A.A.A., regista cercasi

8 agosto 2013

Che un giovane piacente (Matt), il quale non solo può avere chiunque ma sembra aver avuto chiunque, possa incapricciarsi di un giovane instabile (Craig) può anche concedersi. Si è tuttavia meno inclini a concedere che, verificata al primo incontro la grave dissociazione mentale del concupito, nonché la sua violenza, Matt se lo prenda poi in casa solo perché ha quello che si dice un corpo atletico, lui che si è fatta e rifatta tutta Soho e che di corpi atletici nella discoteca gay in cui lavora può trovarne quanti ne vuole. È vero che ci sono persone di buon cuore che hanno la vocazione inconfessabile della crocerossina e si inteneriscono per i casi clinici, ma Matt non sembra avere tale propensione, se dobbiamo credere a chi lo conosce bene: amici e colleghi assicurano che è sempre stato volubile e non si è mai tenuto nessuno per più di poche settimane. Che poi le ragioni dell’instabilità di Craig siano oscure, e che nemmeno a Matt interessi sondarle, rende incomprensibile lo svolgimento del film, il quale viene presto a noia. Di fronte al primo scambio di battute fra Matt e la sua fag hag dentro la discoteca, ripreso con un campo/controcampo straziante, ho temuto il peggio. Avevo visto bene, e il film era iniziato solo da due minuti.

Quando poi a casa Craig si offre a Matt, ma stringe gli occhietti con smorfia sofferente appena viene accarezzato, ne avevo già fin sopra i capelli, prima ancora che lo sbandato si mettesse a prendere a pugni il muro solo per essere stato esaudito nella sua richiesta di spingere la conoscenza a un livello biblico. Ma ero solo a 10 minuti dall’inizio e fino alla mezz’ora non si nega a nessun film il beneficio del dubbio. Ho quindi appuntato pazientemente i dati in attesa di delucidazioni: Matt sembra essere un masochista (nonostante la scenata e Soho ai suoi piedi, lascia un biglietto da visita e spera di essere richiamato) e Craig, benché non abbia problemi a dirsi gay (persino agli sconosciuti in metropolitana), per qualche suo trascorso sembra invece avere problemi proprio ad accettarsi (è quanto gli rinfaccerà più avanti lo stesso Matt).

Da che mondo è mondo gli sventurati esercitano un loro fascino patetico (cui la cultura omosessuale ha fatto nei secoli abbondante ricorso), sicché si poteva ancora sperare in un qualche riscatto. Però quando Craig, a disagio nel privato della sua stanza, su una pubblica spiaggia si offre invece senza problemi, anima e corpo (soprattutto corpo), ho rinunciato a dare coerenza alla costruzione psicologica del personaggio. Del resto ero ormai a 32 minuti dall’inizio, il mio dovere l’avevo fatto.

A quel punto era tutto evidente: non c’era nessun mistero e nessuna psicologia complessa da ricostruire, si trattava solo di un film concepito, scritto e realizzato con la mano sinistra, e a occhio senza nemmeno usarla tutta. Allora non mi sono più sorpreso quando Craig, pur psicopatico, ladro e violento, si arrabbia con Matt perché tira un po’ di coca (il più banale e immancabile corollario dell’ambiente discotecaro e musicale), né quando al suo risveglio si scusa come se a parlare al posto suo la sera prima fosse stato un altro. La grave dissociazione mentale di Craig sembrava già irrecuperabile, mentre il film era ormai in metastasi.

E infatti Like It Is riesce a procedere solo accumulando inconsistenti motivi di screzio e interferenze gratuite (del capo di Matt e della sua patetica fag hag) che non sarebbero credibili nemmeno nella più artefatta commedia teatrale. Né vi sono virtù compensative che possano bilanciare tanta insipienza. Gli interpreti, ad esempio, sono di un pallore sconfortante (il che è un crimine doppio per un film inglese, giacché la Gran Bretagna ha un parco inesauribile di buoni attori). Mancano dunque le premesse necessarie a far funzionare quelle ripicche, quelle gelosie e quelle insoddisfazioni che pure dovrebbero essere alla base delle scelte dei protagonisti. E mano a mano che si aggiungono personaggi, costretti a recitare dialoghi improbabili e ridondanti, il film rotola verso la sua fine ingloriosa, ovvero un lieto fine letteralmente lavato nel sangue, che più kitsch non si potrebbe.

I fan degli Who potranno forse gradire la presenza del leader della band nella parte del discografico puttaniere, benché risaputa quanto tutte le altre.

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