American Horror Story

23 dicembre 2012

Come Casablanca secondo Eco, American Horror Story dimostra che mettendo insieme una quantità sfrenata di archetipi si può riuscire a trascendere il kitsch raggiungendo profondità omeriche. Se questo è poi grosso modo il principio, o quanto meno la speranza, di tanta cosiddetta postmodernità, nel caso di American Horror Story non si può negare che i risultati siano goduriosamente affascinanti proprio per via dello sfrontato florilegio cui la serie sottopone il genere horror.

La prima stagione ruota tutta intorno a una casa indemoniata che ha la discutibile abitudine di intrappolare in se stessa i suoi abitanti in forma di fantasmi. Mano a mano che seguiamo le vicende dei nuovi inquilini, le storie dei passati abitanti del luogo malefico tornano in superficie, e fra di loro vi è anche quella di una litigiosa coppia di ragazzi in crisi, uno dei quali interpretato da Zachary Quinto, la nuova star gay della televisione americana (un anno fa ha fatto coming out in occasione della sua interpretazione in una ripresa off-Broadway di Angels in America). A ucciderlo è stato un giovane in tuta di gomma che lui crede erroneamente sia il suo fidanzato in vena di giochi erotici alternativi.

La seconda stagione, se possibile, è ancora più generosa: esorcismi e rapimenti alieni, serial killer sessualmente disturbati e mostri mutanti, scienziati folli e medici nazisti, religiosi repressi, suore indemoniate e molto altro si sommano in una sintesi di tutto ciò che ha spaventato il pubblico del secondo Novecento, dentro la cornice sempre efficace di un manicomio. Asylum (come è sottotitolata la stagione) è infatti ambientata negli Stati Uniti dei primi anni Sessanta in un ospedale psichiatrico (Briarcliff) a conduzione cattolica.

In questo delirante repertorio di genere si inserisce anche il personaggio di Grace, una giornalista rampante internata perché omosessuale, cui dà vita Sarah Paulson, attrice dichiaratamente lesbica. La direttrice di Briarcliff, interpretata da una mefistofelica Jessica Lange (che nella prima stagione era la memoria storica della casa), ne ricava un inevitabile piacere sadico nel perseguitarla, ricattandone tra l'altro la fidanzata per ottenere il permesso all’internamento. Grace ha però una virtù straordinaria: indipendentemente da quanto è messa male, riesce sempre a peggiorare la sua situazione. Quando uno psichiatra, dopo aver cercato di curarla secondo le terapie dell’epoca, si mostra tanto bendisposto nei suoi confronti da aiutarla ad evadere, si ritrova infatti intrappolata nella casa dell’uomo, che si rivela un serial killer psicopatico fissato con la madre. Poteva mancare Norman Bates nel repertorio della paura americana degli anni di Kennedy? Lo psichiatra, tra l’altro, è interpretato ancora da Quinto, che aveva già dato vita a un villain edipico e matricida in Heroes.

Rafforzata solo dalla memoria della fidanzata tanto amata, in questo universo delirante Grace rappresenta una delle poche isole di normalità capace di resistere ai soprusi dei saperi forti (religione, psichiatria e medicina in testa), la cui sola funzione è quella di coprire con un'ipocrisia addirittura istituzionalizzata le reali deviazioni, quali la repressione sessuale, la rimozione dei propri passati delitti (come nel caso della direttrice del manicomio), l'opportunismo di chi aspira al potere (il giovane monsignore che copre scandali e delitti sperando di approdare in Vaticano), il puro e semplice sadismo (il medico nazista), la perversione realmente patologica (lo psichiatra-serial killer).

Una serie eccellente e piacevolmente anticlericale.

Aggiornamento 2015: Dopo una terza stagione (Coven) ambientata nel mondo della magia, totalmente estranea al tema omosessuale e alquanto deludente, la quarta (Freakshow) riprende in modo più convincente lo spirito citazionista della serie, a cominciare da una prima puntata goduriosamente rétro tutta basata su rimembranze del Brian De Palma anni Settanta (Sisters in particolare) rivisto attraverso il De Palma di oggi (The Black Dahlia). Dietro si scorge una rilettura del mondo dei freaks che si direbbe debitrice del bellissimo studio che Leslie Fiedler gli aveva dedicato nel 1978, e quindi incentrata sulla carica erotica del diverso. Tuttavia questi elementi si vanno presto a perdere tradendo la propria gratuità. Il carattere morboso annunciato dalla prima puntata non ha infatti grande seguito in quelle successive, salvo in parte per i due personaggi apertamente omosessuali: l’uomo forzuto, che ovviamente ha qualche problema emotivo a gestire il proprio orientamento, oltreché qualche problema a soddisfare la compagna (apparentemente ermafrodita), e il cacciatore di freaks, che cerca esemplari da vendere a un museo di scienze naturali. Dopo che si sono incrociati in un locale gay, il secondo prende anche a ricattare il primo, che si è innamorato di una marchetta caduta presto vittima di un cocco di mamma tarato, nonché serial killer. A differenza di quanto avveniva in Asylum, in Freakshow l’omosessualità torna dunque a personaggi ben poco affabili, ma attraverso il personaggio dell’uomo forzuto (e in particolare attraverso le parole che gli rivolge in una visione la prima compagna, la donna barbuta), si presta esplicitamente a fare da metafora dell’omosessualità in generale traducendosi in un invito a uscire allo scoperto (sia pure espresso tramite lessico e strumenti concettuali plausibili per il personaggio). Infine, nelle ultime puntate si aggiunge il personaggio di un reduce di guerra ventriloquo, sbalestrato non tanto per le esperienze al fronte quanto per l'aver trovato al suo ritorno la moglie insieme a un'altra donna: con le due aveva anche tentato un morboso ménage à trois.

Per almeno metà stagione Freakshow riesce a competere con le prime due. Poi indulge nella tentazione di far strage dei suoi personaggi, a cominciare dall’unico cui si legasse una qualche tensione orrifica (il pagliaccio serial killer). Ne risulta un progressivo allentamento del ritmo e della tensione, che si sfilacciano di puntata in puntata sostituendo la paura con qualche più semplice tocco macabro.

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