Poetica e prassi della trasgressione in Luchino Visconti

1 maggio 2013

Questo saggio sul cinema di Visconti mi sembra esemplare sotto diversi aspetti; e mi spiace di non essere abbastanza competente in campo cinematografico da poterne condurre una disamina vasta e puntuale come le sue qualità meriterebbero.
Mauro Giori affronta le pellicole prese in esame (accanto a regie teatrali coeve) anzitutto da un punto di vista filologico, con una paziente, sottile analisi stratigrafica di soggetti, trattamenti e versioni diverse delle sceneggiature, a volte proponendone anche una sistemazione cronologica e un'attribuzione alle varie mani di autori o revisori diversa da quella sinora ritenute corretta. Non dubito che in ambito cinematografico, al pari di quel che avviene in campo letterario, il lavoro filologico sia guardato con annoiato fastidio da numerosi appassionati che si accingano a fare ricerca in materia: è un lavoro minuzioso, a volte arido, poco allettante per la fantasia e il senso estetico; eppure basterebbe quest'opera ad attestare come, sempre che sia condotto con acribia e dedizione come qui, costituisca un lavoro imprescindibile non solo per evitare cantonate nell'interpretazione dei testi (delle quali peraltro, con ogni evidenza, gli esegeti avventurosi non si curano), ma anche per scoprire ciò che la semplice lettura del testo sovente neanche lascerebbe venire a galla.
Il confronto delle versioni, degli schemi preparatorî, dell'andirivieni di pentimenti e rifacimenti è una delle sedi privilegiate ove viene ad emergere il valore dirompente del cinema viscontiano rispetto alla produzione contemporanea: la critica estetica, sociale e morale prima dell'Italia fascista, poi di quella democristiana, sono perseguite dal regista milanese in modo costante, e prendono forma con scelte a volte determinate ab extra (soprattutto dalla necessità di proteggersi dalla censura) ma a volte prese autonomamente in corso d'opera. Esemplare, da questo punto di vista, è il modo in cui Visconti viene formando in Ossessione la figura dello Spagnolo: nella sceneggiatura originale l'antagonismo politico del personaggio era tratteggiato in modo conseguente, ma tutto sommato elementare; fu grazie alle idee registiche di Visconti che il personaggio si arricchì di sfumature e acquisì la piena carica eversiva e il fascino che sa esercitare tuttora sullo spettatore. Altri casi qui esaminati nei minimi dettagli sono, ad esempio, il formarsi della figura di Franz in Senso, attraverso un lavorio di sceneggiatura, a partire dalla novella di Camillo Boito, cui si sovrapposero le scelte di regia di Visconti, e il percorso estremamente complesso in cui si vennero configurando certi punti nodali nella trama di Rocco e i suoi fratelli.
Il compito ermeneutico però non si ferma qui: alla disamina filologica si uniscono sempre il ricorso alla teoria della ricezione e, più in generale, l'influsso dei cultural studies. Direi anzi che da un punto di vista metodologico questo saggio costituisce anche un modello di applicazione accorta e fruttuosa delle suggestioni apportate dagli studî culturali: accorta in quanto mai disgiunta dall'analisi filologica, e fruttuosa proprio perché lavora su terreno solido e non su più o meno azzardate petiones principii esegetiche. Veniamo così a scoprire quanto sia utile fermare l'attenzione sull'accoglienza del cinema viscontiano non solo da parte dei critici più informati, accreditati e provvisti d'equilibrio, ma anche da parte dei detrattori: a primo acchito può sonare semplicemente irritante, o perlomeno superfluo, passare in rassegna le più o meno dilettantistiche recensioni di rivistine cattoliche o d'estrema destra, le veline dei censori, gli appunti presi o trasmessi da sottosegretarî e burocrati, le lettere indignate di probi cittadini a pubblicazioni come Il Borghese; ma una volta che si riesca a guardare di là dai toni sdegnati o irridenti, ci si accorge come in mezzo al ciarpame e alla retorica bigotta o fascista facciano capolino riconoscimenti che la critica benevolente, o ad ogni modo la critica ufficiale e professionale, per limiti di visione o volontà di tutelare il buon nome di Visconti, non potevano trattare in modo chiaro ed esplicito. Molti detrattori di destra, pur nella loro rozzezza, capiscono benissimo ad esempio la portata rivoluzionaria del cinema viscontiano nel campo della definizione di generi, ruoli e orientamenti sessuali, e pongono l'accento con malizia o scherno sulle scelte visuali e testuali, che viceversa le letture favorevoli a Visconti sorvolano o trattano di striscio.
Viene posta in luce, d’altro canto, l’esistenza di ambiguità e zone grigie anche nella stessa prassi artistica viscontiana: e del resto, se mi si permette una generalizzazione, sovente la grande arte si muove effettivamente nel chiaroscuro, a differenza di ciò che semplicemente è modaiolo o didascalico. Scrive infatti l’autore, a suggello della sua disamina: “In nessuno dei casi qui presi in esame (…) le provocazioni del regista puntano a scardinare in modo radicale la morale corrente o ad abradere in modo calcolato e fine a se stesso le convenzioni del cinema o del teatro. Lo scandalo è un mezzo, non il fine. L’eversione viscontiana ha però sempre limiti ben precisi, riscontrabili nelle ombre dei testi su cui lavora; nel modo in cui si insinua nel tessuto discorsivo che lo circonda senza rifiutarne a priori le costruzioni, anzi talvolta rischiando di replicarle; nelle ambivalenze insite nella predilezione per vicende sentimentali esasperate e destinate al fallimento, utili per mettere in tensione il dramma ma costantemente a rischio di letture moralizzatrici. Il modello stesso del melodramma, così caro al regista, è del resto intrinsecamente ambiguo” (p.173).
Altro ragguardevole pregio del saggio sta nell'abbondanza di citazioni dirette dei testi richiamati, la quale oltretutto attesta il ricorso ad una bibliografia vastissima; e infine mi è molto piaciuta la sobrietà stilistica del testo, che non indulge mai a compiacimenti o fumisterie linguistiche, ma, nonostante la complessità della materia, è improntato sempre a chiarezza ed eleganza. Il libro insomma costituisce un esempio ragguardevole di ciò che la saggistica dovrebbe sempre rappresentare, ossia uno strumento per approfondire le conoscenze sul soggetto di cui si occupa, e per proporre nuove prospettive di lettura dei classici, giustificandole con ampiezza e fondatezza di argomentazioni: il tutto col rigore di chi, piuttosto che simulare novità col vestire alla moda idee vecchie tra virtuosismi e nebbie verbali, preferisce dire cose nuove senza clamori.
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