Come non ci si difende dai ricordi. Sulla morte di Pasolini.

La copertina del libro, a sfondo nero cupo, porta un luogo e una data in piccoli caratteri bianchi: Ostia, 2 novembre 1975. E un nome, con cui abbiamo imparato tutti a convivere benissimo parlando di cultura, politica, omosessualità, poesia&

Pier Paolo Pasolini muore prematuramente in una data così emblematica, così già scritta, letterariamente definita. Per mano altrui, certo, per mano di quegli stessi "strumenti" d'amore e morte che si ricercavano (e forse si cercano ancora oggi) nelle notti romane, nella speranza di trovare nella disponibile miseria dei ragazzi di borgata, almeno un poco di quella genuinità giovanile popolare, forse anche fuori del tempo, così sempre più esigua; la bellezza che il poeta cercava non era quella manifesta agli occhi dei più, ma era una bellezza in sé più pura, perché non ancora sedotta e inficiata da quello spaventoso meccanismo omologante del "Nuovo Potere", che andava facendo strage (e oggi più che mai possiamo vederne gli effetti devastanti) delle individualità, del particolarismo, delle pluralità di soggetti, in favore di una più sterile ma certo più funzionalmente manipolabile (a che fini poi? e da chi?) idea di massa.

Pasolini resta fisso nel tempo, in conformità col mito romantico della morte dell'eroe (che forse non avrebbe nemmeno apprezzato):

"Forse nella sparizione precoce di alcuni scrittori bisognerà riconoscere un evento speciale di vita letteraria",

così dice Nico Naldini verso la conclusione del libro, trovando conferma nei fatti; non c'è infatti solo Pasolini, ma anche Tondelli, Nureiev, fanno poi capolino Goffredo Parise, Sandro Penna, Comisso...

Nel novembre di quest'anno si celebrano i trent'anni dalla morte di Pasolini, un po' tutti i media ne fanno riferimento e ognuno mette insieme quello che può per rendere omaggio alla figura culturale e politica italiana forse più rilevante degli ultimi cinquant'anni.

Ma quanto e cosa si sa realmente di Pasolini che non sia solo una conoscenza empirica, per sommi capi? Sappiamo essere uno dei massimi poeti italiani (ricordate la famosa omelia di Moravia in morte di Pasolini? "Il poeta è sacro!"), un intellettuale col dono della visione, come testimoniano molte sue premonizioni, molti ammonimenti rimasti inascoltati e di cui scontiamo adesso le conseguenze (la già nominata omologazione, il potere della Chiesa, lo sviluppo selvaggio, la pericolosità del consumismo, del pensiero unico veicolato dai mass media e chi più ne ha più ne metta); sappiamo essere stato un regista illuminato e che conta a tutt'oggi un discreto proselitismo anche professionale; sappiamo tutto questo e anche di più, ma forse non basta comunque. Bisognerebbe tornare indietro di qualche anno ancora e sentirci raccontare qualcosa a proposito di chi fosse Pasolini, e non tanto cosa sia diventato poi, forse così il percorso potrà infine risultare realmente una strada in discesa.

Fortunatamente esistono i ricordi. Nico Naldini è un poeta e scrittore che può vantare un'autorevolezza maggiore della gran parte di voci levate al nome di Pasolini, essendo, tra le altre cose, suo cugino da parte di madre.

Il libro, va detto, non è incentrato unicamente sulla figura pasoliniana, ma è principalmente un volume autobiografico in cui i ricordi vengono snocciolati uno via l'altro, inseguendo avventure giovanili in Friuli, timidi e meno timidi approcci sessuali, incontri occasionali e via di questo passo.

Il percorso non è cronologicamente uniforme, sta al lettore ricostruirne una certa consequenzialità, perché si sa, i ricordi non si comandano, ma affiorano uno alla volta, affondandosi l'un l'altro, dipartendosi da un nome, una data, un luogo.

Ecco allora che il titolo del libro assume il connotato di croce e delizia: da un lato la rassegnazione a non liberarsi di certe immagini, di certi piccoli e grandi dolori; dall'altra parte invece resta la preziosità del ricordo, il suo cristallizzarsi nella memoria per ritrovare anche un volto immutato, un paese com'era e come almeno nella mente potrà anche rimanere, un giorno per tutti, una frase per la vita& Allora una data, quella data, e un nome diventano una proustiana madeleine che apre le porte dell'inconosciuto altrimenti inaccessibile.


Naldini mantiene una grazia poetica anche nel narrare storie spicciole o eventi molto crudi: la sua vicinanza al cugino non è solo di sangue, ma è d'anima (lo vediamo tanto nei momenti di maggiore contiguità caratteriale, quanto nelle dolorose note stonate tra i due), anche Naldini apre il cuore ai suoi amori al maschile, alle sue conoscenze, ai suoi giudizi, alle sue esperienze. I tanti ricordi che va rivangando, dal privato più intimo al pubblico dominio, suonano una nostalgia del tempo- unico elemento inafferrabile- attraverso uno stillicidio costante che non concede tregua.

"Ciascuno ha diritto ai suoi rimpianti. Io cerco di rivivere i miei dentro queste fotografie".

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