Il gioco del re e dei suoi schiavi [1934-35]

19 aprile 2005, Babilonia, dicembre 2003, p. 78

Il libro è un'affascinante "biografia romanzata" in cui Sándor Márai (1900-1989) ripercorre i primi trenta anni della sua vita: l'infanzia e l'adolescenza nella cittadina dell'Alta Ungheria dove è nato, i primi turbamenti omoerotici in un collegio cattolico, la vita della propria famiglia ("non era una famiglia 'semplice', ma forse non esistono famiglie semplici"), e quella della borghesia europea con la sua cultura, le sue abitudini, le sue contraddizioni, il suo antisemitismo.

Le considerazioni e i racconti di Marai sugli ebrei nei primi decenni del Novecento rimandano al concetto dell'intollerabilità di essere tollerati espresso in quegli stessi anni da Cocteau nel suo Libro bianco a proposito degli omosessuali, e non sono solo queste le analogie tra antisemitismo e omofobia.


Notevole nella prima parte del libro l'episodio del gioco del "re e dei suoi schiavi". A otto anni il protagonista prova a fuggire dalla famiglia e cerca riparo in una banda capeggiata da un "un piccolo 'proletario'.

Con questo ragazzo e con altri componenti della banda comincia "un gioco particolare, inquietante e terribilmente piacevole".

Trovato rifugio in un luogo appartato, "il re" (naturalmente il piccolo proletario), "doma" i suoi schiavi: "completamente nudi dovevamo strisciare in ginocchio intorno al nostro tiranno, il quale ci percuoteva con la frusta, ci infliggeva 'punizioni' di tutti i tipi, ci ordinava di toccarci, ci imponeva ogni genere di pratiche".

Il gioco viene imparato in fretta senza bisogno di "corruttori" ed è, per il narratore adulto, lo spunto per una serie di riflessioni di straordinaria modernità sulla sessualità dell' 'uomo civilizzato' e sull'omosessualità.

A proposito dell'importanza di questo episodio, "la prima esperienza erotica compiuta", il narratore dirà, tra l'altro, che il senso di insoddisfazione che in seguito dominerà la sua vita sessuale, il suo pensiero e la sua cosiddetta 'visione del mondo' non sarà che il "residuo del gioco del 're e i dei suoi schiavi'".

Nella seconda parte del libro sono descritte le peregrinazioni del protagonista, prima in Germania, a Lipsia, Stoccarda, Weimar, Monaco, Francoforte, Berlino e poi a Parigi, Firenze, Londra, Medio Oriente, sempre spinto da un innato senso di ribellione, da una vorace curiosità e da una irrequietezza che sono per lui forma di vita.

Molto belle le pagine dedicate al soggiorno a Parigi, dove con la giovane moglie Lola scopre che essere borghesi in Francia è diverso che esserlo in Ungheria, e a Berlino dove "la confusione dei sessi regnava sovrana" e ogni esperienza era inebriante, anche se si era tutti come sull'orlo di un precipizio e "i poeti vivevano pieni di sgomento in quel mondo sempre più barbaro e pacchiano che stava affilando i coltelli".

E' con l'amara consapevolezza che la civiltà europea ormai non sa cosa farsene della "sapienza" dei letterati e che gli scrittori possono solo esprimere, in forme sempre più compiute e con insuperabile maestria, il proprio fallimento e la propria impotenza - consapevolezza che Marai condivide con altri grandi scrittori mitteleuropei come Thomas Mann, Stefen Zweig, Robert Musil - che il protagonista di questo straordinario libro autobiografico, agli inizi degli anni Trenta, torna in Ungheria con l'intenzione di restarvi per sempre.

Gli anni di apprendistato sono finiti e ora non desidera più andare da nessuna parte: "Esisteva una sola patria, ed era il territorio entro i cui confini si parla l'ungherese. L'unica patria di uno scrittore è la lingua materna".

Il libro apparve in Ungheria in due volumi tra il 1934 e il 1935.

In una successiva edizione del 1940 l'autore fu costretto a tagliare brani relativi a situazioni in cui si erano riconosciuti alcuni suoi vecchi insegnanti e, a guerra iniziata e con il suo Paese sempre più assoggettato ai disegni della Germania hitleriana, pensò bene di tagliare anche, come aveva già fatto con I ribelli, le parti che rappresentavano situazioni omosessuali, e le pagine più inquietanti sulla Germania degli anni Venti, che prefiguravano l'approssimarsi della catastrofe.

Il destino di Marai non sarà comunque quello prefigurato nelle ultime pagine del libro.

Sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, sarà presto in conflitto col regime comunista e nel 1948 lascerà per sempre l'Ungheria per vivere da esule, prima in Italia e poi negli Stati Uniti fino al suicidio nel 1989 a San Diego, e questo, come gli altri suoi libri, sarà conosciuto dal grande pubblico, solo dopo la sua morte.

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autoretitologenereanno
Daniela DannaMatrimonio omosessualesaggio1997

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