Tutti a squola

20 settembre 2015

Quando uno si appresta a vedere un film intitolato Tutti a squola – anche senza sapere che il regista è Pier Francesco Pingitore, che il protagonista è l'asinino Pippo Franco e che il cast arriva dritto dritto dalla compagnia del Bagaglino – non può certo pretendere di arrivare alla fine con un quoziente intellettivo maggiore o uguale a quello che aveva in partenza. Deve anzi predisporsi a provare stati d'animo quali avvilimento, fastidio e noia... e Tutti a squola – diciamocelo – non ci fa mancare niente di tutto ciò.

Castellacci e Pingitore, le menti dietro l'operazione, stilano un catalogo di barzellette scioviniste, di cui buttano via tutto ciò che potrebbe (anche inavvertitamente) far ridere, e conservano solo i presupposti polemici più grezzi e risaputi: la scuola è in mano ai teppisti, i ragazzi si drogano e non sanno più cosa sia il rispetto, i genitori danno sempre ragione ai figli e mai ai professori, il Sessantotto ha scardinato tutti i valori, gli ideali politici sono solo una scusa per fare casino... e poi, con tutta questa benedetta emancipazione femminile, l'uomo non è più uomo e la donna non è più donna!

Non è facile condensare in novantacinque minuti una tale moltitudine di pensierini retrogradi, ma Tutti a squola ci riesce con agilità, riservando tutto il tempo che avanza a una comicità muffita: Pippo Franco – il maestrino col cervello plasmato dalla melassa del libro Cuore, costretto ad insegnare in un autentico covo di bucanieri – trova i suoi pochi momenti di quiete cantando Tripoli, bel suol d'amore a casa di due zie secolari che sembrano uscite da Arsenico e vecchi merletti (ma le vegliarde non ci fanno neppure la grazia di avvelenare almeno un Bombolo o un Lino Banfi).

Il primato di ottusità detenuto dalla congrega del Bagaglino non merita di essere studiato: Tutti a squola è sicuramente sfacciato, ma troppo scolorito, e incolori sono pure le figurine di omosessuali presenti nel film, di cui faccio un censimento breve e asettico.

Troviamo un sacerdote, professore di religione, che ostenta la solita laboriosa gestualità da checca, ma riesce a farsi rispettare dalla classe insegnando il Vangelo con numeri da musical, punteggiati dai suoi maliziosi colpi di bacino. Lo interpreta un vecchio sodale di Celentano, Jack La Cayenne.

Nel corpo docenti troviamo poi un altro risibile invertito, il professore di scienze (appassionato di minuziosi sondaggi di sessuologia), che è stato avvistato in una toilette in compagnia di due ragazzini. Lo interpreta un – ahimé – insignificante Oreste Lionello, che come doppiatore ha fornito la voce a un numero considerevole di buffi omosessuali, a cominciare da Albin de Il vizietto.

Infine – nella comune in cui abita la professoressa femminista (Laura Troschel) di cui Pippo Franco si è invaghito – incrociamo un tale Athos, attivista argentino irsuto e sovrappeso che ama indossare biancheria di pizzo. La professoressa Troschel definisce Athos una “lesbica”, dopo aver già dichiarato che gli omosessuali «sono donne come tutti gli altri uomini». Se la prof. in questione fosse un personaggio raziocinante si renderebbe conto che definire “donne” gli uomini e “uomini” le donne non è precisamente una scelta terminologica femminista, ma sorvoliamo...

La Troschel gestisce inoltre un laboratorio scolastico in cui le ragazze svolgono mansioni tipicamente maschili: a una signorina che lavora a una fornace il latinista Pippo Franco chiede timidamente se lei sia una “donna faber”, al che la fanciulletta chiede «'sta Donna Faber è parente di Donna Summer?» (la battuta più divertente del film...). Ovviamente a questo laboratorio ne corrisponde un altro in cui i ragazzi devono accudire i figli delle compagne e fabbricare babbucce di lana. Bombolo, il bidello, chiede a una infante come si chiami. La piccola – inevitabilmente vittima di una precoce crisi identitaria – risponde con voce cavernosa: «Margherita». La famigerata Teoria del Gender, evidentemente, si era già abbattuta sull'umanità (e sulle scuole) nel lontano 1979!

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