One hundred years of homosexuality [1990]

12 maggio 2005

Questo è un libro teorico "militante" e "ideologico"; anche la mia descrizione lo sarà.

L'opera di Halperin è "ideologica" fin dal titolo, che richiama più l'interpretazione che dell'omosessualità greca hanno dato i moderni, che l'omosessualità antica in quanto tale.

Da questa opzione derivano i molti pregi e i molti difetti dell'opera, che per la prima volta tenta di applicare le tesi del cosiddetto "costruzionismo storico" (da qui in poi: "c.s.") alla storia precedente il XIX secolo.

L'autore è dilaniato fra due approcci teorici inconciliabili. Da un lato l'appassionata difesa del c.s. (che nega che esista, sia esistita o possa esistere omosessualità se non quella americana e inglese del XIX e XX secolo). Dall'altro il disperato tentativo di sfuggire alla conseguenza inevitabile di tale postulato, cioè se non è esistita omosessualità prima del 1800, allora è impossibile la ricerca storica sull'omosessualità di prima di quella data.

Halperin ha risolto la schizofrenia dividendo il libro in due parti non comunicanti: la prima tratta questioni teoriche interne al c.s., parlando non dell'omosessualità greca, bensì di coloro che hanno parlato dell'omosessualità greca.

Questa parte comprende i saggi: "One hundred years of homosexuality" (pp. 15-40), "Homosexuality: a cultural construct" (pp. 41-53), due articolate (ma non innovative) applicazioni delle tesi del c.s. al mondo greco antico; inoltre: "Two views on Greek love: Harald Patzer and Michel Foucault" (pp. 54-71), una recensione critica delle opere di questi due studiosi, con osservazioni assai acute.

La seconda parte affronta direttamente i documenti antichi, e qui Halperin, fin lì più amico dei dogmi che dei documenti, si rivela a sorpresa uno storico raffinato, e soprattutto uno storico che disobbedisce totalmente alle regole che aveva enunciato, utilizzando in modo diacronico concetti dipendenti da "costruzioni storiche" come "pederastia", "sesso", "uomo", donna", "maschio", "femmina" e perfino: "popoli mediterranei"!

Laddove nella prima parte Halperin aveva notato (p. 164, nota 67) come persino la parola "pene", se applicata al mondo antico, porta abusivamente con sé le implicazioni ("storicamente costruite") che noi oggi le attribuiamo, egli usa poi con nonchalance "femmina" e "maschio" come se queste parole, ancora più di "omosessuale" o "pene", non fossero "costruzioni storiche"!

Il voltafaccia non è comunque a sorpresa. Già a p. 60 Patzer (che nel suo rifiuto di parlare di omosessualità antica parla di pederastia iniziatica) viene rimproverato perché

"his hermeneutic procedure, far from escaping "ethnocentrism", as it is intended to do, merely leads to a kind of ethnocentrism in reverse, an insistence on the absolute otherness of the Greeks, and thus to an ethnographic narcissism as old as Herodotus: a tendency to dwell only on those features of alien cultures that impress us as diverging in interesting ways from "our own".

In Patzer's case, the well-founded convinction that homosexuality-as-sexual-inclination is a distinctively modern phenomenon leads to impose on the Greeks, by way of hermeneutic rigor, a pederasty-without-homoeroticism for which there is equally no trace in either the historical or ethnographic record".

Affermazione questa che con la sola sostituzione della parola "omosessualità" a "omoerotismo", si applica perfettamente anche al c.s. e ad Halperin.

Il ripudio delle teorie fin lì difese è comunque annunciato apertamente nella seconda parte in una nota a p. 76, in cui con iperurania schizofrenia fra "teoria" e "pratica" si comunica che Halperin tratterà di amicizia antica intesa non come filìa greca, ma come

"a somewhat more loosely defined modern concept called "friendship" which I am treating, for heuristic purposes only (sic!), as if it were a valid and universally applicable sociological category (which, of course, it isn't)".

Stabilito così de facto che il c.s. è una teoria priva di utilità pratica, o se si preferisce, di "valore euristico", Halperin ci offre un saggio che del c.s. non tiene conto, l'interessante "Heroes: and their pals" (pp. 75-87), sull'amicizia fra Gilgamesh ed Enkidu, Achille e Patroclo, e Davide e Gionata, analizzando fra le altre cose le implicazioni omoerotiche di queste relazioni.

Prosegue poi con: "The democratic body: prostitution and citizenship in classical Athens" (pp. 88-112), che discute della prostituzione ad Atene, ed è il solo testo di tutto il libro che finalmente prenda per le corna lo studio dell'omosessualità antica in quanto tale.
La tesi centrale è che il cittadino che si prostituiva in Atene era privato dei suoi diritti politici perché:

"the acceptance of money for sexual favors violated the ideal of self-sufficiency which, paradoxically enough, constituted the basis of mutual trust among members of the citizen collective, who had to assume that their common interest as full and equal shares in the previleges of democracy guaranteed their common purpose in advancing the welfare of the city, even when they disagreed with one another. But the prostitute gave up those interests" (p. 98),

dimostrando di esser capace di vendere la propria dignità per denaro.

D'altro canto lo Stato ateniese gestì a basso prezzo bordelli di donne per consentire l'accesso anche dei poveri alla "dignità maschile", promuovendo

"a collective image of the citizen body as masculine and assertive, as master of its pleasures, and as perpetually on the superordinate side of a series of hierarchical and roughly congruent distinctions in status: master vs. slave, free vs. unfree, dominant vs. submissive, active vs. passive, insertive vs. receptive, customer vs. prostitute, citizen vs. non-citizen, man vs. woman" (p. 103).

Il libro è concluso da: "Why is Diotima a woman?" (pp. 113-151) sul personaggio del Simposio di Platone. Scarsi i riferimenti all'omosessualità.

Un appunto: il mezzo migliaio ed oltre di note in appendice costituisce un ostacolo non indifferente alla lettura.

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