Questa notte infinita, questa sera autunnal, questa rosa appassita

12 agosto 2015

Confesso che con le scuole americane, perlomeno come le descrivono gli scrittori di colà, mi raccapezzo assai poco. Prendiamo, ad esempio, Dio d'illusioni di Donna Tartt: da noi dopo due anni di ginnasio e tre di liceo ancora si arranca con le versioncine di greco, là, in un college del New England, dopo qualche mese di corso parlano meglio di Demostene; saranno parenti di quel turista americano che davanti a San Pietro dice "Noi in America fa questo una settimana!", e davanti a Santa Maria Novella "Noi in America fa questo in due giorni!" (ma finisce fregato lo stesso, perché quando, arrivato di fronte al Duomo di Milano, domanda "E questo che cos'è?", l'italiano gli risponde "Boh, ieri sono passato e non c'era..."). Poi uno legge questo libro, e scopre che un diciassettenne al penultimo anno di liceo in Texas pur facendo spagnolo come lingua straniera non riesce a decifrare le dolci parole "Enseñame a volar, mi mariposa hermosa" dettegli da un bel ragazzo; che negli U.S.A. abbondino i grecisti strepitosi e ci sia invece penuria d'ispanisti sia pur passabili?, che l'aria frizzante del New England aguzzi l'ingegno per le lingue e quella bollente del Texas lo deprima? Io, a lume di naso, ritengo che gli studenti di Jay Bell siano più verosimili di quelli che mette in iscena Donna Tartt. Poi, se si vuol ridere un po' e consolarci della nostra scuola che, a detta dei sapientoni europei, è la più scrausa del globo e ha un bisogno folle delle solite riforme, vediamo che cosa si studia in codesto liceo texano: ginnastica (tutte le mattine alla prima ora, tipo campo dei balilla), inglese, spagnolo, scienze, giornalismo e canto; poi questi americani vanno all'università e a che cosa s'iscrivono? A una facoltà di Musical. Bravi come siamo a scopiazzare le loro corbellerie, fra un po' ci troveremo anche noi tra i piedi qualche facoltà, che so?, di Liscio: vi si faranno esami sui valzer di Castellina-Pasi o sulle mazurche di Raoul Casadei; e anche tesi di laurea.
Ma in questa scuola un po' (almeno per noi) ridicola gira uno studente speciale, il protagonista di questo romanzo: Ben è un ragazzo esile, biondino, molto attraente ma per niente atletico, di carattere radioso e forte, mediamente bravo nello studio ma particolarmente portato per la canzone; soprattutto, però, Ben è l'unico ragazzo gay out dell'intera scuola, situazione poco invidiabile, visto che lo espone, se non a grosse violenze, a un perpetuo stillicidio di lepidezze di lana grossa, che farebbero infuriare anche un santo, figurarsi un diciassettenne: ma è proprio in quella scuola, e fra i ragazzi più sportivi e popolari, che Ben conosce per la prima volta l'amore. Più non dirò, e oscuro so che parlo, ma raccontare la trama, non semplicissima, di questa bella storia d'amore che travalica gli anni, le incomprensioni, le ingiurie personali e quelle del destino, oltre a rovinare ai lettori in pectore la sorpresa costituirebbe per tutti una seccatura inutile: dirò invece che si tratta d'una classica storia d'amore con andirivieni, delusioni, incendî erotici, lutti e una passione che alla fine trionfa, come si dice in Così fan tutte, “a dispetto del mondo e della sorte”.
L'opera è destinata in primis agli adolescenti e ai giovanissimi: ma che nel complesso sia scritta bene si vede dal fatto che l'apprezzo io stesso, a quarantasette anni sonati; anche se si potrebbe obiettare che con l'invecchiamento diventiamo un po' tutti sentimentali e romantici. Sia chiaro, il libro ha i suoi bravi difetti: qualche lungaggine (nella prima parte), ma più ancora una certa goffaggine nel delineare le figure degli adulti, che a parte la madre di Ben restano figure schematiche, irrisolte, un po' legnose: comparse che incarnano un ruolo e non divengono mai persone vive; piuttosto, la madre di Ben, tutta entusiasta dell'omosessualità di suo figlio, mi ha ricordato un divertente giochetto comparso anni fa su Out, ove si spiegava come distinguere una mamma empatica da una fanatica: indizio di fanatismo, ad esempio, che conosca la tua marca di lubrificante preferita.
Insomma, è il classico libro senza pretese letterarie, che però si legge con piacere (oltretutto, è un caso non comunissimo di testo che sa descrivere scene di sesso con naturalezza, senza scadere nel pornografico e senza rimanere ridicolmente reticente; semmai, con una leggerezza à la Mika: les étagères font badaboum/ quand toi et moi on fait boum boum boum), al contrario di tanti libri pieni di ambizioni stilistiche e contenuti seriosi o tesi nervosamente al sublime, dalle cui altezze, com’è noto, si cade sovente precipitevolissimevolmente: ormai sto diventando noioso, ma davvero se qualche gayo romanziere nostrano invece di fare il novello Proust (ma già anche il nuovo Tondelli sarebbe troppo) buttasse giù un’operina con sincerità d’ispirazione, cordialità di scrittura e cura dell’intreccio, che sia tornito, saporoso e accattivante, prendendo proprio a modello questo e parecchi altri titoli della collana Synchro High School, americani ed europei, finalmente avremmo un po’ di sana letteratura minore a tema, vicina al lettore gay di oggi, e in particolare ai più giovani, anzi, più vicina proprio perché di penna italiana. Nell’attesa, leggiamoci Jay Bell, che pur fra molte ingenuità e parecchi difetti di scrittura sa strappare senza sforzo qualche sorriso e qualche lacrimuccia nascosta. Un appunto però al traduttore, che per usare un eufemismo suona piuttosto parco di congiuntivi: siccome i suoi personaggi non sono bovari del Montana, bensì liceali e poi laureati, non è molto carino farli parlare sgrammaticati a mo’ dei pellirosse nelle vecchie pellicole western.
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