Una voce nella notte

8 febbraio 2008

Il film è tratto da un romanzo di Armistead Maupin (che ha anche messo mano alla sceneggiatura) e il romanzo era ispirato a un fatto realmente accaduto allo stesso Maupin. Tutto ciò spiega perché il protagonista della vicenda è gay. Va sottolineato poiché il fatto che sia gay non ha nessun altro rilievo nell'intreccio. E questa è la cosa migliore del film. Finalmente siamo arrivati a vedere (di tanto in tanto) film in cui l’omosessualità non è una questione di sicurezza nazionale ma semplicemente un fatto della vita. Possibile, naturale, trasparente. Certo, il protagonista è un po’ sfigato, gliene capitano di tutte (all’inizio il suo fidanzato – già malato di AIDS – lo pianta; si ritrova ad avere a che fare con una psicopatica; ha dei genitori mostruosi; il lavoro è in crisi; ecc.). Ma capita anche agli omosessuali veri, di tanto in tanto, di avere qualche sfiga. Magari anche più di una, magari anche tutte assieme: quando l’omosessualità smette di essere trattata come un problema, rimane spazio per i problemi veri. Come una malattia, un grana con il lavoro, una crisi sentimentale.

O l’incontro con una psicopatica (donna: non pensate subito al vostro ex...). Ecco, questo è più raro, ma non è poi così strano nel mondo post-freudiano che ci vuole tutti nevrotici a un qualche grado. Tuttavia, la psicopatica che incontra Robin Williams in questo film è proprio al di là del bene e del male: non posso dire altro senza rovinare il finale.

Una volta, per evitare critiche, censure, o semplicemente per non destare sospetti e assicurarsi la possibilità di lavorare ancora, era tipico per registi, sceneggiatori e attori negare che un film sull’omosessualità fosse un film sull’omosessualità. Ad esempio, Wyler disse che Quelle due non era un film sul lesbismo, che è come dire che L’esorcista non era una film su una bambina indemoniata ma, che so, su una bambina con normali problemi di incontinenza. Ma Una voce nella notte davvero non è un film sull’omosessualità: il problema è capire cosa sia. Dovrebbe essere uno psico-thriller (qualcuno, a sproposito, lo ha accostato a La donna che visse due volte di Hitchcock) su uno scrittore che deve scoprire se la donna che gli telefona tutti i giorni e il ragazzino malato terminale di AIDS con cui parla ogni tanto al telefono non siano per caso la stessa persona. Ovvero, se il ragazzo esiste davvero o è solo un’invenzione della donna, che starebbe allora cercando di vendere un libro in cui racconta le vicende di questo fantomatico adolescente, il quale avrebbe contratto l'AIDS quando, da bambino, i suoi genitori lo prostituivano per rivendere poi i filmati su internet.

Ma tutta la parte dell’inchiesta – salvo qualche momento di sana inquietudine – lascia davvero molto a desiderare. La vicenda alla fine è piuttosto banale e per cercare di renderla in qualche modo intrigante gli autori non sanno fare di meglio che gestire il racconto in modo disonesto, mostrando ciò che non esiste secondo le convenzioni con cui al cinema si mostra ciò che esiste: affidano cioè al narratore esterno e onnisciente – che la tradizione vuole affidabile – la visualizzazione di persone che in realtà non ci sono (pazienza, ho rovinato il finale: ma non avevo mica detto che fosse un gran finale…). In questo modo lo spettatore viene deliberatamente ingannato. E non è nemmeno un’idea originale: l’aveva già fatto Hitchcock in Paura in palcoscenico. Solo che l’aveva fatto meglio, e cioè non solo con più intelligenza, ma anche in modo più onesto, perché si trattava comunque di un flashback di un personaggio.

Allora, ribaltando la solita ipocrisia hollywoodiana, varrebbe la pena questa volta di dire che no, non si tratta di un film su una psicopatica con problemi di personalità e su uno scrittore imbranato che casca nel suo tranello, ma si tratta invece di un film sull’omosessualità. Perché, senza avere nulla di particolare e di eclatante, è quella la parte che funziona meglio. E proprio perché non ha nulla di particolare e di eclatante. E nonostante gli interpreti (a cominciare da Robin Williams) convincano solo a intermittenza.

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