Ragazzo di città

26 luglio 2013

Ho sempre pensato che a Edmund White il soggiorno parigino abbia fatto un gran bene, aiutando lo scrittore americano a far salire a galla quel certo gusto per l’aneddoto e il ritratto saporoso e pungente, e l’inclinazione ad una vena memorialistica che nell’apparente svagatezza sa effigiare in modo icastico un intero mondo: qui la New York degli anni Settanta; White è un vero ragazzo di città, un animale metropolitano, perché si rende conto che un artista, perlomeno nella fase della sua formazione e maturazione, ha necessità viva e insostituibile d’un terreno propizio, com'è quallo urbano più che quello della campagna o della provincia. La New York degli anni Settanta, campo di formazione di quella che forse fu la prima comunità gay moderna, città pazza e pericolosa, ma piena di fermento, di vita e di cultura, era ancora un luogo in cui un giovane squattrinato ma di talento poteva trovare di che vivere e sperimentare senza ansie per il futuro. D’altronde, in quel contesto di follia e creatività urbana, fioriva, soprattutto fra i gay, la sicurezza di far parte dell’avanguardia d’un mondo nuovo, in cui amicizia, rapporti sociali e relazioni sessuali non sarebbero mai più stati quelli del passato: la tempesta dell’AIDS e il tetro clima politico dell’età di Raegan vennero a spazzare via questo sogno; e New York, città smemorata e senza coscienza storica, come sostanzialmente la definisce White, non fu più la stessa.
Lo scrittore alterna passaggi autobiografici a ritratti vivi di amici, di conoscenti, di amanti: alcuni sono personaggi celebri, come il poeta James Merrill, Robert Mapplethorpe, Bruce Chatwin Christopher Isherwood o Don Bachardy, e soprattutto Richard Sennett e Susan Sontag, ai quali il Nostro dedica un capitoletto ciascuno dell’opera. E, come sempre, le pagine autobiografiche di Edmund White, che insieme sono anche autoanalisi lucida e saggio di storia della letteratura e del costume, qua e là soffuse d’elegia, mi hanno inchiodato al libro; White è uno di quegli scrittori dei quali non mi stanco mai.
Un paio di notarelle pedantesche sulla traduzione: in francese purée è femminile e quai maschile; e i pigiami per bambini infiammabili a pag. 145 fanno ridere proprio mentre il povero White sta riferendo i suoi dilemmi morali quale redattore di testi per una casa farmaceutica.
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