La linea (piatta) della bellezza

10 luglio 2013

La miniserie è ambientata nella Londra bene degli anni del governo Thatcher, che si specchia nella poco lusinghiera famiglia Fredden, composta da un padre incapace di dare valore a ciò che non riguarda la sua carriera economica e politica; una madre la cui estrema affabilità nasconde insane rimozioni; e una figlia tenuta in vita da psicofarmaci. C’è anche un figlio, ma compare appena all’inizio e alla fine, sicché sembra pensato solo per introdurre nella lussuosa casa di Notting Hill dei Fredden l’amico Nick, dopodiché abbandona la scena.

Con il suo background provinciale e (relativamente) proletario, Nick si ritrova così integrato suo malgrado in una famiglia all’apparenza calorosa, di cui apprezza l’immediata accettazione senza coglierne il paternalismo e prevederne i costi. Persino la sua omosessualità non sembra essere un problema, nonostante l’ideologia conservatrice del pater familias. Nick può così frequentare l’alta società londinese, coltivare amicizie influenti, raccogliere i capitali necessari a fondare una rivista glamour e nulla sembra mettersi sulla sua strada di mattoni gialli. Nemmeno la sua frequentazione con un giovane nero e realmente proletario sembra costituire un problema, tanto più che l’interessato si toglie di mezzo quando viene a sapere di essere malato di Aids. Nick si consolerà intrecciando una sconclusionata relazione con un ricchissimo rampollo velato e cocainomane, che muore anche lui di Aids.

Nulla sembra muoversi sin quando la famiglia viene travolta da uno scandalo finanziario e sessuale che tronca la carriera di papà Gerald. Le delusioni, i risentimenti, le miserie mai dette dell’intera famiglia sembrano così ripercuotersi su Nick, ingiustamente aggredito da tutti dopo che a sua insaputa i giornali scandalistici hanno indagato sulla sua vita privata onde trarne materia per ulteriori attacchi contro Gerald. Nick risponde come può, a mezza voce e tra i denti, come aveva sempre fatto con gli amici omofobi del padrone di casa, pur rimanendo sempre al suo posto per non perdere i vantaggi conseguiti.

The Line of Beauty termina sullo sfascio della famiglia e sul fallimento di Nick, che se ne va, lasciando in sospeso il test cui si è sottoposto per assicurarsi di non essere a sua volta sieropositivo.

Il problema è che lo spettatore passa tutta la serie a chiedersi perché non l’abbia fatto prima. Non tanto il test (ma anche), quanto lasciare casa Fredden. Infatti, nonostante alcuni affondi nella morale puritana degli anni Ottanta risultino efficaci, perlopiù vicende e personaggi semplicemente mancano di spessore e di interesse sufficienti a giustificare i costi: quelli di Nick nel farsi ospitare da una famiglia malsana che finge di trattarlo come un pari ma non manca mai di rimetterlo al suo posto; quelli dello spettatore nel seguire per tre puntate le vicende di questa Dynasty inglese senza Alexis, cioè senza camp e senza divertimento.

Non è d’aiuto il legnoso Dan Stevens nel ruolo di Nick, mentre Tim McInnerny sa dare sottigliezza al suo Gerald, sebbene da solo non basti a risollevare le sorti di una serie nell’insieme claudicante e meno incisiva di quanto vorrebbe essere nel suo ritratto d’epoca, nonché troppo ambiziosa per le tre ore a disposizione: per farci stare tutto molto deve essere lasciato sottinteso e la generosità delle ellissi non favorisce né la comprensione né il coinvolgimento.

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