Il poeta che parla all'uomo

Intervista a Mario Stefani

16 maggio 2005, "Babilonia", n.88, Aprile 1991

San Giacomo dell'Orio è un delizioso campo veneziano, con una chiesa medioevale piena di tesori, accumulatisi nei secoli. E' un campo escluso dal frenetico via vai del turismo di massa. Il turista che viene lo fa apposta per vedere la Venezia autentica: studenti, vecchi, animali, osterie.

Accanto al campo c'è la casa del poeta Mario Stefani, zeppa di quadri d'autori famosi che, con i ritratti del poeta, hanno voluto testimoniargli la loro stima. Nel suo studio, affollato da cataste di libri, abbiamo incontrato Mario Stefani.


Che cos'è la poesia?

La poesia per molti aspetti è un fatto misterioso, forse l'unica cosa che la scienza non riuscirà mai a spiegare: ci visita quando vuole lei, tanto è vero che molte volte, pur con le migliori intenzioni e le più grandi passioni, scriviamo gran brutte cose. Per alcuni la poesia è una confessione, come una ferita, come un taglio sulla corteccia di un albero, mentre per altri è una perfetta, geometrica costruzione mentale.


Ha senso scrivere poesie oggi?

Ha sempre senso scrivere poesie, perché la poesia parla dell'uomo, è un ponte per parlare a se stesso e per comunicare con gli altri e l'uomo, finché esisterà ne avrà sempre bisogno.


Però è vero che oggi la poesia ha meno fruitori che nel passato, sia per quanto riguarda i lettori che per gli acquirenti di libri.

E' verissimo. Eugenio Montale una volta nella sua casa milanese mi disse: "La poesia ha come fruitori i poeti stessi ed è perciò un circolo chiuso".

Penso che possa dipendere da questa società che è sempre più visiva, semprè più legata ad una videodipendenza, che è forse la peggiore tra le dipendenze perché è di fatto un'ipnosi passiva. Io che insegno, e quindi sono a contatto con i giovani, vedo che per loro troppe volte quello che dovrebbe essere un mezzo è in realtà il fine. Per quanto mi riguarda, io sono felice di constatare di avere come lettori un fruttivendolo, uno che vende ferramenta e colori, due gondolieri. E' per me una vera chicca.


Ha significato molto la poesia nella tua vita?

Be', direi di sì. Praticamente ho scritto da sempre, sin da quando ero alle elementari: poesie sull'infinito e sulla notte, che credo che non fossero proprio malvagie. Poi ho continuato legandomi ad influenze dantesche e petrarchesche per poi liberarmene: i maestri si amano ma poi bisogna tradirli....


Quali sono i poeti che hai amato di più e che ti hanno maggiormente influenzato?

Io mi identifico molto con l'amore per l'eros, per la bellezza, per l'adolescenza del mondo dei lirici greci ed alessandrini.


E Sandro Penna, che quest'anno è stato molto celebrato?

Senz'altro. Sandro Penna, che è stato un mio ottimo amico, ha condiviso i miei stessi temi di amore estatico per la bellezza adolescenziale. Ma io, debbo dire, mi sento anche un po' poeta civile: d'altra parte non si può non esserlo in quest'Italia così violenta. Non posso non trasferire nelle mie poesie quest'angoscia e quest'inquietudine.


Il sesso è comunque predominante nelle tue poesie. Tempo fa hai anche pubblicato un libro di poesie erotiche. Come vive il sesso ed il corpo nella tua poesia?

Gioiosamente, spero, per me il sesso è come un'ancora, una specie di porto che finalmente mi offre riposo e mi fa sentire veramente felice. Ma penso che sia molto importante anche l'amicizia: mi piacerebbe vivere tanto in Olanda o in Danimarca, però con i sentimenti di un meridionale, di un napoletano. Anzi, ancora più giù: la Sicilia è troppo su per me.


Il sesso nella poesia riesce nell'intento di sviluppare l'immaginario di chi legge?

Certo, la poesia è anche un grimaldello per buttare via ipocrisia e pregiudizi e per cercare di liberarsi dalle inibizioni.


Secondo te com'è oggi il quadro della poesia gay italiana?

Certo non c'è nessuno all'altezza di Sandro Penna o Pier Paolo Pasolini o di quello straordinario poeta, che io amo terribilmente, che è Constantinos Kavafis. Comunque vi sono alcune poesie di Dario Bellezza particolarmente belle.


