Omocidi. Gli omosessuali assassinati in Italia

10 marzo 2005, "Liberazione", 15 ottobre 2002, col titolo "Morti per omosessualità"

MORTI PER OMOSESSUALITA'

Le vittime della violenza omofoba e razzista negli ultimi dieci anni in Italia in un libro di Andrea Pini.


Di fronte al corpo straziato dell'amico, ucciso da una marchetta, Alberto Moravia disse: "Pasolini è morto in una maniera intonata non già alla sua vita ma ai pregiudizi e alle convinzioni della società italiana; ossia non per colpa sua ma per colpa degli altri. In altri termini e per dirla con chiarezza definitiva: Pelosi e gli altri come lui sono stati il braccio che ha ucciso Pasolini; ma i mandanti del delitto sono una legione, in pratica l'intera società italiana".

Molte cose sono cambiate da quel lontano 1975, ma ogni volta che un omosessuale viene ucciso, in circostanze più o meno simili a quelle in cui fu ucciso Pasolini, queste parole di Moravia risuonano drammaticamente attuali.
Quanto questa analisi riguardi ancora l'oggi ce lo dimostra con ricchezza di documentazione questo libro sui morti "per omosessualità" in Italia.

L'autore, Andrea Pini, parte da lontano, dall'assassinio di Winckelmann, ucciso a Trieste da una marchetta nel 1768, e dopo un excursus che ricostruisce gli "omocidi" celebri, da Pasolini a Versace, si sofferma sui casi di omosessuali comuni, che sono morti, più o meno in circostanze analoghe, nel periodo 1990-2001 in Italia.

Le cifre sono impressionanti: 111 persone uccise nell'ultimo decennio e si tratta di morti causate direttamente dalla sessualità della vittima, ma la cifra reale è sicuramente più alta se teniamo presente che molti di questi delitti sono classificati in altro modo dagli investigatori, perché la vittima ha sempre tenuto nascosta la sua identità sessuale, o se consideriamo il fatto che la realtà è molto spesso occultata dai familiari, per i quali essere stati uccisi "per rapina" è evidentemente molto più onorevole che essere stati uccisi "per omosessualità".

L'accanimento di molti familiari a nascondere l'omosessualità del congiunto ucciso è a volte impressionante e patetica. I familiari di Enrico Sini Luzi, vittima di una marchetta il 4 gennaio 1998 (quando sono entrati nella casa dell'uomo i vigili del fuoco hanno trovato il corpo senza vita in mutande e la Tv accesa con video porno inserito), anche dopo la confessione dell'assassino, una marchetta rumena rimorchita alla Stazione Termini, si sono costituiti parte civile nel processo non per chiedere un improbabile risarcimento o perché si promuova una cultura meno omofobica in Italia, ma "per riabilitare la memoria del congiunto" e, secondo loro, la memoria del congiunto la si riabilita continuando a coprire di silenzio e di ipocrisia la sua identità sessuale, evidentemente una vergogna per la famiglia anche dopo la morte.

La ricostruzione di Andrea Pini, che analizza in particolare quattro aree geografiche (Roma, Milano, Firenze e la regione Puglia come esempio di grande area del Sud) è precisa e attenta e fa emergere molto bene il clima in cui maturano questi delitti:

  • la mancanza di autostima delle vittime, per lo più persone che vivono in maniera clandestina e schizofrenica la loro omosessualità (rispettabili eterosessuali di giorno e marchettari di notte);
  • la cultura sottilmente omofobica che spesso i mezzi di informazione, senza nemmeno rendersene conto, continuano a veicolare;
  • la stupida idea di virilità di giovani sbandati che spesso uccidono senza aver premeditato l'assassinio, ma spaventati dallo stesso piacere che hanno appena provato (spesso il delitto avviene subito dopo un rapporto sessuale);
  • forme di vero e proprio razzismo ancora presente in certo fanatismo antiomosessuale, che serpeggia spaventosamente in tutta l'Europa (tra le vittime, anche se in minoranza, troviamo anche persone che vivevano abbastanza serenamente la loro omosessualità, come il giovane Francesco Bertolini ucciso a Roma il 15 luglio del 2001).

Il fatto è che alcuni di questi delitti sono ancora da attribuire a una "normale" e diffusa omofobia. Il fratello del giovane che il 30 aprile 1999 fece scoppiare una bomba in un bar gay di Londra, un locale di "depravati", causando 3 morti e 65 feriti, confessa candidamente: "credo che David avesse una sana avversione per gli omosessuali, come la maggior parte dei maschi".

Andrea Pini ha analizzato gli studi sull'argomento, ha ricostruito i singoli casi, ma ha anche parlato con funzionari della questura, con amici o ex fidanzati delle vittime, con alcuni gay vittime di aggressioni e fortunosamente scampati alla morte, dandoci così un quadro inedito e ricco di particolari che aiuta a capire la fragilità di molti gay, ancora vittime essi stessi di pregiudizi omofobici, e i meccanismi perversi che fanno scattare nel prostituto improvvisato il desiderio di uccidere.

Concludono il libro due appendici riassuntive. La prima è il lungo elenco di persone ammazzate, con l'indicazione di età, professione, circostanza della morte: sono 22 pagine che nel loro linguaggio quasi burocratico, rendono drammaticamente visibile il lungo fiume di sangue che ha attraversato il decennio appena concluso e che non sembra preoccupare nessuna istituzione, anche se si fanno tanti discorsi sulla sicurezza dei cittadini. Evidentemente la sicurezza delle persone omosessuali interessa poco e poi è sempre radicato il pregiudizio che, come per le donne stuprate, certe persone i loro guai se li vanno a cercare.

La seconda appendice presenta una serie di dati statistici di grande interesse, dal numero di casi di "omocidi" per regione e città (il triste primato è della città di Roma) alla soluzione dei singoli casi (più di quanti si crede), al rapporto tra italiani e stranieri nelle responsabilità dei delitti (il 72% dei responsabili è di nazionalità italiana).

Il libro si legge con partecipazione, ma anche con rabbia e con un senso di impotente sconforto, perché fotografa una realtà che trenta anni di movimento gay hanno scalfito ben poco.
Certo la polizia italiana è meno omofobica, molti dei casi sono risolti e quasi la metà degli assassini è in carcere, ma negli ultimi anni i delitti di gay sono aumentati, in alcune città in maniera allarmante.

Allora non c'è niente da fare? Non credo. Illuministicamente ho ancora fiducia nella forza della conoscenza e soffermandosi su molte pagine del libro si pensa "questo dovrebbero leggerlo i giornalisti" o anche "questo dovrebbero leggerlo i questori e i poliziotti" oppure: "questo dovrebbero leggerlo i familiari di Sini Luzi o la madre della guardia svizzera Cedric Tornay, anche lei impegnata a liberare l'immagine del figlio morto "dalla deturpante macchia dell'omosessualità", o ancora "questo dovrebbero leggerlo gli omosessuali che vanno con le marchette e che credono ingenuamente che la loro casa sia un luogo sicuro".

E l'auspicio è che, oltre agli omosessuali più consapevoli, lettori abituali e attenti di libri che trattano la realtà gay, leggano il libro anche un po' di queste persone (la cosiddetta società civile).
Potrebbero capire molte cose sulla complessità di un fenomeno che credono di conoscere, ma su cui molto spesso hanno solo pregiudizi.

E se si cominciamo a sconfiggere i pregiudizi sull'omosessualità, avremo cominciato anche a sconfiggere la violenza di cui troppo spesso gli omosessuali sono vittime.

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