East End Boys, West End... Boys

25 agosto 2013

Westler, film televisivo di Wieland Speck trasmesso nel 1985 dalla ZDF, è – nelle parole del regista stesso[1] – una sorta di “Romeo and Julio” ambientato ai tempi della DDR. Protagonisti sono due giovani omosessuali berlinesi, il Westler Felix (Sigurd Rachmann) e l'Ostler Thomas (Rainer Strecker) impegnati in una storia d'amore fra l'una e l'altra parte del muro. Riassumiamo brevemente la trama per passare successivamente ad una più dettagliata analisi dell'opera.

Berlino, metà anni '80. Dopo un viaggio a Los Angeles col il suo amante americano, Felix – berlinese dell'ovest – decide di ricambiare il favore ospitando l'amico nella sua città natale. I due ne approfittano per una tappa a Berlino Est, ove s'imbattono quasi per caso nel giovane Thomas, cittadino locale che richiama da subito le attenzioni di Felix. Ritornato a Berlino Ovest, Felix viene presto contattato da Thomas; i due si rincontrano ed iniziano una relazione. Per il partner, Felix si divide fra il lavoro, la vita ad Ovest e la necessità di dover continuamente varcare le frontiere, operazione all'epoca permessa ai cittadini della parte occidentale, ma sicuramente papabile di generare sospetti se ripetuta con eccessiva frequenza; e di fatti le autorità della DDR cominciano a vessarlo con sempre più frequenti perquisizioni e controlli. Nel frattempo anche Thomas incontra alcune difficoltà di carattere lavorativo, che contribuiscono al suo desiderio di fuga verso l'ovest. L'occasione sembra giungere provvidenzialmente grazie a Pavel, un suo amico ceco che potrebbe garantirgli dei contatti utili per intraprendere la migrazione partendo da Praga (uno dei pochi luoghi verso i quali i cittadini della DDR avevano permesso di viaggiare, assieme ad altre località situate nel Blocco Orientale). I due amanti si ritrovano nella capitale ceca e Thomas si prepara al tentativo di evasione, malgrado Felix sia visibilmente preoccupato. Il film si chiude sul loro (provvisorio?) addio; nulla viene rivelato in merito all'eventuale riuscita del piano.

Nonostante il film si presenti abbastanza chiaramente come una produzione televisiva – ed in quanto tale, si tenga su un registro anche artisticamente piuttosto dimesso – esso offre diversi aspetti degni d'interesse. E' purtroppo viziato, va aggiunto, dallo spirito dell'epoca: ovvero, è tremendamente anni '80 – lo è innanzitutto da un punto di vista estetico: Felix, l'americano e tutte le loro amichette appaiono conciate come delle tipiche cule ottantiane – ma questo è il meno, più disturbante è il comparto cinematografico della faccenda, con un montaggio a tratti alquanto discutibile (soprattutto quando vuole essere – ingenuamente – associativo) ed un utilizzo un po' incoerente del sonoro, sia quando si tratti di dialoghi (non ha senso che le battute di due personaggi in scena si sentano forti e chiare non ostante la camera sia posizionata dall'altro lato di uno stradone, con il traffico che scorre torrenziale nel mezzo) sia per quanto riguarda la musica non diegetica, con una selezione di orripilanti temi di synth pop strumentale vagamente kraftwerkiano che non sempre accompagnano coerentemente quanto avviene sullo schermo (creando nei casi peggiori effetti quasi tragicomici). Anche i raccordi di scena non sono sempre gestiti in maniera ottimale, con certi “black out” graduali da serie televisiva americana d'antan.

Ciò detto, il film non è privo di alcune piccole finezze, una delle quali, a ben vedere, è più che altro necessità fatta virtù: mi riferisco alla breve sezione ambientata nelle strade della Berlino Est. Tali riprese vennero infatti svolte illegalmente per mezzo di una Super 8, con la costanze preoccupazione di eludere eventuali controlli della autorità locali (essere colti sul fatto avrebbe potuto significare la prigione). I due occidentali s'immergono nell'est tramite una serie di movimenti stranianti: anzitutto devono passare le apposite frontiere, sorta di rito iniziatico ambientato in luoghi spersonalizzanti ed incrostati di burocrazia – attendono in file separate, attraversano una galleria buia, ove l'identità degli altri astanti è resa solo tramite il riflesso dei loro volti sulla teca di uno sportello di controllo documenti (forse è più facile mostrarlo che spiegarlo, immagine 1), si fanno rettificare il visto in un enorme salone vuoto eccetto per il tavolo del burocrate, con il martellare ossessivo dei timbri come unico suono presente e fastidiosamente rimbombante nell'intero processo (ammirate tra l'altro il simpatico pendant tra la giacca stile James Dean di Felix e lo striscione della DDR, immagine 2) ed infine riemergono in una Berlino a loro del tutto sconosciuta. La loro estraneità è quindi adeguatamente espressa dall'abbassarsi della qualità dell'immagine, con colori molto più smorti, opachi, con l'oscillare malfermo dell'inquadratura e la necessaria assenza di dialoghi: un'interessante simulazione visiva ed immediata della confusione che un occidentale doveva provare in quegli anni venendo a contatto con l'altra metà del blocco. Altro pregio di questa soluzione è il suo conferire una patina onirica eppure credibile all'incontro casuale con Thomas: Felix lo avvista (con tanto di scambio di sguardi eloquenti) diverse volte nel corso della sua passeggiata con l'americano, per poi vederlo ricomparire o perdersi nella folla, ed infine ritrovarlo ad Alexanderplatz, ove finalmente si decide ad approcciarlo. Thomas è la chiave d'accesso ad un orizzonte altrimenti sconosciuto e finora dominato (cinematograficamente parlando) dal silenzio e dall'indeterminatezza: non sentiamo le parole che i tre si scambiano al loro primissimo incontro, ma li rincontriamo in una Kneipe gay subito dopo, col ritorno del sonoro e del girato “regolare” – da qui in poi il film si baserà più che altro su un gioco d'interni, l'est sarà solamente “simulato” e ricostruto – come luogo cinematografico “astratto” – dall'avvicendarsi dei vari appartamenti[2].