A proposito di Bellezza, che ne pensi delle sue diatribe televisive con Aldo Busi? Pensi sia corretto che l'intellettuale sfrutti i mass media ed in particolare la televisione?

Be', io per natura mia sono molto pacato e non ho quella vis polemica che serve in questi casi. Ma non mi sembra una cosa cattiva. Oltretutto rende a incrementare non poco le vendite dei libri.

Anche se c'è da dire che poi la gente riconosce il personaggio solo per quegli atteggiamenti litigiosi o polemici. Io sono amico di Sgarbi, che è un valentissimo critico, ma è ormai conosciuto solo perché ha insultato qualcuno. Ma forse sono anche i mezzi di massa che aiutano a sviluppare questi atteggiamenti.

In tutto ciò mi è dispiaciuto di non avere assistito al litigio di cui parlavi tu e di non avere visto come si sono lanciati rossette e borsette addosso.


Comunque sia, tutto ciò mi sembra un po' fine a se stesso. Io direi che da quando non c'è più Pasolini manca nella nostra società un intellettuale gay militante. Sei d'accordo?

E' vero. Sia per l'autorevolezza con cui diceva le cose sia per l'intelligenza e la lungimiranza.


In questa società di forte disimpegno c'è un minimo di impegno sul versante gay?

Io ho sempre vissuto con impegno la mia omosessualità e già negli anni Sessanta nelle mie poesie ho detto di amare l'uomo e non la donna. Ma generalmente penso ci sia in Italia una situazione molto differente, ad esempio, dalla Francia, dove c'è l'intellettuale engagé, nel senso buono del termine. Si pensi ad André Gide, con quale coraggio ha testimoniato la propria omosessualità, finendo col vincere il Nobel. Qui in Italia si è più cortigiani, si teme troppo di perdere un premio o la prebenda di un industriale e poi c'è la Chiesa che ha sempre funto da freno.


Pasolini, ed ora Dominique Fernandez, sostengono che la maggiore permissitività limiti la forza eversiva delle opere. Che ne pensi?

Non è detto, dipende dalla persona. Disgraziatamente questa società ci dà sempre pretesti per combattere o essere arrabbiati.

Piuttosto non sempre ci sono persone in grado di farlo. Gli artisti non nascono come funghi.


Per un gay è più facile vivere in questa società rispetto all'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta?

Sì, io ho vissuto anni molto brutti, subendo tante, diciamo così, piccole torture ed anche tante terribili umiliazioni...


Come Pasolini a cui fu tolta a Casarsa la tessera del Partito Comunista...

Be', io sono stato sempre radicale, un partito in cui è cosa normale che ognuno esprima se stesso sia nel pensiero che nella vita sessuale.

No, mi riferisco ad altro. Una volta, ero molto giovane, lessi sul giornale che in Francia una ragazza si era tagliata le vene per amore di un'altra ragazza; mi commossi molto, pensando che fosse una cosa bellissima; a tavola, i miei commentarono molto aspramente l'accaduto ed allora mi alzai in piedi e dissi che anch'io ero così. Gli insulti, le violenze, le pressioni furono terribili, in ogni senso. Mia madre arrivò persino a parlare con Aldo Palazzeschi e con Diego Valeri che avevano fatto delle prefazioni a dei miei libri, dicendo loro di non farmele più se non avessi cambiato le "o" in "a". Loro ovviamente non le dettero ascolto e e mi riferirono tutto.

Adesso i tempi sono cambiati. Io addirittura per molte madri - gente del popolo, schietta, semplice - sono una specie di mago. Molte volte mi danno i loro figli in consegna perché sentono che posso dar loro un'educazione, nel senso più ampia, socratica.


D'accordo, i tempi sono cambiati. Ma per l'omosessuale esistono tutt'ora, a volte, vessazioni, discriminazioni ed altro?

Penso che ciò sia più grave nei paesi che nelle città. I paesi sono più chiusi, ristretti. Le città garantiscono l'anonimato. Senza di loro la nostra libertà neanche sarebbe esistita. Adesso fungono più che mai da catalizzatrici.

Quando c'erano società di tipo diverso, come il mondo greco-romano, con religioni che inneggiavano al piacere sia con la donna che con l'uomo, tutto il discorso si poneva differentemente. Basti pensare a Ganimede, amante di Zeus, o a Ercole che aveva le sue donne ma anche il suo ragazzino o a Senofonte che raccomandava che il soldato portasse sempre con sé il suo ragazzo. Oppure si pensi, in epoca più recente, a Nelson che, per motivi pratici, si portava gay sempre dietro, perché così poteva stare con le sue navi anche sei mesi senza toccare porto.

