Declino dell’impero americano, Il

1 dicembre 2003

Un film commerciale nel quale i personaggi conversano per tutto il tempo di sesso, senza mezzi termini, non si era mai visto. La sceneggiatura è acidissima, perché sotto l’aspetto di commedia cela tragedie individuali sommesse, solitudini irrevocabili, ipocrisie contingenti di ogni sorta, che vengono a galla anche prima del finale. Il ritratto va ben oltre il presunto declino dell’impero americano: rappresenta il declino della vita di relazione, dell’autenticità di ogni rapporto sociale. La vita ridotta ad attività sessuale, più o meno scomposta, è la copertura ingenua di un vuoto esistenziale incolmabile, di un’assenza di prospettive con cui è quasi impossibile fare i conti: è un sempre rinnovato compromesso con la disperazione incombente, è la volontà di soffocare la precarietà del vivere. Dietro l’apparenza sorniona, attraverso un gruppo di (anti)intellettuali, Arcand mette a segno un film di sensibilità notevole, avvalorato dall’eccellente apporto degli attori e da una buona sceneggiatura che sa mettere a fuoco l’essenza dell’umano parlando in modo martellante d’altro, e riesce a dare una forza vera alla finzione cinematografica, che anche quando severa (ed è questo il caso), ha sempre l’apparenza di essere più facile della realtà. Ma qui si tratta di una facilità relativa, di una disperazione appena più mitigata, e il finale è inevitabilmente rassegnato a un’apertura che è impossibilità di chiudere, in positivo (dopo tanto realismo non si poteva chiudere con un happy end semplicistico) o in negativo (non si può rinunciare comunque alle relazioni sociali, per quanto insoddisfacenti possano essere). Assistiamo così in ultimo alla lacerazione di Remy e della moglie, alla rinnovata solitudine del diverso (sfigato sì, ma in buona compagnia), a un nuovo, precario rapporto, appena nato e già condannato a essere superficiale, e a quello del divorziato che, come tutti gli altri, durerà qualche mese, se va bene un paio d’anni. Un quadro desolante che mette a nudo ciò che era già filtrato in modo sommesso per tutto il film, perché i discorsi incessanti cercavano di illudere i personaggi prima dello spettatore, ma non potevano fare nulla per fermare la pochezza della realtà. Arcand rappresenta senza mezzi termini la schizofrenia dell’uomo moderno, diviso tra istinti e formalità sociali, e soprattutto svela l’ipocrisia come male sociale. La vis comica vela un pessimismo cinico, tremendo perché capace di dimostrare di non essere altro che realismo sincero e disincantato.
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