Sesso e amore (anche tra uomini) in Shakespeare

22 novembre 2013

Che a ottant’anni Stanley Wells abbia ancora voglia di mettere mano a un libro su Shakespeare, di cui si è occupato per tutta la vita, è un mistero che commuove chi è cresciuto nell’accademia italiana, la quale in media toglie la voglia di scrivere già a trenta e quella di vivere a trentacinque. E invece Wells dopo la pensione non si è limitato a tirare i remi in barca e a rimestare nei suoi lavori precedenti, ma ha continuato a esplorare con curiosità un terreno tutto sommato recente. È infatti da pochi decenni che gli studiosi hanno preso a indagare seriamente quell’aspetto notorio eppure a lungo trascurato, dopo essere stato ancora più a lungo censurato, che è la rappresentazione della sessualità in Shakespeare, in tutte le sue manifestazioni: si tratti di uno dei motori dell’agire umano (come nel caso della gelosia di Otello) o di puro e semplice trasporto dei sensi, e si presti quindi a far da spina dorsale di intere tragedie oppure semplicemente a minute scurrilità. Le quali nell’opera del Bardo sono legione, e anche questa è cosa nota, ma per un tempo immemore è prevalsa la convinzione che si trattasse al più di oscenità indirizzate al compiacimento di un pubblico di bassa lega anziché di una parte integrante della polisemia complessiva. Analogamente, non è da molto che i commenti più autorevoli hanno preso a dare voce alla questione invece di liquidarla con espressioni generiche, quasi nella speranza che il lettore non capisse.

Wells aveva già dedicato tre brevi conferenze ad alcuni aspetti dell’argomento (riguardanti proprio l’omosessualità) poi riunite in volume, mentre con Shakespeare, Sex & Love si propone un’esplorazione più sistematica della materia. Non poteva dunque che trattarsi di un’escursione a volo d’uccello, a metà tra studio critico e compilazione divulgativa, ma è un’escursione ben fatta, di lettura scorrevole, prudente quando necessario ma senza essere reticente.

La prima parte del volume è dedicata a una ricostruzione del contesto in cui l’opera di Shakespeare si inserisce e si interroga sulle forme documentabili assunte dall’esperienza erotica nella Gran Bretagna a cavallo fra Cinquecento e Seicento; sui modi in cui la letteratura di quegli anni la rispecchia (Wells giunge a dirsi convinto che Shakespeare, particolarmente con i suoi Sonetti, parteciperebbe – con Marlowe, Barnfield e Drayton – alla produzione di una letteratura destinata a un aurorale pubblico omosessuale); e sulla vita sentimentale di Shakespeare stesso e della sua famiglia, per quel poco che essa è documentabile. Alla luce di queste esperienze concrete, desunte dalle ricerche storiche degli ultimi anni, la seconda parte indaga l’opera poetica e teatrale dello scrittore.

Nell’arco del lavoro Wells torna a più riprese anche sull’omosessualità. Oltre ai Sonetti, sotto la lente passano casi più o meno noti di ambiguità, da quelli che coinvolgono Iago e Mercuzio (trattati nei capitoli dedicati a Otello e Romeo e Giulietta) sino a I due gentiluomini di Verona, Il mercante di Venezia, La dodicesima notte, Troilo e Cressida e Coriolano, trattati tutti nell’ultimo capitolo, dedicato specificamente alla rappresentazione dell’omosessualità.

A proposito dei Sonetti, Wells è tra coloro che tengono a rimarcare che non tutti i primi 126 sono certamente diretti a un uomo e che non necessariamente sempre allo stesso si rivolgono quelli sicuramente indirizzati a un interlocutore maschile (poco più di una ventina). Nonostante tutte le prudenze del caso, l’autore si dice convinto (come del resto la maggior parte degli studiosi odierni) che i Sonetti rispecchino anche esperienze private di Shakespeare, ma è sufficientemente serio da non servirsene quando deve ricostruire la vita dello scrittore, per la quale si limita giustamente a far ricorso ai soli documenti storici. Anche quando la conclusioni sono necessariamente ipotetiche e intuitive (e in questi casi è sempre l’autore a metterlo bene in chiaro, in tutta onestà), si basano su un vaglio serio di certezze, ipotesi e impossibilità.

Come per i Sonetti, così per le opere drammatiche la posizione di Wells è per solito salomonica: senza pretendere di sciogliere dubbi che ad oggi non possono essere sciolti, riconosce la possibilità di letture ambivalenti, di fronte alle quali molti studiosi fino ad anni recenti hanno preferito trarre invece conclusioni eteronormative a senso unico. Wells è perfettamente consapevole delle convenzioni retoriche e del diffuso neoplatonismo del secolo di cui del resto è esperto, ma se ne serve per tracciare un discrimine utile non solo a indagare con maggior agio i casi “eccedenti” (che in quanto tali si può ben credere fossero investiti di una precisa intenzione da parte dell’autore, come nel caso di Troilo e Cressida o del Mercante di Venezia), ma anche ad additare al lettore interpretazioni possibili (che se non possono essere dimostrate, non possono nemmeno essere escluse) che non è illecito desumere fossero alla portata del pubblico del Globe, giacché esperienze analoghe facevano parte della vita quotidiana dell’epoca ed erano tollerate nei fatti, non mancando peraltro esempi illustri (era ad esempio noto il legame fra re James I e il giovane Buckingham). Inoltre nessuno ignorava che fra teatri e bordelli, a sud del Tamigi, c’erano rapporti stretti. Di qui l’utilità della prima parte del libro, che serve a dare plausibilità storica a letture possibili che sarebbe altrimenti facile attribuire a un’ottica contemporanea deformante.

La quale è semmai discussa a parte. Wells si sofferma infatti spesso anche sulle prassi registiche moderne: l’omosessualità è anche una questione di sensibilità storica e culturale, e il fatto che essa sia stata sottolineata in molti allestimenti lungo tutto il secolo scorso significa pur sempre qualcosa.

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