Le confessioni

1 dicembre 2003

Testo scritto presumibilmente tra il 396 e il 398 tra i fondamentali per lo studio della patristica. Si presenta come un’autobiografia nel quale l’autore con fine capacità introspettiva cerca di dare risposta ai quesiti fondamentali dell’esperienza umana. Cita i peccati contro natura, tra cui era annoverata a sodomia, a p.102 al capitolo VIII “Peccati e colpe intrinsecamente tali” del libro III dei tredici libri di cui è composta l’opera. Riporto tutto il passo: “Può esservi tempo e luogo in cui si possa dire contrario ala rettitudine ‘Amare Iddio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, e amare il prossimo come te stesso’? Perciò i peccati contro natura sempre e dovunque devono essere detestati e puniti, come per esempio quelli dei sodomiti. Ed anche se tutto il genere umano li commettesse, tutto il genere umano sarebbe reo di codesto crimine per la lege di Dio che non ha creato gli uomini perché si unissero in tal modo. Ne è anzi violata la stessa unione che dobbiamo avere con Dio, quando la natura di cui Egli è autore si contamina nei pervertimenti della libidine”.

Questo passo ha fatto storia ed è sovente alla base della condanna cattolica della Sodomia utilizzata anche dall’Inquisizione che, nei passi Biblici, quelli della Genesi e riferiti alla città di Lot, si presenta molto meno chiara.

La condanna, ad un primo approccio, è molto fine. Ire infatti che la sodomia è contraria alla legge Divina significa dire che è contraria al disegno ordinatore, la lex eterna, del creatore. Non mi è chiaro come mai Sant’Agostino avesse il dente avvelenato sulla questione tanto da citarla nelle sue memorie.

A p. 115 un passo parla del rapporto fra Agostino e un suo amico carissimo che potrebbe nascondere risvolti omoerotici: “L’avevo anche fatto ripiegare dalla vera fede, non molto sentita da lui nemmeno da giovinetto […] La sua mente era ormai attratta dai miei errori [si tratta del manicheismo], e l’animo mio non poteva fare a meno di lui, Ma Tu […] lo strappasti da questa vita dopo solo un anno di un’amicizia dolce a me più di tutte le dolcezze della mia vita di quel tempo [il corsivo è mio]”. E poi seguita a p. 118 discutendo della sofferenza provocata dalla morte dell’amico: “Mi stupivo che gli altri mortali vivessero, mentre era morto colui che io avevo amato come non avesse mai dovuto morire, e più mi stupivo di continuare a vivere, lui morto, io che ero un altro lui stesso. Bene disse chi disse del suo amico: “Metà dell’anima mia”. Anch’io ho provato che la sua e la mia anima formavano un’anima sola in due corpi: ed avevo in odio la vita non volendo vivere a metà, e forse avevo paura di morire per il timore che avesse a morire tutto quanto colui che avevo amato”. Non è sempre facile trovare nelle piaghe della storia dichiarazioni di amore (?) amicale d questo tenore.

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