Crisco Disco

10 dicembre 2013

“La disco music fu l’incontro tra due mondi, quello gay e quello delle persone di colore, che si stavano contemporaneamente liberando da secoli di oppressione…”

Così Luca Locati Luciani è partito per regalarci un trip colorato e spensierato all’interno dell’era disco. Un viaggio che inizia ancor prima della rivolta di Stonewall targata 1969, e che si srotola lungo un decennio per poi trasformarsi in altre accezioni sonore: l’HINRG, nato negli Stati Uniti e nel Regno Unito e il fenomeno Eurodisco, nato in Germania ma che ha radici tutte italiane e si è difatti poi in gran parte tramutato in Italo Disco (di cui i fratelli La Bionda e il loro D.D. Sound, Gepy & Gepy, possono chiamarsi i capostipiti ecc.); una scena musicale costellata da una miriade di personaggi che per la maggiore di internazionale avevano solamente il nome d’arte, dietro il quale si celavano invece artisti italianissimi.

Il titolo di questo volume prende spunto dal nome di uno dei club gay newyorkesi in voga alla fine degli anni ’70, ispirato, a sua volta, alla celebre margarina che negli anni addietro era nota come il più famoso lubrificante tra i maschi gay.

A primo acchito può apparire come un libro da consultazione, una sorta di manuale e in parte lo è, anche se non nel senso stretto del termine; in realtà è facile rimanerne coinvolti come in un romanzo, tanto che sin dalle prime pagine si percepisce l’entusiasmo e la cura certosina di Luciani nello sbriciolare eventi, nomi, aneddoti, raccolti in molti anni di analisi appassionata su un fenomeno che in Italia nessuno aveva mai approfondito in maniera così viscerale: dimostrare il teorema circa l’indissolubile legame tra la disco music e l’emancipazione gay. Il successo della prima e l’avanzata della seconda sembrano andare in simbiosi in un clima di “festa continua”, fino a subire un arresto agli inizi degli anni ’80, proprio in concomitanza con l’arrivo dello tsunami AIDS. L’AIDS falciò una gran parte di addetti ai lavori, produttori, artisti, ecc., portandosi appresso anche una buona parte di frequentatori delle discoteche gay. Anche la musica a questo punto sembra di colpo perdere il carattere allegro e spensierato che l’aveva connotata nei decenni precedenti; come scrive Marco Mancassola nel suo Last Love Parade “per tutti, gay ed etero, il mondo è un posto meno ospitale, più duro e cupo che negli anni ’70”. La cultura dance sente, a questo punto come non mai, l’esigenza dell’evasione, dell’abbandono. La nascita di nuove tendenze, di musica ipnotica basata spesso su loop elettronici ripetuti allo sfinimento, la house e la techno (coadiuvata dall’arrivo di droghe sinteticamente apostrofate come “acidi”), riusciranno nell’intento di perpetuare il rito del clubbing come ancora di salvezza ad un mondo ostile, tanto che qualcuno proclamerà “Last Night A DJ Saved My Life”.

La scelta di parlare soprattutto della realtà statunitense e italiana nasce dal desiderio di evidenziarne le grandi differenze. Da una parte gli USA culla della disco e dei primi club gay; dall’altra l’Italia in bilico tra arretratezza, perbenismo, omofobia, ma anche luogo in cui la disco si afferma come genere amato e prodotto fino alla metà degli anni ’80. In Italia, lo racconta con dovizia di aneddoti e personaggi dell’epoca, le prime discoteche nascono sulla ceneri delle balere. Non è un caso che ad esempio la prima Nuova Idea di Milano nacque dai resti del Rosamunda di Baggio (un quartiere ad ovest della città) e aveva sin dagli albori una sala dedicata al liscio e una dedicata alla disco music. Interessante notare a tal proposito come sia tutta italiana la caratteristica e il gusto di miscelare la disco commerciale a brani di Raffaella Carrà o di altre icone fino a Cristina D’Avena. Difficilmente capiterà all’estero di ascoltare la sigla di un cartone animato all’interno di una set list in una discoteca gay.

Si possono dunque riscontrare differenze notevoli tra le culture musicali lgbt nelle varie parti del mondo e ovviamente ciascuna risente del proprio paese d’origine. Tuttavia c’è almeno una canzone che accomuna tutti i gay a livello planetario.

Chi non è mai tornato a casa la sera e dopo una giornata di lavoro, di impegni si sente completamente svuotato e desideroso di accaparrarsi di qualcosa che rimette in sesto tutto, che rimette il buon umore?

È allora che sul lettore cd (o sull’iPod) parte I Will Survive. Ci saremo sorpresi da soli a ballarla come Kevin Kline nel film In & Out. A questo punto avremo dato prova a noi stessi di essere “camp”, oltre che inequivocabilmente froci. Proprio al camp è dedicato il saggio di Gianluca Meis all’interno del libro.

Magari a non tutti piace I Will Survive in particolar modo e a dire il vero non sappiamo se in realtà la disco music sia o meno una musica “gay” a tutti gli effetti (ci sono varie scuole di pensiero in tal senso); certo è che nell’immaginario estetico di cui questa musica si è nutrita, ci si è tuffata più di una generazione di persone lgbt che si sono appropriate di questa musica per gridare al mondo la loro voglia di emancipazione sociale e di sentirsi liberi di essere felicemente sé stessi.

Se mai ci fosse qualcosa da rimproverare all’autore è l’impulsività tipica di chi ha costruito per anni una sua collezione privata personale, storica, musicale, bibliografica, enciclopedica e che decide di versare su carta tutta la conoscenza acquisita con lo studio e l’analisi di un fenomeno a lui molto caro, tanto da infarcire il libro anche di un elenco di canzoni a tematica gay che avrebbero potuto trovare spazio su un altro testo. Si percepisce difatti l’impellente e genuina necessità di riversare su carta quanto più materiale in termini di notizie, profili, interviste e aneddoti, tale da costituire un summa sulla disco music, sui suoi autori, interpreti e produttori e sugli ambienti – con particolare riferimento ai club gay – in cui questa musica si è fatta conoscere e amare.


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