WHAT'S WRONG WITH US?

27 maggio 2014

Quando si parla di Ryan Murphy (Nip/Tuck, Glee, American Horror Story, The New Normal), c’è sempre qualcuno che interviene per sostenere che «sì, tutto quello che vuoi, però non è un bravo regista». Non ho ben chiaro il motivo del pregiudizio nei suoi confronti: è vero, ha diretto anche Mangia prega ama, ma non era certo la regia il problema di quel film.

The Normal Heart è l’ennesima prova convincente di Murphy, che – quando ha il materiale adatto a disposizione – non delude le attese. In questo caso il materiale adatto è la brillante sceneggiatura di Larry Kramer, tratta dalla sua omonima pièce autobiografica pubblicata nel 1985 (purtroppo mai tradotta né rappresentata in Italia). Ogni omosessuale che si rispetti conosce Kramer e ACT UP, quindi è superfluo addentrarsi in dettagli sulla trama o sulla storia contemporanea, in questa sede. Basterà dire che il film rende giustizia all’opera teatrale, melodramma misurato e visceralmente militante, e che quello del duo Murphy/Kramer è il miglior lavoro a tematica dai tempi di Angels in America (sempre targato HBO).

Alla faccia di chi non lo considera un bravo regista, in The Normal Heart Murphy ha inserito più di una sequenza stilisticamente ingegnosa: la primissima (una festa sulla spiaggia, in cui riesce a introdurre sottilmente il seme del dramma che verrà), oppure il flashback del primo incontro tra Ned e Felix, realizzato con inquadrature e fotografia da film porno d’antan. La direzione degli attori è altrettanto impeccabile: Julia Roberts si infiamma nel ruolo di pasionaria, ancora più che in Erin Brockovich, e dà vita a una delle sue migliori interpretazioni di sempre. Matt Bomer svela doti tragiche che pochi sospettavano, mentre Mark Ruffalo si conferma più che valente (in particolare nelle scene con Bomer, rese molto credibili dalla franchezza con cui il regista le tratta, e nei numerosi accessi di idrofobia che è chiamato a recitare). Anche il cast di contorno è eccezionale: Denis O’Hare ormai padroneggia con estrema sicurezza il ruolo dell’omosessuale represso e omofobo, Jonathan Groff si fa notare sebbene compaia soltanto per una decina di minuti, Jim Parsons mette in scena una versione gaia del suo Sheldon di The Big Bang Theory.

Il 2014 è stato l’anno in cui ben tre Oscar sono andati a un altro film che parla di AIDS, che tuttavia impallidisce a confronto con The Normal Heart: bastano i cinque minuti della sequenza della morte di Albert (Finn Wittrock) raccontata da Bruce (Taylor Kitsch) per annichilire la prosopopea yankee, la palpabile confusione e le velleità documentaristiche della sceneggiatura di Dallas Buyers Club. Basta anche solo un fermo immagine della merda che Matt Bomer si fa addosso per far dimenticare la ridicola edulcorazione messa in atto da Dallas nei confronti dell'omosessualità e della morte. Basta l’acceso monologo di Julia Roberts davanti alle autorità indifferenti per ricordarsi che pecunia di certo non olet, ma i bravi attori recitano perché almeno un po’ ci credono e hanno alto giudizio del proprio mestiere... mentre quelli mediocri, arrivati alla soglia dei quarant’anni, accettano ruoli che ritengono “scomodi” al solo scopo di avviare campagne pubblicitarie martellanti e vincere l’Oscar per il miglior attore non protagonista prima che sia troppo tardi.

E mai come ora c’è bisogno di gente che almeno un po’ ci creda e che ne parli, specialmente se ne parla in maniera schietta e militante come fa The Normal Heart: la guerra contro l’HIV è tutt’altro che vinta, anzi Kramer sostiene che la comunità gay l’abbia già irrimediabilmente persa. «Sì, per un attimo ci siamo anche arrabbiati. Mi correggo: alcuni di noi si sono arrabbiati. Di tutti i milioni e milioni di persone gay in questo Paese, circa diecimila si sono arrabbiate abbastanza da ottenere qualche risultato. Abbiamo avuto i medicinali, per un po’ hanno assistito chi aveva l’AIDS. Abbiamo avuto quello che ci serviva per ricominciare a scopare: questo è quello che importava ai più, in fin dei conti. Non appena abbiamo avuto i medicinali, ecco che tutti siamo tornati a farlo senza preservativo. PERCHÉ CAZZO LO FACCIAMO?» (qui il discorso completo di Kramer all’università Cooper Union di New York, datato 7 novembre 2004).

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