No. No. No.

14 novembre 2013

Pur essendo tratto da un brillantissimo racconto di David Sedaris, peraltro già piuttosto cinematografico sulla carta stampata, C.O.G. riesce a essere un film orribile. Il regista e sceneggiatore Kyle Alvarez si rende colpevole di ottusità dolosa e di plurimo omicidio nei confronti dei personaggi di Sedaris, che reinventa senza senso dell’umorismo. I motivi del totale fallimento sono vari:

[1] il fraintendimento dell’ironia del racconto di Sedaris: anche nei rari momenti in cui traspare, sembra non essere stata del tutto compresa da Alvarez. Il personaggio di David, che nel racconto è un ragazzo omosessuale timido ma risolto, in cerca di un’alternativa country alla troppo civile vita urbana, nel film diventa un insopportabile liberal ricco sfondato, uno di quegli uomini bianchi coi dreadlocks che decidono di passare un’estate coi poveri (da pronunciare rigorosamente con la erre moscia) per puro vezzo. Nel film David pontifica continuamente sulla propria istruzione e sul proprio ateismo, mentre nel racconto non si permette di sfinire il vivace Lumpenproletariat del bus o i contadini messicani della piantagione con le proprie fisime;

[2] la mancata comprensione del sarcasmo antireligioso di Sedaris: Alvarez si accosta alla tematica con la simpatia di un testimone di Geova che suona il campanello alle sette della domenica mattina, dando alle immagini un senso diametralmente opposto a quello inteso da Sedaris. Il personaggio di Jon, nel racconto, è un Jesus freak squinternato, nonché maniaco sessuale, cui David si avvicina perché ha bisogno di un passaggio e perché «è pur sempre meglio che parlare con le mucche». Nel film, il ruolo di Jon viene amplificato: si trasforma in un’apparizione salvifica, in un portatore di verità, in una figura paterna per il povero David ripudiato dai genitori piddini perché finocchio. Verso la fine del film David piange disperato, inginocchiato sull’altare di una chiesa, e sembra volersi convertire all’eterosessualità, mentre nel racconto l’incontro di David con la religione è opportunistico, fugace e tutt’altro che serio;

[3] la mancata adesione alla divertente morale sessuale di Sedaris: nel racconto David viene sedotto in maniera burbera ma deliziosa da Curly, addetto all’elevatore a forca in una fabbrica in cui si impacchettano mele, «non proprio una cima, ma con un cuore grande così». Curly è mammone e colleziona giganteschi falli di gomma: il motivo per cui David non si concede è che «dopo esserti infilato uno di quelli aggeggi mostruosi, il passo successivo poteva essere solo sedersi su un idrante lubrificato. In meno che non si dica, mi sarei trasformato in uno di quegli uomini di mezz’età che portano il pannolone e camminano strascicando i piedi». Nel film, invece, David diventa un sessuofobo immaturo che ha paura della propria ombra, mentre la bonaria insistenza di Curly si trasforma in un tentativo di stupro ridicolo e fuori luogo, che raggiunge un picco d’intensità con urla e pianti (e una soggettiva di David col dettaglio di un crocifisso!) manco fosse la scena madre di Improvvisamente l’estate scorsa. L’episodio è presente anche nel racconto, ma è l’apoteosi dell’esagerazione comica e non un’imbecille folgorazione sulla via di Damasco: in entrambi i casi, è impossibile non parteggiare per Curly e per i suoi pantaloni slacciati;

[4] il trucchetto politically correct per cui si affida la parte dell’omofobo a un omosessuale o a un attore gay-friendly: ne risulta un “cattivo di cartapesta”, un personaggio senza la benché minima credibilità, anche quando gli attori sono decenti (in questo caso la parte di Jon tocca al bravo, e gay, Denis O’Hare). Che poi nel racconto il personaggio di Jon fosse sì omofobo, ma non si configurasse come “cattivo”, è un’altra storia;

[5] lo stravolgimento dei riferimenti culturali di Sedaris: mentre nel racconto David prende La valle delle bambole e Rosemary’s Baby in prestito dalla biblioteca locale, nel film lo vediamo sfogliare una copia de L’origine della specie (nientemeno!) di Darwin a soli due minuti dall’inizio;

[6] lo stravolgimento del finale: nel racconto, Jon insegna a David l’arte della scultura della giada, ma poi si ingelosisce e sbotta quando David vende più oggetti di lui a una fiera dell’artigianato locale. David consegna a Jon i pochi dollari guadagnati con la vendita, tenendo con sé lo stretto necessario per il biglietto del bus che lo riporterà a casa, e scarica il vecchio predicatore lanciando un sasso contro il retro del suo pick-up. Nel film, a seguito dell’appena citata fiera artigianale, Jon scopre che David è gay, lo insulta, lo abbandona in mezzo al nulla lanciandogli un blocchetto insudiciato di dollari a mo’ di sfregio. David, anche in questa occasione, piange: Alvarez lo trasforma, di fatto, in uno di quelli omosessuali cinematografici inevitabilmente soli e infelici che imperversavano cinquant'anni fa.

E pensare che Alvarez è omosessuale. E pensare che ha dichiarato di essere assiduo lettore di Sedaris. E pensare che il cast a sua disposizione era molto sopra la media: nel ruolo del protagonista c’è Jonathan Groff, bravo nonostante in passato abbia accettato un ruolo in Glee; Jon è interpretato da Denis O’Hare, ultimamente visto in Milk, American Horror Story e True Blood; il bel Corey Stoll, che qui recita la parte di Curly, è stato una delle rivelazioni dell’anno in House of Cards. E c’è persino Dean Stockwell, nel ruolo del proprietario della piantagione. Davvero si fatica a capire come Alvarez sia riuscito a compromettere la riuscita di un progetto praticamente già sceneggiato e diretto a monte da Sedaris, le cui pagine trasudano suggestioni visive e comicità in abbondanza. Di salvabile c’è giusto una battuta affidata al personaggio di Stockwell, giustamente inorridito dal fatto che David abbia studiato lingue a Yale ma non conosca una parola di Spagnolo, e quindi non sappia rapportarsi coi suoi colleghi messicani: «Oh, so you studied Japanese? What the fuck for?!».

Ah: l'acronimo "C.O.G." sta per "child of God" e Alvarez, con l'uso che ne fa, dimostra di non aver colto l'ironia di Sedaris nemmeno in questo caso.

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autoretitologenereanno
Romano CanosaVelo e il cappuccio, Ilsaggio1991

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