Ora è diverso, ma grazie alla città il processo di liberazione va avanti. Anche se in qualche paese le cose funzionano meglio. Conosco un paese della zona dove in una trattoria il trattore è dichiaratamente gay, tutti se ne fregano, la gente va a mangiare senza problemi anzi è divertita.


Per un poeta gay all'esordio pensi ci sia qualche difficoltà in più?

Sicuramente. A me è capitato più di una volta, attraverso piccole penalizzazioni. Una volta l'editore Vallecchi stava per pubblicare un mio libro, con la raccomandazione di Palazzeschi e di Betocchi, ma poi - me lo ha rivelato lo stesso Palazzeschi - si sono scandalizzati e non se ne è fatto niente. Un'altra volta, quand'è morto Pasolini, stavo per vincere il premio Milano di poesia, ma hanno avuto paura dell'argomento e mi hanno escluso dalla vittoria.

Io penso però che tutto ciò può fare anche piacere: è troppo felice avere le cose senza lottare. Bisogna dimostrare di avere una struttura ossea, vincendo le resistenze che nella vita esistono sempre, in varia maniera. D'altronde credo che la poesia abbia proprio una sua forza dentro, dandoti un bagno di dolore ma a volte anche di gioia. La poesia serve come stimolo e sprone.


Tu prima nominavi l'Olanda... Ormai tra pochi mesi ci sarà l'Europa unita, che raggrupperà paesi come l'Olanda e paesi come l'Italia, decisamente più indietro nel campo dei diritti civili.

Tu pensi sia possibile pensare in un futuro prossimo ad una società italiana più giusta verso i gay, dove per esempio la coppia gay sia legalizzata?

Ci sono notevoli resistenze, credo che la cosa non sarà facile. Ma ne abbiamo visto di tutti i colori. E' caduto il muro di Berlino, il comunismo dell'Est... Quindi tutto è possibile, è difficile azzardare delle previsioni.

Però se pensiamo ai passi in avanti fatti dagli anni Cinquanta forse è lecito sperare. Ma tocca a noi. Dobbiamo avere il coraggio di non vergognarci, dobbiamo manifestare allegramente come siamo, lo dobbiamo dire. Io credo che se lo facciamo la gente ci accetterà quasi sempre più facilmente perché, strano a dirsi, la gente disprezza chi si vergogna, mentre se si ha il coraggio delle proprie azioni lo si rispetta. E allora tutto diventerebbe una cosa normale. Al giorno d'oggi si vedono i ragazzi vestiti di tanti colori squillanti, cosa impensabile quando io ero giovane, e lo si accetta: l'originalità di massa viene accettata, diventa normalità. E noi siamo almeno, come si dice, il 10% della gente, senza contare quanto hanno rapporti con entrambi i sessi. Se si facesse come dico io forse ci potrebbe essere un cambio di marcia.

Molta parte della colpa per come siamo è a causa della religione cattolica che è sessuofobica: condanna persino l'amore fra un uomo e una donna al di fuori del matrimonio, figuriamoci tra due uomini... Alla Chiesa - cosa ben diversa dal sentimento religioso - ha fatto sempre comodo creare dei complessi di sudditanza, che poi gestisce per conto suo. E poi la Chiesa è molto furba perché il comunismo aveva promesso il paradiso, ma ora si è visto che non c'è, mentre la Chiesa ce lo promette nell'aldilà, ma dall'aldilà nessuno è tornato e così sono duemila anni che ci prendono in giro.


Anche il discorso sull'Aids viene strumentalizzato...

Qui, credo che tu abbia ragione, la società è cambiata. Se l'Aids fosse venuto qualche decennio fa l'avremmo pagata molto più caramente, con roghi o quasi; ora, a parte qualcuno come il cardinal Siri, pochi tentano di colpevolizzarci.

Per me, nella mia vita non è cambiato niente: non ho avuto discriminazionie e ho gli stessi amici di prima.


Parliamo un po' di te. Racconta come vivi la tua omosessualità, il tuo lavoro, il tuo impegno politico.

