Fototessere del delirio urbano

Recensione di Gianfranco Franchi. Riedita con il gentile consenso dell'autore.


"Questa città è predestinata, qui si compiono i sogni e le sconfitte. Tutto dipende dal destino, ormai lo so. Non volevo affittare quella casa, detestavo quel vicolo, troppa morte..." - scrive l'artista nella prefazione.

E racconta di aver ritrovato tre vecchie poesie in una valigia, sotto un divano. Ritornate da un passato che si giurava concluso, e invece sembra vivo, bramoso di prigionieri nuovi. Adesso ne farà, è nelle cose. Prigionieri volontari.

1982. Esordio narrativo di Antonio Veneziani (Rosselli gridava al "Genet italiano"), salutato da una nuova ristampa (gennaio 2009) per i tipi di Hacca, completa di intense e divertenti foto di Riccardo Bergamini e di apparato critico (paratesti) d'antan, Fototessere del delirio urbano è la prepotente rivendicazione della centralità d'una prosa lirica mai addomesticata dalle patrie lettere, e piuttosto dimenticata e abbandonata assieme alle lezioni di scrittura di Boine, Slataper, Campana. È la narrativa della poesia. Un patrimonio per le nuove generazioni di letterati, di letterati italiani.

Secondo Carmine Amoroso, i "lapidari" racconti di Veneziani "dipingono immagini che ci invitano a uno spettacolo che può apparire efferato e amaro, spirituale ed erotico". "Erotismo popolare" era la definizione cara a Tinto Brass, pubblicata in una nota d'accompagnamento alla prima edizione del libro (1982)

Strutturalmente, spiegava Francesco Italiani nello stesso volume (1982), "I pezzi sono disposti variamente: il prima e il dopo si intersecano in una sorta di fotomontaggio e si interscambiano. Più volte ricordi distanti nel tempo sono racchiusi insieme in un sol pezzo (...). L'avvenimento è registrato su carta sensibile (...)". Ossia è, per così dire, impresso: a fuoco. Vergato col sangue dello spirito. Quello che niente cancella.

Per noi contemporanei, avidi lettori dei pezzi brevi di "Cronista della solitudine" (2007) e prima ancora di "Sudore e asfalto" (1995), le pionieristiche fototessere di Veneziani hanno il retrogusto della selvatica e scontrosa grazia dell'opera prima, delle potenzialità non sempre espresse d'uno stile nuovo, del sentimento pulito del poeta che gioca alla narrativa, e della narrativa si diletta.

Incontriamo treni che corrono decapitando case e alberi; sorrisi sguaiati e seri, da indossare; aliti d'aria rarefatti, sull'orlo dello scoppio; venti che tumultuando chiomavano il fiume di bianco; balli senza ritegno; bocche che appaiono stupende ferite sul volto levigato; amori dal nome stupido che lasciano il segno; campanelli che gracidano; delusione viva sul palmo delle mani, e rabbia che dalle mani si scolla (Veneziani è cosciente della forza nascosta tra le sue dita: la nomina, per concentrarla).

Sprazzi folgoranti e dolorosi, a un tratto: così:

"Nella piazza la rigidità dell'aria è tesa e gonfia come un ascesso. Il coltello cadendo ha un attimo di vita autonoma. Dalle tue labbra esce un sottile rivolo di sangue. Mi chiudo nel guscio delle palpebre. La morte sarà un allenamento costante" (p. 31).


Così:

"Quando il giorno distruggerà la notte, qualcuno aprendosi un varco tra i cespugli fingerà di non capire. Eppure negli occhi del ragazzo viaggiano isole felici, in quelli dell'uomo si riflette il cielo aperto a squarci" (p. 45).

Avanti per strade che non sembrano avere fretta, mentre per la città riconosciamo un oscuro ordine. Avanti, per una fonte che ci disseti (ma l'acqua è così nuda); avanti, per una letteratura nuova.

Sostiene Andrea Caterini:

"Veneziani è sicuramente uno dei migliori rappresentanti di quella scuola romana che da Bellezza avevano mosso i loro primi passi. Ma di Bellezza, Antonio, più che un gusto poetico - uno stile - ha ereditato un atteggiamento" - un atteggiamento che passa per la difesa dell'identità omosessuale, ma non termina in essa.


Renzo Paris evidenziava, nella prefazione del 1992, che la distanza tra Bellezza e Veneziani, in questo libro, stava nell'aver preferito la "ricerca d'un'immagine che risolva il girovagare notturno" all'afrore dei corpi, "alla peccaminosità delle storie" cara al poeta Dario.

Eppure c'è qualcosa che non viene nominato affatto, inspiegabilmente, nelle pagine critiche dedicate a questo viandante, vagabondo letterato, unico poeta beat italiano, ultimo erede d'una tradizione lirica che non è soltanto quella di Penna e di Bellezza. È la musicalità d'una prosa che dalla poesia deriva e discende, e sinestetica si fa pittura e danza; coscienza francese d'antica e mai rimossa sperimentazione ottocentesca, intelligenza italiana di commistione atipica, e altra, tra una e un'altra tradizione letteraria.

Una ristampa, questa, prodromica al recupero degli ormai irreperibili primi libri di Antonio Veneziani: che sia il principio d'un viaggio critico ed empatico, viatico a un sicuro e fermo posizionamento nella storia della nostra Letteratura.

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