Sopravvivere al pregiudizio per trasformare la società

Sono 23 le autrici e gli autori coinvolti in questa antologia di scritti, e rendere giustizia alla pluriarticolata densità del libro mi suggerisce una lettura sistematica dei singoli contributi e della sua struttura.
I curatori, senza cedimenti ad un approccio commerciale o giornalistico, hanno infatti scelto un taglio che, come spiegano nella premessa, cerca "di dare voce alla complessità di linguaggi, percorsi, strumenti, desideri ed esperienze di una 'comunità' che, lottando contro pregiudizi secolari, si interroga sulla cittadinanza come elemento chiave per trasformare la società".

Il punto di partenza di questa analisi collettiva, e insieme di questo percorso, è movimentista ed è storicamente connotato dall'immagine di copertina, tratta dal numero 0 della rivista "FUORI!" del dicembre 1971.

L'accento è sull'oggi, sullo "stato delle cose" nel terzo millennio in Italia, che tuttavia porta con sé un "dna" che affonda le sue radici nel Novecento, ed in particolare nei suoi ultimi trent'anni che hanno visto la nascita del moderno movimento di liberazione lesbico, gay e trans.

I saggi contenuti nel volume sono distribuiti in tre sezioni. Nella prima, "Dai pregiudizi alle soggettività", le crescenti e orgogliose visibilità e consapevolezze acquisite dal movimento lgt nell'arco di tre decenni vengono affiancate da una radiografia delle attuali istanze reazionarie che si contrappongono al processo di rivendicazione dei diritti.

"Per una genealogia dell'omofobia"
di Paolo Pedote ripercorre l'uso di un termine controverso (omofobia), che trova la sua incarnazione/sublimazione ideologica nel "Lexicon" vaticano: un delirio persecutorio che utilizza persino i più retrivi argomenti psicanalitici freudiani - oggi definitivamente ripudiati dalla scienza - per fare dell'omosessualità una categoria antropologicamente invalida.
Codificazione, questa, che svela l'omofobia per quello che è: razzismo oppressivo.
E la miscela razzismo-oppressione si allarga anche alle altre religioni patriarcali, le cui rigide "metafisiche" organizzano il loro ferreo controllo sulla sessualità e sulla riproduzione, un controllo esclusivamente uomo-orientato.

Nicoletta Poidimani, in "Divenire-lesbica e divenire-gay - Appunti sulle cittadinanze possibili", parte dall'analisi condotta da Monique Wittig dell' "eteronormatività" come strumento di dominio, per sottolineare un suo "ritorno violento", un'accanita crociata mirante a stroncare le nuove possibili forme di cittadinanza, riportando in vigore "l'ordine eterosessuale".
Le lotte delle donne, delle lesbiche, dei gay e dei trans, "strettamente connesse tra loro", diventano oggetto "di un attacco feroce e concentrico contro ogni istanza di autodeterminazione del corpo, del desiderio e degli stili di vita che vede riproporsi alleanze già sperimentate, quale quella tra il Vaticano e i fascismi - vecchi e nuovi, dichiarati o interiorizzati - in nome di una posizione ideologica che tende a 'naturalizzare' la rappresentazione binaria e asimmetrica uomo/donna costruita culturalmente".
Insomma, conclude Poidimani, per questo fronte repressivo le soggettività autodeterminate "non devono esistere e, se esistono, non devono rivendicare alcun diritto di cittadinanza".
La recrudescenza di stigmatizzazione innescata dal "contrattacco teo-straight", secondo l'autrice, va combattuta con un "divenire" inclusivo di "un diverso approccio al concetto di uguaglianza", che invece dell'omologazione scelga "percorsi autonomi al di fuori del modello familista".

"Contro la liberazione sessuale, per un libero uso dei piaceri" di Lorenzo Bernini rivisita due esempi di pensiero libertario "il cui senso è profondamente legato all'effervescenza politica degli anni Settanta".
Bernini focalizza sul concetto di minoranza e sulla sessualità.
La modificazione della percezione sociale delle minoranze sessuali viene messa a confronto con le tesi di Mario Mieli e di Michel Foucault, e con le esperienze della fase "rivoluzionaria", vissute "nei termini della trasformazione e non dell'assimilazione".

Diana Nardacchione, in "Misandroginia", parla di un "naufragio etico della società" causato dai "gruppi di pressione economica che hanno ridisegnato la legislazione attorno ai propri interessi finanziari", dissolvendo "la certezza del diritto".
Lo stesso pregiudizio finisce per essere fondato su un mero opportunismo, mentre la discriminazione "si esprime spesso come sfruttamento mirato", e la persecuzione diventa un'attività "autoremunerante".
Saggio fra i più lucidi e disincantati, il contributo di Nardacchione non esita a dissezionare con estremo realismo i "cattivi sentimenti", il moralismo e "l'illusione di normalità", delineando uno spaccato sia della gerarchia tra i sessi, che dell'ambivalenza sociale nei confronti delle persone transessuali da uomo a donna.

