Una vita ambigua

Una narrazione delicata e perennemente in bilico caratterizza l'ultimo romanzo di Colm Tóibín incentrato sulla figura dello scrittore americano trapiantato in Inghilterra Henry James. in "The Master" Tóibín sembra sposare la tesi della segreta e mai pienamente vissuta omosessualità di James, seguendo il filo degli avvenimenti che si susseguono nei quattro anni della vita del romanziere che vanno dal 1895 al 1899, ma concedendo ampio spazio a parentesi che riguardano la sua infanzia e la sua giovinezza. Ne emerge il ritratto di un uomo condannato dalla propria codardia a una vita tiepida che lo metta al riparo da ogni rischio anche a costo di rinunciare a qualsiasi gioia.

"The Master" si apre con il disastroso debutto di Guy Domville, il dramma in cui Henry James aveva riposto tutte le sue speranze di successo come commediografo e con cui sperava di oscurare la notorietà dilagante che le opere di Oscar Wilde riscuotevano in tutti i teatri londinesi senza pausa. La sottile rivalità che James segretamente nutre da lontano per l'eccentrico autore del Ritratto di Dorian Gray che riesce a non incontrare mai sembra mettere in evidenza la distanza che separa di due uomini: entrambi innamorati del loro lavoro e del fascino maschile, sono però infinitamente distanti sia nell'approccio all'amore omosessuale (sfrontato in Wilde, completamente negato in James) sia nello stile di scrittura (assistendo a una replica di Un marito ideale Henry James non fa altro che annoiarsi per quello che lui giudica essere un'opera rozza, volgare, superficiale e mal riuscita). È curioso come Tóibín ricostruisce il rapporto a distanza che lega i due uomini attraverso i resoconti che i soliti ben informati del mondo della borghesia londinese fanno sui pettegolezzi che circolano nell'ambiente: storie ricche di particolari nel caso di Wilde intorno al quale proprio in quegli anni si andava alimentando lo scandalo che lo avrebbe portato fino al carcere; quasi inesistenti al contrario su Henry James che per non alimentare alcun pettegolezzo si nega persino a veri rapporti di amicizia.

Forse spinto anche dalla vergogna che prova dopo il fiasco della sua opera, James coltiva il sogno di allontanarsi da Londra e di rifugiarsi in campagna. Il desiderio di si concretizza nel ritiro nella cittadina di Rye, non lontano dalla Manica, dove accoglie visitatori e ospiti che giungono di tanto in tanto anche da lontano. E che ricostruiscono alcuni importanti frammenti della vita di James, come fa l'amico di infanzia Oliver Wendell Holmes per il quale aveva provato un indicibile turbamento condividendo il letto durante una indimenticabile estate in compagnia della cugina Minny Temple. È lui che nella confessione che compie seduto sulla terrazza della casa a Rye accusa James di aver ignorato le preghiere che Minny Temple gli rivolgeva delicatamente di portarla con sé nei suoi viaggi in Italia e di occuparsi di lei già gravemente malata. «Un inverno a Roma avrebbe potuto salvarle la vita»: un'accusa questa con sui James non riesce a fare i conti, evidentemente turbato dalla realtà che cela. E che si rivela invece in maniera più vivida quando conosce il giovane scultore Hendrik C. Andersen per il quale prova una attrazione e un affetto che non è in grado di confessare.

Attraverso la storia personale di Henry James che narra ricostruendo anche gli intrecci che essa ha con le trame delle composizioni del romanziere, Tóibín compone un ritratto cupo di un uomo che si costringe alla lontananza da se stesso rinunciando a quanto di più prezioso la vita possa offrigli. «A volte sentiva di vivere come se la sua vita appartenesse a qualcun altro» scrive Tóibín tratteggiando l'atteggiamento freddo e auto-protettivo con cui James accoglie anche le vicende più toccanti e intime. Un atteggiamento nel quale molti uomini che vivono con difficoltà la propria sessualità potrebbero riconoscersi. Anche lo stile di Tóibín è funzionale a rendere lo stato d'animo del protagonista, mai travolto da alcuna passione o deciso a tuffarsi negli eventi; cosa che rende a tratti la lettura un po' appesantita da una assenza di azione e dalla contorta introspezione reiterata.

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