Sartoria, La [2001]

In un articolo apparso qualche mese fa sull'"Unità" (7 giugno 2001) dal titolo Libri senza scandalo, il gay pride degli editori, di Roberto Carnero, si parla, probabilmente con eccessivo ottimismo, di "esplosione della tematica omosessuale nei titoli in libreria".

La realtà forse non è proprio così entusiasmante, e rispetto al silenzio dei decenni precedenti anche una tiepida apertura può apparire una rivoluzione, ma una maggiore attenzione dell'editoria (come pure del cinema) nei confronti di temi legati all'omosessualità è innegabile.

Una prova di una evoluzione in questa direzione è la nuova collana editoriale di scrittori italiani della Rizzoli, "Sintonie": su sette volumi pubblicati fino ad ora, tutti di buon livello, due raccontano storie omosessuali. Un campione troppo esiguo per scorgervi una tendenza generale, ma due su sette (più del 28% ), è una percentuale decisamente significativa.

Gli autori dei due libri sono due scrittori già noti ai lettori di "Babilonia", Gilberto Severini (La sartoria, Rizzoli, pp.156, £. 22.000) e Andrea Demarchi (I fuochi di San Giovanni, Rizzoli, pp. 226, £. 24.000).


Severini, originario di Osimo nelle Marche, autore di racconti e romanzi tra cui Congedo ordinario (Pequod 1996) e Quando Chicco si spoglia sorride sempre (Rizzoli 1999), è maestro del racconto lungo o romanzo breve, che sembra essere il genere a lui più congeniale.

Severini qui racconta, con ironia e tenerezza, l'apprendistato sentimentale nella provincia marchigiana degli anni Cinquanta di un ragazzino alle soglie dell'adolescenza che, costretto a un lungo periodo di riposo prescrittogli dal medico, passa un anno circa della sua vita nella sartoria dello zio Guglielmo a "studiare l'umanità".

Tra i personaggi che frequentano la sartoria ha un ruolo di primo piano il Signor Aldino, le cui abitudini, sempre circondate da reticenza, sono oggetto di pettegolezzi e di frasi appena sussurrate.

La sua omosessualità, descritta così dal punto di vista, incantato e stupito, di un ragazzino che un po' intuisce e un po' colora di fantasie i suoi sospetti, è tratteggiata con straordinaria levità.

E alla fine, mentre lo scandalo che travolge il Signor Aldino viene metabolizzato dalla comunità fino a una ipocrita accettazione della sua omosessualità (purché non dia scandalo e non se ne parli davanti ai bambini), lo zio Guglielmo, travolto dall'irrompere dell'industrializzazione, è costretto a chiudere la sua sartoria.

È la scomparsa di un mondo a cui l'autore ritorna con malinconica nostalgia:


"La provincia italiana del dopoguerra", mi dice Severini "è quella in cui ho cominciato a guardarmi intorno, trovando tutto straordinario.

Volendo potrei farti un elenco dei motivi per non essere troppo allegri, ma, malgrado tutto, ero un bambino felice.

E ho molto amato quel mondo così più povero di quello di adesso; ma persino più quotidianamente creativo degli anni della "liberazione della creatività".

Forse tutte le infanzie sono incantate, magiche. Ma c'è davvero una differenza abissale tra un mondo scandito dal succedersi delle stagioni in un paese di collina, e il mondo in cui il tempo è misurato dal mutare dei consigli per gli acquisti, che forse sono persino la parte più guardabile della televisione, e si aspettano le svendite e le vacanze e il weekend tutti in fila.

Per carità, c'è il fascino anche in una fila a un casello d'autostrada per il bambino che la vede per la prima volta, e i suoi giochi al computer sono pieni di luci e colori. Lui da grande, se farà lo scrittore, se ci saranno ancora scrittori, magari scriverà "l'aeroporto". Un libro pieno di nostalgia per quando si viaggiava in gruppo e non si atterrava con il proprio aereo per famiglia sul tetto di casa".

Severini, che veramente sembra aver letto tutti i libri, usa una scrittura misurata e nitida che colpisce per la sua bellezza e a proposito dei suoi modelli letterari mi dice:


"Non so più davvero quali siano i miei riferimenti. Ho avuto, come tutti quelli che scrivono, grandi amori anche poco compatibili fra loro.

Per esempio, per parlare degli italiani, Arbasino su tutti. Ma non ho mai immaginato che potesse diventare un modello appena perseguibile.

Ho amato Coccioli (lo straordinario Coccioli del Piccolo Budda), Saba (Ernesto) e potrei continuare con un elenco molto lungo che, se poi inserissimo autori di altre letterature, diverrebbe incontenibile.

Si legge. Si ama. Forse si metabolizza. Ma poi si cerca il proprio suono. Il suono delle storie da raccontare. E quello paga chissà quanti debiti alle proprie letture, ma non si è più in grado di capire a chi si sta facendo il verso, o comunque di chi si sta applicando la lezione".

Ad un'ultima domanda sul rapporto tra omosessualità e letteratura, Severini, dopo aver chiarito le ragioni della diffidenza nei confronti di una "letteratura omosessuale" aggiunge:


"detto questo, credo sia importantissimo e fondamentale che ci sia una letteratura che racconti storie omosessuali.

Forse ricorderai che c'è un saggio di Fernandez, Il ratto di Ganimede, in cui si sostiene che l'omosessualità ora che è venuta alla luce non è più creativa. La fine della repressione omosessuale coincide anche con la fine del suo primato artistico. Tesi suggestiva. A cui si può obiettare che la repressione non è finita.

E comunque è durata così a lungo che l'omosessualità ha bisogno di recuperare la sua memoria e di cercare i suoi modelli.

L'infelicità di chi si scopre omosessuale e sa che per questo darà a sua madre il più grande dolore della sua vita è ancora una realtà.

E produce una qualità di sofferenza che forse solo la letteratura può talvolta tentare (dico tentare) di medicare".

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