Nerina Milletti, in "Separatismo e visibilità lesbica: tra utopia e rivoluzione", critica l'odierno "vuoto neoliberale dove lesbiche e gay hanno cittadinanza solo come consumatori".
La critica investe - a mio parere piuttosto ingenerosamente - anche le "giovani generazioni" lesbiche, che invece hanno il merito di essere protagoniste di un "coming out" generalizzato per il quale godono di tutto il mio rispetto.
Altrettanto schematiche, nel contesto di un discorso che pure ha ingredienti interessanti, mi sembrano la distinzione tra lesbismo "universalizzante" e "minorizzante", e la descrizione della "natura utopica" del separatismo e dei suoi connotati politici, sostanzialmente negativizzati.
Nella mia esperienza il separatismo è una pratica di autodeterminazione e una utopia realizzata nel "qui e ora", uno spazio ad (almeno) quattro dimensioni che non ha a che fare con il potere ma piuttosto con l' "empowerment", il potenziamento individuale e reciproco, nel quale può circolare la libertà assoluta di far emergere desideri, differenze, anche conflitti.
E' un modo di prendere contatto con la propria forza scambiandola con le Altre, una faccenda di testa e di cuore, di gioia, di sperimentazione quasi paranormale che mi ha regalato molti indimenticabili "Magic Moments".
Sta a noi viverlo con piacere e costruzionismo, oppure optare per altre scelte altrettanto valide, restare o andare e venire, in quell' "andirivieni" spesso cosi' funzionale come valvola di decompressione.
Anche "separatismo", inoltre, è una parola che andrebbe declinata al plurale, evitando il riduzionismo concettuale e l'omologazione.

Daniela Danna, in "Gay, lesbiche, famiglie - Il dibattito intorno alle famiglie omosessuali e la loro esperienza concreta", contesta l'espressione "famiglia naturale" in quanto "evidente ossimoro, poiché il matrimonio è un rituale e non appartiene alla sfera della natura bensì della cultura".
E proprio all'evoluzione culturale dei nuclei familiari Danna dedica il suo ben documentato saggio, che denuncia la strumentale "sacralizzazione della famiglia eterosessuale" e illustra, oltre ai risultati positivi delle ormai numerose ricerche condotte sulle famiglie lesbiche e gay all'estero, anche parecchie situazioni italiane, con interviste dalle quali affiorano chiaramente i problemi indotti dalla discriminazione.
L'introduzione in Italia dell'istituto giuridico della "responsabilità genitoriale", già vigente nel Nord Europa, potrebbe costituire secondo Danna una soluzione adeguata, seppure parziale, al riconoscimento di quelle realtà familiari di fatto lasciate dalla politica nella più totale invisibilità e mancanza di tutela.

Concludono questa prima e più sostanziosa parte del libro lo scritto di Elena Biagini "Educare la società: prevenzione della violenza omofobica", bilancio del lavoro con gli adolescenti svolto su questo tema da Azione Gay e Lesbica di Firenze; e il saggio di Fabio Pellegatta, "Aids - Oltre la malattia, oltre lo stigma", che rievoca l' "assunzione di responsabilità personale e collettiva" imposta alle varie comunità dalla "peste del secolo".

La seconda sezione dell'antologia si intitola "Il personale è (sempre) politico" e mette sulla scena delle parole la "prima persona", quel "partire da sé" che sostituisce all'interpretazione il vissuto.
"Dalla centralità operaia alla conquista della soggettività" è firmato da Gigi Malaroda, la cui vicenda politica germoglia attraverso la militanza nella sinistra extraparlamentare approdando nei primi collettivi omosessuali e nei progetti "alternativi".
Foto di gruppo con amori, contestazioni, riappropriazioni e autocoscienza, animata da slogan iconoclasti e da irrefrenabili entusiasmi, la testimonianza di Malaroda sfuma con dignità nel "riflusso moderato" e nell' "elaborazione culturale", anch'essa un duro lavoro da portare avanti in una eterokultura dello svilimento.

