si arricchisce di una autenticità e di una verità che spesso solo la letteratura sa dare.


Qualche domanda a Golinelli.

Come nasce questo libro, così nuovo rispetto ai tuoi precedenti?
Potrei dire che nasce da un incontro tre anni fa con un ragazzo tunisino che è poi diventata una bella amicizia... ho cominciato ad andare a Tunisi con lui, ho conosciuto altre persone, ho avuto il privilegio di essere introdotto nel loro mondo familiare, ma c'era anche la consapevolezza del fatto che era il momento di ripensare la mia cultura, la mia formazione, di globalizzazre il mio pensiero. E poi forse anche la volontà di confrontarmi con il mio passato, oltre alla convinzione che dopo l'ultimo romanzo era arrivato per me il momento di una svolta radicale.

In che senso parli di confronto con il tuo passato?
Il villaggio di pescatori del romanzo è anche la mia infanzia a Corniglia, un paesino delle Cinque Terre dove è nato e vissuto mio padre e dove ho passato tutte le estati da maggio a ottobre fino ai sedici anni... l'odore del mare, la pesca, le sere d'estate davanti all'uscio a raccontare... Lì io trovo molto del mio passato, le mie radici e in qualche modo me stesso.

Quanto ha contato il sesso in questo tuo innamoramento per il mondo arabo?
Il sesso, per essere espliciti, ha contato molto. Io sono sempre stato contento di essere gay perché la nostra promiscuità ci permette, soprattutto viaggiando, di conoscere molto più in diretta e molto più rapidamente di altri...

A proposito del sesso gay nei paesi arabi, ce la meniamo un po' troppo con l'idea dello sfruttamento della loro povertà.
Tutto dipende da come ti poni nei loro confronti, e poi se sfruttamento c'è, è reciproco: se incontri ragazzi in certi posti, dove sono andati con l'intenzione di fare quello che fanno, c'è poco da corrompere.
Una notte ero con tre amici in spiaggia e ti assicuro che non pensavo assolutamente di "farmeli". Poi mi hanno proposto di fare il bagno nudi, mi hanno invitato in una tenda lì vicino, hanno cominciato a provocarmi e di fronte a tre bellissimi ragazzi nudi e disponibili...
Il fatto è che per loro il piacere non è una colpa come per i cattolici, e questo li rende più liberi. È vero che fare sesso con un uomo significa venir meno ad una prescrizione del Corano, ma si tratta di una infrazione di poco conto.
È come bere una birra. Nemmeno bere birra è permesso ma tutti, o quasi tutti, la bevono. Allo stesso modo non è permesso fare sesso con un uomo, ma tutti, o quasi tutti, lo fanno.
Un'altra volta ho fatto sesso con un ragazzo che mi ha corteggiato con insistenza e lo abbiamo fatto come due omosessuali... perché c'è una percentuale di omosessuali anche tra di loro...

I tuoi ragazzi tunisini e il tuo atteggiamento nei loro confronti mi fanno pensare un po' ai "ragazzi di vita" di Pasolini. Anche lì, fatte tutte le distinzioni del caso, la conoscenza nasceva dall'innamoramento...
Sì, un po' è vero, ma il mio è un approccio diverso.
Io sono meno arrogante di Pasolini. Lui i ragazzi di vita li voleva preservare così come erano... io non do giudizi su di loro, se mai su di noi.

Cosa pensi di chi in Italia (e non c'è bisogno di fare nomi) scrive pamphlet livorosi di aperta ostilità nei confronti del mondo arabo?
Uno scrittore ascolta il mondo, non gli urla addosso, e se vuoi questa è anche una risposta alla Fallaci.

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