Isola di Creonte, L' [1990]. Una metafora del separatismo lesbo-femminista

Creonte è un personaggio mitologico: è il re di Corinto che condanna a morte Antigone per avere seppellito il corpo del fratello Polinice contro il suo divieto.

Qui Creonte è una donna, amica della narratrice, e le viene offerta la possibilità di vivere fuori dalle regole comuni in un'isola separata dal mondo; ma ella sembra rifiutare, e nell'ambiguità della conclusione il suo gesto potrebbe equivalere ad una condanna a morte.

L'indeterminatezza, il lieve mistero, il non-detto, e ciò che viene solo lasciato intuire, sono alcune delle caratteristiche di questo racconto.

Niente dati biografici sull'autrice. Solo una dedica che così recita: "Per tutte le donne che non si riconoscono".
Unica certezza: l'Amandorla è un'associazione culturale che predilige tematiche riguardanti in particolare l'omosessualità femminile; e L'Isola di Creonte di Marisa Strippini è stato pubblicato dopo aver vinto un concorso indetto, appunto, da L'Amandorla.

La scrittura fluente, con scarse virgole, comunica un'idea di pensiero libero, di discorso muto, oppure di contatto telepatico tra due dialoganti; il monologo interiore della narratrice assomiglia a quello dell'Ulisse di Joyce.

Ecco la breve vicenda.
Un gruppo di cinque amiche, tra cui la narratrice ma non Creonte, decide di separarsi dal mondo per rifugiarsi su un'isola deserta. "Il mondo verrebbe a cercarci?", si chiedono.

E così, se ne vanno, all'improvviso.

Vivere nell'isola è difficile.

Occorre costruire tutto e imparare a conoscere il territorio e gli animali: nonostante la fatica e la voglia di cedere esse si accorgono che c'è un altro modo per "camminare", non c'è bisogno di "forza" perché "sulla terra ci si può appoggiare e camminare lo stesso con un senso di benessere".
Si convincono a poco a poco che "al di là del mare c'è il mare", anche perché nessuno le cerca.

Proprio allora arriva Creonte da quel mondo, un po' incerta se restare o meno.

Non si sa se venga per cercare l'amica o per caso o per condannare la fuga.

Di sicuro mette piede su un'isola che c'è: "Se fossimo colate a picco sui fondali del mare perché andavamo contro qualcosa voleva dire che l'isola non esisteva". Ma l'isola c'è.

La narratrice che vede Creonte "dilaniata dalle morali e dalle logiche" riconosce che l'amica costituisce "il suo dubbio" ed anche l'isola è "l'isola del dubbio, della possibilità", dunque è l'isola di Creonte.

Creonte se ne andrà, tornerà al mondo, tornerà ad essere "un sogno" anche per se stessa ("sogno è l'essere nell'esistere") nonostante le sue "buone intenzioni"; le viene detto: "Creonte torna sul mondo... e racconta che oltre il mare c'è un'isola e che ci siamo noi".

Può darsi che la narratrice provi allora a sfidare la paura anche per Creonte perché "Creonte forse tu lo sai cosa cerco forse lo sai".

Ciò che cercano è racchiuso nella consapevolezza:

"Creonte ci possiamo amare possiamo vivere saremo la nostra consapevolezza"; e ancora: "Creonte qui esiste il dominio dei sensi e dell'intelletto qui la consapevolezza".

"Creonte il senso di colpa non fa crescere né vedere più questa terra... Creonte tieni toccala e sentirai com'è umida com'è morbida come è estesa nella tua mano, come essa ti sfiora, ti accarezza e non diventa tutt'uno con te...".

"Creonte noi siamo donne l'invidia della creazione, noi siamo i diavoli... facciamo peccato Creonte facciamo l'amore".

"Desidera Creonte, cerca di volere, volere con tutta te stessa".

"Creonte magari mi ami anche tu...".

"Io vorrei che fosse vero Creonte, perché io ti amo come la ruggine quando con la pioggia si esalta, ti amo da urlarti, da non volerti, da rinunciare a te per sempre se tu lo vuoi".

"Non allunghiamo più la corda Creonte, spezziamola...".

Non è difficile uscire dalla metafora ma forse è più facile restarci. Ognuna, ognuno deciderà per sé e darà allora a quell'isola la sorte che vorrà darle...

È proprio questo che il racconto comunica: l'allegoria dell'isola in mezzo al mare, del viaggio, del possibile ritorno coraggioso nel mondo fuggito, insieme con la fitta rete intessuta dal pensiero della narratrice, accoglie e raccoglie le sfumature proprie della mente di una donna quando entra in crisi d'identità perché non si riconosce più, perché non si vuole riconoscere, perché si riconosce con paura oppure con curiosità oppure diversamente con ostilità.

Ancora, l'impressione finale è quella di una ricerca che rimane aperta, in bilico tra il manifestarsi ed il separarsi, e ci si chiede se il dubbio attanagli di più la narratrice o Creonte.

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