Nel lavoro non c'è nessun problema. Insegno in una scuola media superiore a Marghera e ho molta soddisfazione. Certo, non vado a scuola con i tacchi a spillo ma penso che tutti sappiano di me. I ragazzi mi si siedono attorno perché mi vedono più come un educatore che un professore, cosa che mi fa molto piacere. Quando si parla del sesso, parlo schiettamente di molte cose, ovviamente in terza persona, difendendo la libertà sessuale di ciascuno e sottolineando come la morale sessuale cambi da luogo a luogo, raccontando come nel mondo antico i rapporti sessuali fossero ben più liberi. Si parla nel rispetto reciproco.

Con i colleghi va egualmente bene. Ovviamente c'è sempre quello isterico o cattivo, come dovunque. Si ride, senza malizia. C'è da dire, poi, che i più, da buone persone di cultura, hanno rispetto per l'altrui libertà di pensiero.


E l'impegno politico?

Sono iscritto dal 1962 al Partito Radicale. Sono stato anche candidato al Senato, ma i miei 2500 voti non sono bastati. Ho combattutto sempre, comunque, sentendo molto battaglie come quelle sull'aborto e sul divorzio, battaglie contro l'oscurantismo.


Parliamo un po' di Venezia. In Italia si è parlato solo relativamente di una battaglia che, in quest'epoca di disimpegno, ci ha tenuti molto sulle spine: l'Expo. Che ne pensi?

Ero contro l'Expo, come tutti i veneziani, tranne quei pochi che avevano interessi specifici. Una mia poesia è stata inserita in un manifesto di Hugo Pratt per la marcia "NO EXPO". Era assurdo pensare a una Venezia come Disneyland. Per la città sarebbe stato il colpo di grazia. Invece bisogna pensare a ripopolare la città, trovando posti di lavoro e facendo sì che la residenza venga data solo a chi ci abita di fatto.


Venezia ha un passato nobilissimo di accoglienza nei confronti di stranieri...

Nessuno ce l'ha con le persone che scelgono di vivere a Venezia. Queste hanno il massimo rispetto. Invece ce l'abbiamo con chi compra le case per starci quindici giorni l'anno e per poi rivenderle di lì a qualche anno, per guadagnarci, a qualche giapponese di passaggio.

Quindi la rabbia dei veneziani contro l'Expo e l'attesa quasi frenetica per i risultati elettorali sono ben giustificati. Venezia vuole assolutamente invertire la marcia.


Venezia vive da molti anni su due piani, che non necessariamente si incontrano: la Venezia internazionale, fatta di mostre, personaggi famosi, eventi e la Venezia quotidiana, fatta di campi, gatti, vecchine. In quale ti trovi più a tuo agio?

Nella seconda, senza alcun dubbio. In quella Venezia fatta di persone, sempre in minor numero, che vivono in un ambiente molto ristretto, con abitudini e tradizioni molto inveterate.

Vivere a Venezia è proprio bello. La si vive attraverso tutte le classi sociali: da noi, a differenza di tante altre città, il nobile, il ricco, il gondoliere, il calzolaio vivono uno accanto all'altro, gomito a gomito, ed è veramente bellissimo. Non esistono quartieri chic e quartieri poveri. Io mi immergo totalmente in questa città: non ho mai diviso il mio interesse per certe classi perché ritengo che tutti ci possano insegnare qualcosa, ciascuno con la propria cultura. Venezia è perciò veramente straordinaria, perché in essa le parole tradizione, radici, dialetto hanno ancora un senso del tutto positivo, perché così si resiste all'omogeneizzazione culturale di cui parlava Pasolini.


La tradizione vuole che Venezia sia molto aperta nei confronti dell'omosessualità. Si può parlare di una Venezia gay?

Nel passato senza dubbio Venezia ha avuto molti personaggi illustri gay ed è per questo che il popolo era sostanzialmente favorevole. E poi il suo mito è legato a Morte a Venezia di Thomas Mann. Ma ora tutto è cambiato: la città è diventata più piccola, ci sono molti meno giovani, sono scomparsi quasi tutti i cinema, tradizionali luoghi d'incontro; forse il turismo crea qualche movimento ma non è molto, anzi. In compenso la tradizione libertaria resiste nelle battute del popolo.


Del resto un personaggio come Comisso viene visto con simpatia...

Certo. Ma anche altri hanno avuto sempre il massimo rispetto. Direi che l'originalità a Venezia è stata vista sempre positivamente.


