Honneur retrouvé d'un officier homosexuel en 1915, L' [2000]

25 luglio 2004

Con le 528 pagine di questo volume, Gury è finalmente riuscito a creare in tutti i sensi un "mattone", dato che le dimensioni e la forma di quest'opera sono più o meno le stesse dell'utile oggetto edilizio. Ma almeno si ha la consolazione di sapere quale proficuo uso laterizio si può fare del libro, nel caso si schiattasse a metà lettura...

Spaventato dalle dimensioni, ho tenuto per ultima la lettura di questo tomazzo della serie che Gury, avvocato nonché appassionato di storia gay, ha dedicato all'honneur perdu (o retrouvé) di una serie di personaggi francesi d'anteguerra. Però, contrariamente ai miei timori (per fortuna) questa è un'opera che per lunghissimi tratti è di agevole lettura, anzi affascinante. Anche se (o forse proprio perché) non è ciò che promette nel titolo.

Il caso citato nel titolo, infatti, cioè quello del letterato parigino Robert d'Humières (1868-1915), occupa appena le pp. 11-62. È quindi questa parte a precedere "Grande Guerra ed omofilia", non quest'ultima a seguire questa parte, com'è scritto nel sottotitolo. Ma tant'è... l'apparenza inganna.

Il caso di d'Humières è presto detto: espostosi con fin troppo coraggio (o incoscienza) sul campo di battaglia, fu ovviamente falciato dal nemico: "morto sul campo dell'onore". Lo piansero i suoi amici e conoscenti... tra cui quel Marcel Proust che, come dimostra Gury con una serie di puntuali paralleli, lo prese a principale modello per il personaggio di Saint-Loup.

Molti anni dopo la sua "prematura dipartita" venne però a galla un'amara verità: la morte in battaglia gli era stata offerta come alternativa alla corte marziale per aver fatto proposte oscene a un soldato inglese.

Fine della sezione del libro, e requiescat in pace.

Il resto dell'opera è una sconvolgente (un po' per pedanteria, un po' per quel che rivela) raccolta di testimonianze letterarie sulla Grande Guerra (lettere, romanzi, racconti, poesie, memorie, diari...) dal punto di vista dell'intimità fra uomini, sia al fronte che nelle retrovie.

Cameratismo, "nonnismo", uso in comune di bagni docce e perfino latrine, copinage, promiscuità in baracche buche tende capanne trincee e letti d'ospedale, visite mediche, relazione intima di ufficiali e ordinanze, condivisione di letti e giacigli, disprezzo degli "effeminati" e degli "imboscati"... non c'è settore che sfugga al vaglio tra il meticoloso e l'ossessivo di Gury. Che nel raccontare i momenti di solidarietà e vicinanza richiesti, anzi imposti dalla guerra, ne descrive anche tutti gli orrori, le morti, le mutilazioni, le ferite, le crudeltà, la paura, le malattie... contro cui cercavano di far argine questi gesti di solidarietà, affetto, intimità fra uomini.

C'è un solo grande assente da questo affresco, ed è paradossalmente l'omosessualità. Gury, affascinato dal suo tema, non prende il toro per le corna e non nota e non commenta mai in modo sufficientemente esplicito il silenzio assordante di un dato: il tema omosessualità è totalmente, follemente, accanitamente tabù, se si parla di guerra e di esercito. Non a caso ogni esercito fa sempre di tutto per espellere gli omosessuali, perfino nel momento di massima carenza di uomini (appunto, uomini: i froci non sono tali).

Si arriva a pagina 321 (!) prima di leggere un po' di allusioni a lopes e lopettes... e a pagina 339 è già tutto finito! Magari se Gury avesse cercato un po' di più nella letteratura medico-legale (che egli sfiora appena appena alle pp. 333-339) avrebbe trovato qualche dato in più. Ma essendosi attenuto con ostinazione al campo delle "belle lettere", si scontra con il tabù testardo: tante amicizie virili, tanto cameratismo, tanto spirito di corpo, tanti sentimenti fraterni, paterni, filiali, e mai, mai e poi mai omosessualità. La quale è presente esclusivamente - così pare - nell'esercito nemico, o fra i prigionieri nemici.

S'arriva al punto che, per capire cosa possa succedere sotto questa cappa di autocensura, Gury ricorre a testimonianze, pubblicate in anni molto più recenti, sulla seconda guerra mondiale e sulla guerra d'Algeria, cosa metodologicamente poco corretta, specie quando Gury saltabecca da Lev Tolstoi o Walt Whitman a Hugo Marsan, cioè da un secolo all'altro e da una guerra all'altra, nel giro di due righe. E senza peraltro riuscire a cavarne descrizioni più esplicite...


Per finire, un'appendice (pp. 371-430) presenta la guerra e l'omosessualità nella vita militare e negli scritti di Henri de Montherlant (omosessuale) Jean Cocteau (idem), Louis Aragon (etero, ma gay-friendly), e Marc Boasson (eterosessuale). C'è anche una piccola digressione sugli scrittori omosessuali inglesi (pp. 405-410).


Conclude un capitoletto su "Guerre ed omosessualità" (pp. 431- 458; il resto delle pagine sono note e bibliografia).

In conclusione, non si tratta né d'un saggio storico in senso stretto (semmai è un saggio di storia letteraria), né di un saggio sui "gay nell'esercito" (basterà dire che in mezzo migliaio di pagine l'autore non sente mai il bisogno e non trova mai lo spazio per descrivere e commentare quali leggi si applicassero, per i casi d'omosessualità, nel codice penale militare). Si tratta invece d'un saggio letterario sul cameratismo e la solidarietà fra esseri umani, al di là delle loro tendenze sessuali, di fronte al pericolo. E non solo fra commilitoni, ma addirittura col nemico.

E si tratta di uno sguardo decisamente anomalo al grande massacro, al grande e inutile macello della prima guerra mondiale, che decimò gli europei e ne sancì il declino, (suggellato poi dalla seconda guerra mondiale), a vantaggio degli americani.

Una lettura forte e impressionante, nonostante il dato storico sia sempre attutito dal velo della letteratura (spesso mero pretesto per ridicoli esercizi di bello scrivere e di pessimo gusto per checche borghesi, che sbavano per la bellezza di giovani proletari mandati al macello, e che ne cantano golosi, al sicuro nelle retrovie, l'eroica bellezza sacrificata alla Patria).

Quanto alla storia dell'omosessualità, non se ne ottiene tutto sommato molto più di quanto contenuto nel saggio iniziale, nella conclusione e nelle citate pp. 321-339.

Ma l'impressione destata da questa lettura così anomala è comunque forte.

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