Sociedad rosa, La. Visita guidata a Barcellona

3 luglio 2005, "Babilonia" n. 104, ottobre 1992, pp. 18-21; connesso all'articolo "Barcellona. Momenti di gloria", di Vincenzo Patanè, pp. 18-21

Barcellona è senz'altro una meta conosciuta e apprezzata dal turismo gay. C'è chi si azzarda ad annoverarla tra le cosiddette capitali europee, paragonandola ad Amsterdam o a Berlino. In ogni caso, la capitale catalana offre davvero molto di più di quanto si possa trovare nelle grandi città italiane.

Un alto numero di locali de ambiente (così si chiamano in Spagna i locali gay) è già un elemento positivo, ad esempio per un milanese che per tutto l'anno ha dovuto accontentarsi dei soliti quattro bar. L'abbondanza dei bar fa sì che il pubblico si diversifichi naturalmente, e che ogni locale, in un certo senso, si specializzi rispetto a gruppi determinati di avventori (peraltro a Barcellona ciò accade anche ai locali etero). E questo è un altro buon segno, almeno dal punto di vista della varietà.

Non si deve pensare, d'altra parte, che avere clientele specializzate significhi aver creato tanti piccoli ghetti non comunicanti; al contrario, a Barcellona come in tutta la Spagna una buona serata, o meglio nottata, si trascorre andando da un bar all'altro, per cui, dopo la diversificazione, subito avviene il rimescolamento. Se avrete la fortuna di essere accompagnati da un barcellonese, questi si farà un punto d'onore di farvi vedere un po' di tutto della vita notturna della sua città.

Questo tipico pellegrinaggio da un bar all'altro si chiama ir de copas, ed è quasi sempre estenuante per chi non è allenato, oltre che parecchio dispendioso. L'amico di Barcellona avrà cura di alternare bar de diseño con bar cutres: i primi sono i locali più recenti, quelli alla moda, postmoderni e psichedelici, gli altri quelli dall'atmosfera vecchiotta e trasandata, un po' malfamati e pittoreschi. I primi sono quasi tutti nell'Eixample, a destra e a sinistra del Passeig de Gràcia, la zona più ricca e pretenziosa della città, gli altri si trovano invece nella parte bassa e antica della città, ai lati delle Ramblas.

Così, usciti dall'ultimissimo bar appena inaugurato, entrerete nel bar storico (spesso anche per la popolazione che lo frequenta), che si fa un vanto del proprio rifiuto di ammodernarsi.

E questo è un ottimo segno: significa che anche i luoghi della socializzazione gay - come quelli etero - tradiscono un'evoluzione storica, mantengono vivo il ricordo del passato. Un passato recente, di pochi decenni, ma che ormai sembra lontanissimo, e ai più giovani risulta praticamente inconcepibile.


Non bisogna infatti dimenticare che l'Altissimo ebbe la bontà di portarsi in cielo il generalissimo Franco solo nel 1975. E anche se si dicono meraviglie sugli anni della transizione, tanto inquieti e ricchi di fermenti soprattutto a Barcellona, la vita degli omosessuali non doveva essere delle più rosee. O eri un marica (l'omosessuale effeminato), oppure un maricón (l'omosessuale virile), ed era ancora peggio! Con questi due termini la società eterosessuale spagnola classificava ed esauriva il fenomeno dell'omosessualità.

Il marica era l'unica figura in qualche modo tollerata dalla società tradizionale: una madre poteva arrivare addirittura a dire: "Eh sì, ho avuto cinque maschi e neanche una femmina. Con il lavoro che mi danno tutti questi uomini, non c'è nessuno che mi aiuta! Se almeno ne veniva fuori uno mariquita, adesso c'era qualcuno che mi aiutava in casa". Il desiderio omosessuale poteva uscire allo scoperto solo rinunciando all'identità maschile. Fortemente stigmatizzato era invece il maricón, proprio perché non rinunciava al ruolo maschile pur avendo desideri omosessuali, che erano quindi condannati all'invisibilità.


Durante il periodo franchista il luogo privilegiato per la socializzazione fra omosessuali era la strada: attraverso il ligue callejero (l'equivalente del nostro battere) gli omosessuali entravano in contatto e costituivano, nel migliore dei casi, una rete di rapporti personali che solo nelle grandi città poteva formare un microambiente. Ora a Barcellona, con tante possibilità di ligue indoor, il ligue callejero non esiste praticamente più. Il numero di aprile 1992 della rivista del F.A.G.C. (Front d'Alliberament Gai de Catalunya), "Infogai", conteneva una specie di questionario scherzoso per verificare il grado di conoscenza dell'ambiente di Barcellona. Una delle domande era: "Quali sono le uniche aree rimaste per il ligue all'aria aperta?". Pare che siano il Parc de Montjuïc, la Plaça de Catalunya e l'Escorxador, luoghi rinomati che troverete subito, ma che sconsiglio per il ligue callejero, che, come dice la guida Spartacus, a Barcellona è sempre AYOR (at your own risk).