Tu che hai avuto la fortuna di vivere nella mitica Venezia degli anni Cinquanta e Sessanta come la ricordi, con i suoi fermenti: la Biennale, la galleria del Cavallino, il ristorante la Colomba, l'Harrys Bar...?

Be', il passato si tinge sempre un po' di malinconia ed appare positivo. Ma in questo caso è stato proprio bello. Le stagioni artistiche non si sa bene perché nascano, certo è che ci sono molti artisti tutti insieme nello stesso posto, come a Parigi fra le due guerre.

A Venezia c'era sicuramente una Biennale viva e provocante. C'era De Pisis, che fungeva da cardine; c'era Comisso, Lello Levi ed anche tanti stranieri come Gregory Corso, Hemingway, Ezra Pound, Peggy Guggenheim, Stravinski e così via. Ma Venezia è stata sempre piena di stranieri: il liberalismo è nella tradizione della città.


Ci sono stati anche molti rifugiati in ogni epoca...

Basta pensare al Sarpi o alla scuola di anatomia, che sorgeva proprio a pochi passi da qui, quando era proibito sezionare cadaveri. Venezia - è questa la sua forza - è stata sempre laica ed indipendente dalla Chiesa.


Ti faccio le ultime tre domande. Leggi mai Babilonia?

La compro ogni mese, trovandola molto interessante. Ci sono molti argomenti validi e delle prese di posizione giuste. Mi piace poi molto il fatto che ci siano notizie da tutto il mondo, così si può confrontare ciò che succede altrove con la realtà italiana.


Dicci un tuo desiderio che ti piacerebbe veder realizzato.

Vorrei tanto che la società italiana fosse realmente più democratica e non soltanto a parole. Vorrei inoltre che ci fosse meno violenza: forse è impossibile pensare di eliminarla del tutto, ma almeno vorrei che diminuisse. E poi vorrei che finalmente la parola "amore" avesse un significato perché troppe volte è una parola vuota.

Vicino a Venezia, su un muro diroccato, hanno scritto una mia poesia. Mi ha commosso tanto. E' una poesia che parla dell'uomo che, pur tra la gente, è come se stess nel deserto: "Solitudine non è essere soli, è amare gli altri inultilmente".


Come intendi tu lo scorrere della vita? Come bisogna affrontarla, con il "Carpe diem" di Orazio o come dice Joseph Conrad: "La vita va conosciuta non con un regolare assedio ma tendendole delle imboscate"?

Forse la seconda è più valida, ma in fondo le due posizioni non sono inconciliabili. La prima appartiene più alla sfera privata: fare un bellissimo incontro, godendo della pienezza della vita, però non solo sul piano sessuale, ma anche spirituale, culturale. Ma vivere la pienezza dell'essere non è inconciliabile con la politica del raggiungere qualcosa passetto per passetto. E' ciò che ho cercato di di dimostrare con i miei libri, cercando di rosicchiare i pregiudizi e lottando contro la violenza che è stata fatta e viene fatta nei nostri confronti.


La poesia di Mario Stefani è naturale, lieve, intrisa di un'amara felicità e nel contempo di una coinvolgente voglia di vivere che si dipana in una serie di atti, a volte minimi e quotidiani, che nei suoi versi assumono un significato di pregnante assolutezza.

Pur non essendo dichiaratamente autobiografica, la sua poesia è difficile immaginarla fuori dalla sua persona, amati da tutti in città sia per la generosità che per il coraggio di vivere le proprie scelte, e di Venezia, il cui lento fluire delle acque e le cui pietre rose dall'umidità costituiscono un'imprenscincibile eco, discreto e partecipe, delle vicende.

Poesia di non difficile lettura, perché impastata di semplicità e di un tattile senso della vita, dà molto spazio all'eroe, raccontato con trasporto ma anche con un misurato senso di ritrosia e di pudore, quasi si volesse tenere per sé un po' di sapore del proprio vissuto.


Irriverente

il suo corpo nudo

rideva nudo

alle mie voglie

e il sole delle ore spente

era nelle strade

e non sapeva la gente

del nostro amore.


Bello è il ragazzo disteso sulla barca

nel suo forte abbandono

e il giovane erbaiolo

dai capelli neri

cui i movimenti sonnacchiosi e lenti

danno grazie e nobiltà

e gli occhi del ragazzo del campo

che sanno e mi guardano con occhi tesi

e si ricordano di me

e temono il cenno che li riveli.
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