La morte a Venezia

23 marzo 2005

Classico della letteratura omosessuale o dell'omofobia? Con una simile domanda, provocatoria ovviamente, liquideremmo quasi per intero novant'anni di critica letteraria, che per lo più ha preferito semplicemente rimuovere in toto l'omosessualità dalla novella, e prima ancora dalla vita di Mann.


Sono infatti piuttosto recenti gli studi che hanno rimesso al centro dell'opera di Mann la sua omosessualità, che traspare in parecchie opere ed è particolarmente evidente in questo racconto delle ultime settimane di vita di uno scrittore, Aschenbach, intellettuale borghese perfettamente integrato, che durante un soggiorno a Venezia si invaghisce di un bellissimo adolescente polacco, Tadzio, a tal punto da non riuscire ad abbandonare la città, nemmeno quando viene a sapere che vi è in corso una pericolosa epidemia di colera, di cui infine morirà.


Mann non ha mai fatto nulla per negare che la sua novella trattasse di omosessualità: la presentò al suo editore come una "storia di pederastia" e tale la considerò negli anni a seguire. Né l'autore negò mai che il suo romanzo breve, sul quale lavorò un anno intero, fosse autobiografico fin nei minimi dettagli, anche se poi vi aggiunse una quantità di riflessioni estetiche sull'arte, sul bello e sul ruolo dell'artista nella società, riflettendovi le sue idee in merito (mutuate in buona parte da Schiller, Lukacs e Nietzsche).


La critica manniana ha fatto così un grande sforzo - davvero grande, bisogna pur rendergliene atto - per sostenere che è solo l'apparato riflessivo-estetico a importare, mentre tutto il resto (cioè il tema omosessuale) non conta nulla, è solo accessorio, al limite erano fatti di Mann (che però ovviamente non era omosessuale: come poteva esserlo, se era spostato?!). Ed ecco così decine e decine di serissimi studi dedicati alla "neoclassicità" piuttosto che al decadentismo di Mann, ai suoi riferimenti alla letteratura e alla filosofia antica, ecc., ma ben pochi disposti a riconoscere alla base di questa novella una semplicissima storia di amore e morte (non ci sarebbero stati problemi se Tadzio fosse stato Tadzia, come lo stesso Mann ebbe a dire scherzando a proposito di una possibile trasposizione cinematografica del suo racconto).


Un copione risaputo, del resto, che in fondo ha fatto proprio quel filtro sublimante, nutrito di letture e di godimenti estetici, che lo stesso Aschenbach cerca di applicare alla propria passione per Tadzio, ma è un filtro che Mann mostra (in parte almeno) di deridere. Mano a mano che l'opera procede, lo stesso Aschenbach è infatti sempre più consapevole che si tratta di costruzioni mentali intese semplicemente a rimuovere il suo amore per l'adolescente e riesce sempre meno a resistere a questa passione, perdendo via via il controllo sul suo contegno e abbandonandosi progressivamente all'impeto dei sensi, fino a sognare un'orgia alla vigilia della sua morte.


Dunque che La morte a Venezia tratti (anche) di omosessualità, e che questa sia centrale all'intreccio è ridicolo negarlo. Detto questo, rimane il problema posto in apertura. Un problema che, in effetti, non ha soluzione. La quieta esistenza borghese di Mann fu sconvolta per tutta la vita, dall'adolescenza fino alla vecchiaia, da innamoramenti e passioni piuttosto intense per adolescenti più o meno efebici. Lo scrittore non fu mai capace di accettare questa sua sessualità, di certo non pubblicamente, anche se il suo atteggiamento nei confronti dell'argomento variò alquanto negli anni. Mann non rinunciò mai né a concedersi a queste passioni, né a preservare la sua rispettabilità sociale tramite il lungo matrimonio con la moglie Katia.


Questa dualità dell'esistenza manniana si riflette pienamente in La morte a Venezia, che deplora ciò che esalta. In altre parole Mann, ripensando al ragazzino polacco (di appena dieci anni) di cui (lui trentenne) si invaghì a Venezia, esprime nella novella tutta la sua passione amorosa, lo sconvolgimento dei sensi, l'irrefrenabile attrazione dell'amore, senza censure che non siano quelle (come già detto infine rinnegate) di una sublimazione di questa passione attraverso gli stereotipi estetici della classicità.


D'altro canto, come lo scrittore stesso illustrò in un suo più tardo trattatello dedicato al matrimonio, l'associazione tra omosessualità e morte non è casuale e riflette certe ottocentesche convinzioni secondo le quali l'omosessualità porterebbe inevitabilmente a un istinto individualista, sterile e asociale, e quindi alla morte, che può essere vinta solo dalla famiglia eterosessuale borghese che perpetua l'umanità. Mann teorizzava insomma la sua vita da velato e di queste idee è bene tenere conto se si vuole comprendere appieno dove vadano a parare tutti quegli istinti di morte che percorrono il romanzo di pagina in pagina. Mano a mano che Aschenbach cede ai sensi la morte gli si avvicina, morte incarnata e simbolizzata dalla stessa bellezza di Tadzio, la cui caducità si manifesta ad Aschenbach in un incontro ravvicinato in ascensore.

Una scena come quella in cui Aschenbach rinuncia ad avvertire la madre di Tadzio del pericolo del colera perché teme che fugga da Venezia privandolo della visione del suo amato fanciullo esemplifica chiaramente l'idea manniana secondo la quale l'omosessualità porta all'individualismo, all'incapacità di curarsi degli altri, e rappresenta quindi un pericolo per la società.


Con tutte le sue ambiguità, La morte a Venezia, forte del suo indubbio valore letterario e dell'intensità con cui comunque l'attrazione omosessuale emerge nonostante le nebbie intellettualoidi poste a velarla, è rimasta un classico della letteratura omosessuale e ha esercitato una larga influenza: basti pensare all'opera che Britten ne trasse nel 1973 o, ancora più, alla versione cinematografica di Visconti. Di recente lo scrittore Gilbert Adair ne ha tratto una sceneggiatura che ne traspone la vicenda negli Stati Uniti di oggi (Amore e morte a Long Island), e ha dedicato una ricerchina all'episodio biografico che ispirò a Mann il romanzo.

Per chi volesse approfondire, rimando al mio libro Scandalo e banalità. Rappresentazioni dell'eros in Luchino Visconti (1963-1976).

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