Gay New York

31 luglio 2013

Non mi sembra che questo saggio di George Chauncey sia stato tradotto in italiano: ed è un peccato, perché da un punto di vista storiografico appare molto interessante, benché forse l'argomento assai limitato geograficamente lo renda in effetti poco appetibile al lettore medio; piacerebbe sicuramente di più a un editore una storia dell'omosessualità dal neolitico all'altro ieri, anche se in effetti vi si troverebbero le solite cose più o meno ben ripetute. Lo storico americano ha invece affrontato una ricerca seria e originale, limitata alla città di New York, al mezzo secolo tra la fine dell'Ottocento (quando le grosse correnti migratorie modificarono a fondo il tessuto urbano della metropoli) e la Seconda Guerra Mondiale e all'omosessualità maschile, ma in compenso basata su d'un vaglio delle fonti amplissimo: atti processuali, verbali di polizia e delle diverse leghe private "contro il vizio", letteratura medica, spoglio di lettere e diarî ma anche di narrativa contemporanea, testimonianze orali: di particolare pregio queste ultime, in quanto raccolte una trentina di anni or sono (il saggio fu pubblicato nel 1991), quando ancora erano vivi molti gay che avevano conosciuto personalmente la vita nella New York fra le due guerre mondiali.

La vulgata storiografica che questo studio mira a rovesciare vorrebbe che fino alla rivolta di Stonewall quasi tutte le persone omosessuali vivessero isolate e timorose, invisibili al prossimo, prive anche d'una sottocultura condivisa; Chauncey dimostra viceversa che, perlomeno a New York, le cose non andavano affatto così: esistettero anzi numerosi spazî nei quali le persone omosessuali si potevano esprimere in modo aperto e a volte addirittura con una certa insolenza, ed esisteva una fitta e ampia rete di locali pubblici, camere in affitto, bagni, saune, parchi e posti più o meno clandestini dov'era possibile non solo procacciarsi sesso anonimo e rapido, ma anche costruire rapporti di amicizia e mutuo soccorso; né mancavano i casi di vere e proprie storie d'amore e di coppie stabili intorno alle quali si radunavano gruppi di sodali. L'elemento più rilevante tuttavia è dato dal fatto che molte di queste realtà non erano affatto dissimulate: alcuni tipi di locali e di feste, soprattutto in zone come il Greenwich Village o Harlem, attiravano clientela numerosa che manifestava alla luce del sole il suo orientamento sessuale. Inoltre l'autore descrive le differenze nell'atteggiamento verso l'omosessualità in rapporto alla classe sociale: più tollerante nelle classi inferiori, dove peraltro quest'apertura riguardava essenzialmente la fairy manierata ed effeminata, la cui ostentazione, tutto sommato, rassicurava il maschilismo dominante; più moralistico nelle classi medie, improntate a un dogma della rispettabilità ma anche caratterizzate, in compenso, da una concezione più sfaccettata e moderna.

Certo, la situazione era precaria e foriera di pericoli. A New York, come in molti altri luoghi, la "sodomia" era un reato punito con notevole rigore; di fatto, però, era difficile dimostrarla, a meno di non sorprendere in flagrante i rei mentre avevano un rapporto sessuale: molto più facile invece incolpare le persone per quello che nel nostro sistema giuridico potrebbe essere un reato contravvenzionale di atti osceni: la norma applicata a New York era graduata (poteva comportare una pena più o meno severa secondo la gravità della condotta) ma nel contempo molto vaga, e lasciava molto margine quindi sia alle forze di polizia sia ai giudici. Anche se gran parte dei processi si concludeva con pene relativamente miti (poche settimane di lavori forzati), lo scandalo poteva stroncare la carriera lavorativa e danneggiare gravemente la reputazione del condannato nel contesto familiare e del quartiere, soprattutto se si trattava di persone non ai margini della società. D'altra parte, le retate poliziesche contro i locali gay erano saltuarie, spesso provocate da iniziative delle potenti leghe "antivizio"; e queste stesse, d'altronde, non ebbero mai l'omosessualità fra i loro bersagli preferiti: spesso gli omosessuali finivano coinvolti in inchieste partite genericamente per combattere la prostituzione o altri reati. Dall'età del proibizionismo si nota un aumento di attività persecutoria, peraltro non sistematica ed efficace; e solo con gli anni Trenta, soprattutto dopo la fine del proibizionismo, la stretta contro i locali pubblici che ospitavano comunità gay, unita ad un generale moralismo verso l'espressione di contenuti omosessuali nel teatro e nel cinema, rese la vita del gay sempre più soffocante, spingendola verso il "ghetto" e la semiclandestinità: la situazione verso cui si trovarono a combattere i movimenti dagli anni 50-60 in poi, e che molti militanti credevano avesse caratterizzato in modo immutabile l'intero passato del mondo gay americano. Paradossalmente, fu proprio tale spinta verso il ghetto e l’invisibilità a favorire la formazione d’un nocciolo duro di omosessuali militanti da cui sarebbero nati i movimenti gay moderni. Ciò però non significa che i gay dell’epoca esaminata da Chauncey fossero tutti privi di coscienza di sé: risultano sorprendenti certe risposte date da omosessuali anche delle classi sociali meno istruite a medici e tutori dell’ordine, piene di dignità e forte senso della normalità del proprio orientamento sessuale, ammesso e vissuto senza vergogna; e, più in generale, è frequente la sensazione che persone pur molto diverse per estrazione economica, educazione e sensibilità avevano piena coscienza di far parte d’una comunità (o d’una rete do comunità) con le sue regole, i suoi riti, i suoi legami spesso molto forti e ramificati. La lettura del saggio apporta con sé anche un notevole fascino come guida a una New York che non esiste più, piena di voci, di usanze e di gerghi che riportano in vita frammenti vividi d’un passato la cui conoscenza, come sempre, è essenziale se vogliamo capire il nostro presente.

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