Hannibal

2 ottobre 2005

Quando uscì nel 1991, Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme scatenò le ire del movimento gay americano per via dell'alto tasso di stereotipi che concentrava nel personaggio del serial killer cui l'agente Clarice, con l'aiuto di Hannibal, dava la caccia. Come tutti ricorderanno, aveva l'hobby della sartoria, con un debole per gli abiti di pelle. Umana.


Rivedendo la carriera di Ridley Scott, non si può certo dire che si sia mai posto particolari problemi di correttezza politica. Rendersi simpatico non è mai stato il suo forte. Così, lavorando al seguito del Silenzio degli innocenti, girato e ambientato dieci anni dopo, sembra quasi andarsele a cercare. A parte le accuse di omosessualità rivolte a Hannibal (visto che ama la buona cucina, la buona musica, e altre cose buone) dall'omofobo e cattivo agente interpretato da Ray Liotta, lo stesso Hannibal si trova di nuovo ad affrontare un perfido omosessuale. Si noti che Clarice fa gentilmente notare come Hannibal scelga le sue vittime tra gli individui che ritiene socialmente inutili o dannosi.

Così, sempre meno pauroso e sempre più esteta (nella parte ambientata a Firenze si afferma pure come insigne dantista, sebbene il suo italiano sia pessimo quanto l'inglese di Giannini), Hannibal questa volta ha a che fare con Mason Verger, un miliardario viziato interpretato da un Gary Oldman riconoscibile solo nei flashback. Al presente, infatti, Mason è orrendamente sfigurato. Dopo aver approfittato di alcuni ragazzini riuniti in un campeggio per derelitti messo insieme dal padre, Mason era stato condannato dal tribunale a sottoporsi a terapia. Il suo medico? Hannibal Lecter, ovviamente. Mason tenta di sedurlo, se lo porta a casa e gli mostra i suoi attrezzi erotici sadomaso, Hannibal gli offre del popper e lui ricambia scarnificandosi la faccia con una lastra di vetro e dandone i brandelli in pasto ai cani. Ricucito alla meno peggio, Mason ora tira a campare nell'attesa della vendetta. Ha calcolato tutto: farà divorare Hannibal da un branco di maiali (o qualcosa del genere, una bestia tra il maiale e il cinghiale, comunque l'incrocio col maggior numero di denti che ha trovato). Ma finirà con l'essere divorato lui. Riassumendo: un omosessuale pedofilo erotomane masochista, tanto imbecille da sfigurarsi, mostruoso sotto tutti i punti di vista, patetico e infantile, che finisce in pasto ai maiali, tradito dai suoi stessi collaboratori.


Nel complesso il film sfiora il disastro. L'impoverimento rispetto al precedente di Demme si sente anzitutto nella rinuncia alle debolezze di Clarice, ora assai più monolitica (nel segno di tante altre eroine mascoline di Scott, dalla Ripley di Alien fino alla masochista esagitata di Soldato Jane), e nell'evoluzione del rapporto tra lei e Hannibal, sempre meno psicologico e sadico e sempre più banalmente erotico.

Ma soprattutto Scott rinuncia opinabilmente alla suspense a tutto favore del macabro, propinando allo spettatore prelibatezze quali un agente dell'FBI che cena con la scatola cranica aperta e il cervello al vento (mangiandone pure una parte cotta in padella; un'altra parte sarà servita su un aereo a un ignaro bambino). Ne esce una galleria raccapricciante con poche ambizioni narrative, non troppo lontana (budget a parte) da un qualsiasi b-movie di genere, incoerenze logico-narrative incluse. Anche la sceneggiatura di Mamet conosce cadute didascaliche che non gli fanno certo onore (soprattutto all'inizio, nella parte ambientata a Firenze e nei dialoghi tra Clarice e Verger).

Persino la perizia visiva di Scott appare più sbiadita e insicura del solito e sembra talora semplicemente giustapporre riprese che per tono, gratuita eleganza e taglio del montaggio assomigliano a spot pubblicitari. E non si tratta in questo caso di influenze tra media diversi, di omaggio a radici giustamente mai rinnegate, o di sperimentazione linguistica, ma semplicemente di sfocatura del progetto d'insieme, di sequenze che non sanno legarsi al resto del racconto e rimangono flash asettici e compiaciuti, come nella serata all'opera. Non è un caso: il talento visivo di Scott collassa di fronte al mito artistico-paesaggistico del Belpaese e si abbandona a una goffa oleografia, tanto che sembra talora più reclamizzare calze, profumi e prosciutti, invece che strutturare un racconto.


Eppure, vedendo le 14 (!) scene tagliate dal montaggio finale disponibili per lo spettatore masochista, com'è ormai consuetudine, nell'edizione in dvd del film, bisogna dare atto a Scott di aver tagliato scemenze anche peggiori, come l'Hannibal che annusa e lecca il volante dell'auto di Clarice, o che risolve il caso del mostro di Firenze notando che le vittime sono tutte messe in posa come le pulzelle dei quadri di Botticelli.

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