L'anno scorso [1991] un saggio intitolato La sociedad rosa di Oscar Guasch è stato finalista per il Premio Planeta (il premio è così prestigioso che è già titolo di merito per un autore essere finalista). Si tratta di un testo molto interessante perché prova a sistematizzare e storicizzare tutta la terminologia con cui in Spagna si è, volta a volta, classificato e stigmatizzato l'omosessuale. È uno studio che riguarda tutta la realtà spagnola, ma è scritto a Barcellona, con un occhio particolare per questa città.


Nel Dopo-Franco arriva anche in Spagna, lentamente, il modello gay americano e ai termini più o meno spregiativi con cui gli etero indicavano gli omo si sovrappongono nuovi termini con cui gli omo si definiscono e si distinguono reciprocamente. Per tutto il periodo fino alla comparsa dell'Aids, le nuove parole in uso sono la loca, il blando e il macho.


La loca (pazza) corrisponde alla checca italiana e raccoglie l'eredità del marica, ma mentre questo era, come abbiamo visto, abbastanza accettato, almeno rispetto al maricón, la loca diventa, all'interno del modello gay, la figura più stigmatizzata. In una situazione in cui l'omosessuale si riappropria trionfalmente e spesso esageratamente dei tratti e dei comportamenti maschili (è il caso del macho, termine internazionale che non ha bisogno di spiegazioni) la povera loca si trasforma agli occhi degli altri gay nel partner meno appetibile. In pratica, secondo Guasch, si crea una struttura polare, ai due estremi troviamo la loca (il gay effeminato) e il macho (il gay ipervirilizzato), mentre nel centro, a poco a poco, si delinea il blando, il gay che rifugge dall'una e dall'altra esagerazione.


Il blando è la figura che riscuote maggior successo nel mondo gay; il termine allude proprio all'ambiguità o ambivalenza che lo contraddistingue: il blando ha un po' della loca e un po' del macho, gioca mescolando volta a volta in diverse dosi i caratteri dei due estremi. Il blando piace a tutti, ai machos, alle locas, agli stessi blandos (questa è una novità: una loca reagirebbe con orrore all'idea di andare con un'altra loca).

Il carattere che invece ostenta con assoluta chiarezza è la giovinezza. Guasch ironicamente sostiene che un blando difficilmente supera il quarto di secolo. Dopo i trenta può trasformarsi in macho o in loca. Se persiste a fare il blando, a ostentarsi, in poche parole, adolescente, diventerà molto più presto un carroza, il gay che, in opposizione al blando, è appunto privo della qualità della giovinezza.


Ciò che risulta molto interessante, a mio parere, è che il blando, modello gay, ha riscosso un tale successo da estendersi all'ambito eterosessuale: negli ultimi decenni il modello del macho etero è sempre più regredito a vantaggio di un maschio molto simile al blando e che con grande ironia viene definito varón light (varón sta per maschio).


Resta da affrontare il termine più recente, quello che, a detta di Guasch, meglio definisce l'omosessuale del dopo Aids: entendido (e rispettivo verbo entender).

Tutta la terminologia del modello gay è, per così dire, politicizzata. Locas, machos, blandos e carrozas sono tutti ovviamente out of the closet, tutti in blocco si oppongono ai reprimidos, le nostre velate, che non sono considerati né si considerano gay.

Ecco dunque che alle due variabili già viste, virilità e giovinezza, se ne aggiunge una terza. l'autocoscienza. È quest'ultima variabile che nell'uso di entendido sembra aver preso valore. Entendido è chiunque sia capace di avere rapporti omosessuali: si tratta quindi di un termine estremamente generico e per questo potrebbe sembrare poco interessante. Ma ciò che lo rende degno di nota è la sua gergalità ancora forte: coniato dai gay, risulta ancora sconosciuto [nel 1992] agli etero. Ho fatto la prova con i miei amici etero di Barcellona.

E anche nell'ultimo romanzo (Garras de astracán, 1991) di Terenci Moix (scrittore catalano famosissimo che a me ricorda molto Aldo Busi e che sarebbe proprio ora che venisse tradotto in Italia) il giovanissimo protagonista gay usa il termine entendido rivolgendosi all'amica della madre che, pur essendo una grande conoscitrice della movida madrilena, non lo capisce ed è costretta a farsi spiegare dall'inesperto ragazzino il vero significato del termine.


È ancora troppo presto per valutare tutte le implicazioni relative all'affermarsi di questo nuovo termine, lo stesso Guasch non è così chiaro al proposito. Perciò la rassegna terminologica si conclude qua, mi accorgo che Barcellona si è ridotta a un pretesto per parlare di come i gay vengono chiamati o si chiamano in Spagna. Ma è certo che con questi termini si ha sempre a che fare una volta giunti a Barcellona o in qualsiasi altra località spagnola; per descrivere nei particolari la movida barcellonese ci sarà di sicuro un'altra occasione.

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