Ed in merito agli orizzonti spaziali, è interessante notare il tipo di movimento che prende corpo nella pellicola, messo in rilievo da Speck medesimo. In termini concreti l'azione parte da Los Angeles, si sposta a Berlino Ovest e quindi a Berlino Est (con la continua alternanza dei due piani, simboleggiata dal sempre più oppressivo varcare della frontiera) ed infine a Praga – quindi da ovest verso est, ma è una direzione puramente funzionale alla reali intenzioni dei personaggi, che in termini di movimento mentale desidererebbero piuttosto dirigersi verso l'ovest. Non credo che questo costituisca tuttavia un sufficiente motivo per tacciare il film di facile propagandismo pro-occidentale, ipotesi che sarebbe legittimo ventilare, considerando anche che la sua destinazione era un canale televisivo dell'ovest; in realtà si prova la sensazione che Speck abbia semplicemente voluto restituire una fotografia sobria ed onesta dell'epoca, senza troppe idealizzazioni – indicativo in tal senso è il monologo sull'occidente affidato all'americano in una delle prime scene della pellicola, ove davanti ad una Los Angeles luccicante ed indeterminata nel buio notturno viene messa in discussione la continua fuga conquista dell'uomo verso l'ovest, e ci si interroga in merito ai lati malfermi e distruttivi correlati a questa corsa inarrestabile e frenetica che dura dagli albori della civiltà; allo stesso modo Felix, parlando della BRD e del mondo capitalista, spiega a Thomas che la libertà “dura solo finché abbiamo marchi in tasca” (particolare plauso alla scena del terzetto nel pub, che ci presenta uno dei dialoghi più credibili ed efficaci del film). Intelligente e denotante sensibilità da parte del regista è inoltre l'aver concluso la propria opera con un finale aperto, dove – come ci si sarebbe attesi da una produzione destinata alle masse – sarebbe stato facile venirsene fuori con un “tutti felici e contenti” o, ancora peggio, con un drammone strappalacrime che avrebbe implicato una condanna troppo enfatica nei confronti del regime e provocato una stonatura con i toni garbati ed onesti tramite i quali l'omosessualità era stata rappresentata nel corso del film: anziché mostrarci le macchiette infelici e nevrotiche tipiche di tante produzioni “a tematica”, Speck ci fornisce delle figure credibili, realizzate e serene nella loro relazione, ostacolata semmai dalle circostanze esterne, storiche. Il regista racconta oggi come le sue preoccupazioni principali fossero di fatti da un lato la necessità di presentare un film che risultasse accettabile anche da degli Ostler scontenti della DDR, ma stanchi degli stereotipi mellifluamente compassionevoli con cui gli occidentali dipingevano l'est; ed allo stesso tempo fornire una pellicola che, tramite la diffusione capillare della TV, permettesse alle tematiche LGBT di entrare nella case dei tedeschi sotto una veste serena e “digeribile”[3]. Da ciò ne consegue anche, evidentemente, che non ci dovremo attendere scene di sesso sfrenato quasi ci trovassimo di fronte ad un Taxi zum Klo politicante ed un filino più romantico: le effusioni sono castigatissime, giusto qualche bacio francese ed un po' di nudità parziale; ma considerata la destinazione del prodotto, la cosa appare del tutto legittima.

A prescindere poi dalle varie questioni esterne all'opera, la soluzione del finale aperto appare stimolante anche perché rappresenta adeguatamente l'incertezza del destino che un simile tentativo comportava anche nel mondo reale.

[1] Le dichiarazioni del regista citate nel corso della recensione sono tratte da una pratica intervista inclusa nel DVD del film edito dalla Picadillo Pictures.

[2] Wieland Speck spiega oggi che costruire un interno credibilmente “östlich” fu una delle situazioni più problematiche; al fine di riempire l’appartamento con prodotti tipici della DDR, dovette stipare il proprio cappotto di merci assortite ed escogitare vari altri mezzi per eludere le autorità orientali, all’epoca severissime in merito.

[3] E segnalerebbe inoltre che diversi giovani omosessuali avrebbero fatto coming out in seguito alla visione famigliare del suddetto prodotto.

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