Dynasty: petrodollari, camp e l'amore gay ai tempi dell'AIDS

26 novembre 2004

Negli anni '80 emergono nella fiction televisiva i primi personaggi omosessuali ricorrenti, nonostante non sia un periodo facile: per reazione alle eccessive pressioni della lobby gay americana, vari progetti di serie sull'argomento vengono affossati e la scoperta dell'AIDS frena gli entusiasmi. Due soli progetti vanno in porto: Oil e Brothers.
Oil in realtà nasce come clone di un'altra serie, a suo modo rivoluzionaria, ambientata a Dallas, Texas: dal cuore dell'America conservatrice viene offerta al pubblico una soap che spazza via ogni impegno politico a favore di un intreccio tutto fondato sull'economicismo più gretto, dove la statura superomistica dei tipici eroi della cultura popolare è riletta come semplice super-ricchezza. In Dallas (1978-1991) la lotta epica tra il Bene e il Male si gioca a colpi di petrodollari, tra ranch con piscina immersi nella brulla vegetazione texana, dove si consumano i drammi di famiglia, e grattacieli metropolitani, nei quali si consumano invece i drammi dell'alta finanza, tra intrighi, colpi bassi, corruzione (e segretarie compiacenti).

Oil
, poi ribattezzata Dynasty, nasce dunque come imitazione e concorrente di Dallas, con un'impronta più familistica ancora, ma parimenti conservatrice e patriarcale.

L'ambiguo Blake è il pater familias dei Carrington: è relativamente onesto, ma quando c'è da giocar sporco, non si fa troppi scrupoli e non conosce le amletiche incertezze di Bobby Ewing. Gli infiniti grattacapi che deve affrontare in famiglia e in azienda ne spiegano il carattere irruente e impulsivo, con qualche oggettivo eccesso: violenta la moglie e ammazza il fidanzato del figlio solo perché si abbandona a sfoghi di un momento. È comunque lui il garante dell'unità, della stabilità, e della virtus della famiglia, a qualsiasi costo.
L'ex moglie Alexis, ora sua antagonista, è il Male puro: è intrigante, spietata (non si fa scrupolo di sfruttare i propri figli nella lotta contro l'ex marito), invadente (anche in senso geo-politico: è inglese, e si allea con gli arabi nelle trame internazionali per il dominio del petrolio).

Kristall invece incarna, secondo i dettami del melodramma e del romanzo rosa classico, il puro Bene, angelica, irreale, eterea: ogni volta che compare in scena è come se scendesse dal cielo, inquadrata con le luci soffuse che si usavano per le dive degli anni '30 (e la sua cofanatura è di poco posteriore). Ha una sola espressione: la compassione. Lei capisce tutto e tutti, i dubbi sessuali di Steven come i drammi patriarcali di Blake. Consiglia tutti. Ama tutti. Capisce anche Alexis. È di una perfezione disgustosa. Assolve i peccati di tutti aspergendoli con le sue lacrime, santificate dalla macerazione dentro il focolare domestico. E con le sue lacrime lava i panni sporchi di casa Carrington. Certo con Alexis ogni tanto viene alle mani (è viva nel ricordo di tutti coloro che hanno visto la serie la lotta nel fango tra le due), ma per lo più si limita a predicare (di solito nel deserto) le virtù dell'amore.

In un contesto del genere, per Steven, figlio di Blake e Alexis, non è ovviamente molto facile andare da papà e fare coming out. Con la madre è tutto più semplice: è la regina del camp, quasi una drag queen, non serve spiegare molto. E poi Alexis sfrutterebbe anche se stessa per i propri fini, quindi è disposta ad accettare tutto. E infatti fa il suo ingresso trionfale in scena, alla fine della prima stagione, proprio per difendere Steven al processo che vede imputato Blake per l'omicidio del fidanzato del figlio.

Kristall, ovviamente, capisce e compatisce. Ma Blake no. Non capisce, non compatisce, esibisce competenze freudiane, richiama all'ordine e, quando non basta, ammazza. Non stupisce quindi che Steven passi le successive stagioni tra rapporti gay e, nel tempo libero, matrimoni eterosessuali (soprattutto a metà degli anni '80, quando i gay sono quelli che attaccano l'AIDS a tutti, e quindi si batte in ritirata), figli, viaggi in oriente per rifarsi la faccia (quando il personaggio diventa troppo ingombrante, per il suo primo interprete, che decide di lasciare). Steven è un personaggio debole, sensibile, capace sì di farsi valere, di quando in quando, ma più spesso facile preda delle manovre di Alexis e quindi pedina abbondantemente sfruttata nello scontro Alexis-Blake.

Nel bene e nel male, Steven è comunque un personaggio fisso, per quanto secondario (a lui si affiancano di stagione in stagione altri personaggi gay occasionali): paradossalmente, è proprio in questa serie emblematica di una stagione di televisione disimpegnata, lussuosamente reaganiana e orgogliosamente consumistica, che la "presenza" omosessuale in televisione fa un passo avanti importante, se non altro perché il personaggio di Steven, per quanto secondario, ricorre in tutte le stagioni, e Dynasty conquista un pubblico vastissimo, inimmaginabile per qualsiasi altra serie con personaggi omosessuali fissi.

Certo Steven è indeciso, per ciò che riguarda la sua sessualità così come per ogni altra cosa, ma pur sempre gay, dall'inizio (nelle intenzioni dichiarate dagli sceneggiatori) fino alla fine (e cioè fino al mieloso happy end in cui tutti fanno pace con tutti e il modello Kristall trionfa). L'enormità del successo di Dynasty fissa un precedente importante e rompe non pochi tabù, con tutte le comprensibili prudenze del caso.

Il successo presso il pubblico gay non passa solo attraverso il personaggio di Steven, concepito più per aprire un dialogo con un pubblico non necessariamente omofilo (attraverso di lui passa tutta una serie di messaggi politico-morali, espliciti o indiretti). Alla parte meno repressa e più emancipata del pubblico gay è invece indirizzata la componente camp di Alexis, con i suoi eccessi esibiti nell'abbigliamento, nell'arredamento, nel comportamento. Una riprova di ciò la si può trovare nel ballo mascherato organizzato nel 1984 da un locale inglese in una serata gay, quando gli intervenuti, che dovevano vestirsi come un personaggio di Dallas o di Dynasty, si sono presentati quasi tutti vestiti da Alexis.


Nel 1985 fece alquanto discutere la partecipazione di Rock Hudson nel ruolo di uno spasimante di Kristall. Poco dopo si venne a sapere che Hudson era malato di AIDS e che l'aveva tenuto nascosto a tutti i colleghi, compresa Lynda Evans, che in una scena l'aveva baciato: le vie di contagio del virus non erano ancora chiare e l'isteria dilagò in uno scandalo montato ad arte dalla stampa.

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