Il figlioccio

17 dicembre 2006, "Il figlioccio", Fabio Croce Editore, 2006

Chi è il Figlioccio? O meglio chi non è il Figlioccio?

Oscar Hermes Villordo disegna in questo romanzo una Buenos Aires dei primi anni post-dittatura, periferica e marginale come i suoi personaggi simili a quelli di una Roma di borgata del dopoguerra.

In una onirica notte a Buenos Aires, il desiderio insaziabile e la ricerca dell’amore sono il motore di peripezie notturne tra edifici in costruzione e roulotte, spiazzi deserti, bar, carceri e tende da circo di un quartiere periferico marginale ed emarginato. Il protagonista del romanzo narra le sue avventure erotiche e i suoi incontri con figure che ricordano i personaggi di una favola: il figlioccio, l’alto, il basso, l’uomo della roulotte, l’acrobata, il baraccato, nessuno sembra avere un nome proprio e, quando ce l’hanno come Jenny, è un nome inventato. E sotto questa pulsione sessuale batte lo humour pagano e ingenuo del protagonista. Forse realmente ingenuo o forse incredibilmente capace di costruirsi un ruolo

Il Figlioccio forse non esiste o forse il Figlioccio, ognuno dei personaggi (e forse ognuno dei lettori) lo vede come vuole. Moro, biondo, alto, basso, etero, omosessuale. Il figlioccio non comparirà mai, ma sarà sempre presente.

Oscar Hermes Villordo conclude con El Ahijado la sua trilogia omo-erotica iniziata nel 1983 con La brasa en la mano. Se nei primi due romanzi la storia verte sulla vita sociale degli omosessuali a Buenos Aires durante le decadi del ‘60 e del ‘70, in quest’ultimo l’autore si concentra sulla vita notturna e le avventure di uno solo di loro, voce narrante e forse suo alter ego.

In tempi come i nostri, di gay pride, di coming out e rivendicazione di diritti è quasi difficile, soprattutto per le nuove generazioni, immaginare che un tempo l’omosessualità, prima di essere manifestazione sociale, era pura manifestazione sessuale e forse per questo tollerata (goduta?) anche da altri gruppi sociali apparentemente etero e lontani da qualsiasi stereotipo omosessuale.

I personaggi de “Il Figlioccio” sono manovali, muratori, ex galeotti. Il sesso omosessuale con il protagonista del racconto è vissuto normalmente, come utile sfogo per placare le proprie necessità fisiologiche. Ma ciò non esclude i sentimenti, ed ecco comparire – mascherati da ossessioni e relazioni di potere – segni di cedimento e timidi innamoramenti.

La narrazione prosegue come il racconto di un sogno che si svolge in due notti, il protagonista, perdendosi spesso nell’intricata trama del “mi ricordo”, narra le peripezie di una notte in un cantiere edile in compagnia di seducenti operai; trattato nel migliore dei modi e con il “Lei” di cortesia, racconta le sue avventure con un linguaggio in cui più di una volta è evidente il pudore a chiamare le cose con il proprio nome, perché in quei tempi un omosessuale, prima di essere oggetto-soggetto di piacere, era l’espressione colta e raffinata di una società vista solo dal di fuori da quanti vivono in un ambiente marginale. Era la metà degli anni ottanta, tempi in cui, appena usciti dagli anni cupi della dittatura, pur essendo ancora vigenti i decreti di polizia che potevano ancora arrestare qualcuno solo per il modo in cui andava vestito, in Argentina si cominciava a respirare un aria di normalità che il protagonista non vive rivendicando diritti che sarebbero arrivati con il tempo, ma rivendica il proprio diritto al piacere, al sentirsi omosessuale, a sognare “principi azzurri” e a non vergognarsi.

La scrittura si snoda con un linguaggio a volte volutamente ingenuo, come già detto, ma con forza e con una struttura solida e semplice, nessuna codardia o ipocrisia nel racconto di Villordo, né stilistica né narrativa, solo la pura verità.

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nomeprofessioneautoreanni
Oscar Hermes VillordoscrittoreVari1928 - 1994

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