Sapranno il caso i parenti, i vicini, il popolo, la corte e i manderini

4 marzo 2013

Quand'ero ancora bambino lessi da qualche parte che il profeta Maometto aveva fatto tagliare una manica della veste per non svegliare il suo gatto che vi si era addormentato sopra: e questo gesto pieno di gentilezza m'induce a pensare che il fondatore dell'Islam, checché della sua religione abbiano fatto i suoi seguaci, dovesse essere un uomo d'animo cortese. Un imperatore cinese fece la stessa cosa per non destare il suo amato che dormiva sul capo appoggiato a un'ampia manica serica del paludamento regale: e l'aneddoto, tramandato con ammirazione dai testi classici, rese proverbiale "l'amore della manica tagliata", che era detto anche "della pesca divisa", in ricordo d'un altro nobile cinese, con cui un bellissimo favorito aveva desiderato condividere una pesca appena spiccata dalla pianta, dopo averla assaggiata e trovata buona; insomma, quell'amore che nell'Inghilterra vittoriana non osava dire il suo nome, nel Celeste Impero ne aveva più d'uno, e ce ne dà un saggio questa piccola antologia di racconti raccolti sotto pseudonimo fra i primi dell’Ottocento e i primi del Novecento, quando apparvero a stampa, da un letterato di cui non si conosce l’identità, visto che vi usò appunto il nom de plume di Ameng di Wu. Sono brani e aneddoti distribuiti nel corso di molti secoli, di vario genere e di vario tono: si va dal caso esemplare alla storiella bizzarra all'episodio biografico di monarchi o condottieri o mandarini all'apologo taoista alla leggenda buddista; vi si trovano vicende romantiche o violente, curiose o scipite, compiaciute o moraleggianti. Il limite maggiore alla possibilità di apprezzare appieno queste pagine, debbo dire, è a mio avviso prettamente culturale. In questa galleria fitta di nomi e titoli si cammina al buio e senz'appigli, e un intero mondo di allusioni fatalmente va perduto: un lettore europeo, anche di scarsissima cultura, vive in un ambiente dove Dante o la Madonna, Amleto o Caravaggio, Giulio Cesare o Apollo sono figure familiari a tutti, mentre questi personaggi reali o fantastici del lontano Oriente non gli dicono nulla; senza contare che mancano affatto su chi legga in traduzione le capacità evocative della lingua sul lettore cinese. Alla fine perciò sono scritti, qui tradotti per la prima volta in un idioma europeo, che non dicono più di tanto: restano scrigni pressoché chiusi; s'intravede che n'escono qualche scaglia di bagliore, qualche traccia di fragranza, ma la soddisfazione che un lettore italiano come me, del tutto digiuno di cultura cinese, è davvero pochina.
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