Graziella Bertozzo, in "Uscire dalla vergogna", dipinge il suo passaggio, a metà degli anni Ottanta, da "una tranquilla vita di coppia" in provincia alla visibilità politica nelle file dell'Arcigay (di cui è stata segretaria nazionale dal 1990 al 1994) e poi di Arcilesbica.
Dopo essere stata la prima "lesbica televisiva" in Italia, Bertozzo ha poi scelto un salutare "turn over" ma non è certo andata in pensione (come potremmo? se non altro Ratzinger ci mantiene in pista...). Dice:
"Se devo pensare politicamente a me stessa, ora, la definizione che più mi piace è 'militante semplice'. Dove militare lo scelgo di volta in volta, di avventura in avventura, con la consapevolezza che il mio personale, che pochi confini ha con il mio politico, è stato possibile solo grazie alla relazione con coloro che oggi definisco i/le/l* compagn* della mia vita".
Porpora Marcasciano, in "Le vie anal demole le kapital! - Dalla liberazione alle 'cose serie'", afferma:
"Non mi sono mai sentito uomo ma neanche donna e non per questo ho mai pensato di essere nat* in un corpo sbagliato ma piuttosto in un mondo sbagliato". Incertezze, incontri e letture di un sé "marginale", fino all' "annus memorabilis" 1977, "quando decidemmo di vivere come sognare senza sognare di vivere, il tempo in cui volevamo tutto e subito".
Poi, dopo la fase drammatica dell'Aids, "nulla fu come prima".
Una mitoautobiografia, quella di Marcasciano, che ha trovato un respiro più ampio nel suo recente AntoloGaia. Sesso, genere, cultura degli anni '70 (Il Dito e La Luna, 2007).
Leggendola insieme a questo breve saggio, ho simpatizzato con la sua disponibilità a "fare storia di sé" nonostante la malinconia che questo mettersi in gioco emotivamente implica, rievocando anime e stagioni perdute, e tutto ciò che non può più ritornare, dagli esseri amati alla propria giovinezza.

"Transessuali incredibili", di Daniele Bocchetti e Giorgio Cuccio, è un dialogo sulla transizione da femmina a maschio, che rivendica "autonomia di narrazione" al di là della "legittimazione diagnostica" imposta dalla legge 164.
Comune ai due autori è il disagio della gestione di una onerosa diversità la cui percezione è "di essere dei clandestini, con le ansie conseguenti", e il cui progetto è rivendicare "un maschile diverso", che "non è assolutamente previsto".

"Gli omosessuali credenti: un dono di Dio alla sua Chiesa", di Gianni Geraci, ricorda "la vera e propria tragedia" provocata nel ragazzo cattolico giovanissimo da una "appartenenza" religiosa che esigeva la repressione dei suoi veri desideri.
In preda alla "schizofrenia di chi oscilla tra la sauna e il monastero", Geraci adotta "l'ipocrisia come ideale" ma poi, con il sostegno del gruppo del Guado, vive il coming out come "passaggio dalle tenebre alla luce", riconciliandosi con la propria omosessualità come "grazia".

Personalità agli antipodi rispetto a Geraci sono quelle di Giovanni Dall'Orto, che in "Le mie redazioni - Memoriale patriottico dalle carceri dell'editoria gay cartacea" riassume con umorismo il suo investimento libidico nell'informazione e nella cultura gay; e dell'attrice, drammaturga e regista Eleonora Dall'Ovo, qui in veste di lesboconduttrice radiofonica nello scritto "L'Altro Martedi' e Radio Popolare: da 26 anni una coppia di fatto!", ricapitolazione storica di una infrequente frequenza (FM 107.6) alla quale ha cominciato a collaborare undici anni fa.
Dall'Ovo racconta i suoi "radio days" vissuti con "passione e emozione", fra cui quello del World Pride 2000 a Roma,
"un giorno straordinario, sotto il sole cocente e senza un filo d'aria",
colmo di
"speranze per un futuro prossimo carico di nuovi diritti";
conquiste che purtroppo restano ancora da venire, mentre
"L'Altro Martedi' anche se a volte stanco e un po' disilluso non smette però di trasmettere dalle antenne di Radio Popolare, lottando con le uniche armi che possiede: microfoni e tanta voglia di urlare le proprie ragioni".
Stefano Bolognini, con "Visibilità gay e istituzioni", esegue un breve ma esauriente censimento dei gay, delle lesbiche e dei transessuali che hanno occupato e occupano cariche istituzionali senza nascondere il proprio orientamento, raccogliendo le dichiarazioni o le confidenze di molti di essi.

L'ultima e terza sezione dell'antologia è "Parole, corpi, immaginari". La apre Francesca Polo con "L'editoria lesbica, gay e transessuale/transgender", che è innanzitutto, ancora oggi, una risposta alla ricerca di "una conferma di sé, una convalida della propria legittimità di esistenza".
Ma che è molto di più: "uno spazio in un mondo che non ci prevede", una fucina di nuovi linguaggi e modelli, e, "oltre che fonte di identificazione, mitologia, memoria, rappresentazione, anche contestazione e critica sociale".
Polo ripercorre la presenza della letteratura lgt nell'editoria commerciale e in quella "di nicchia", avvalendosi della propria esperienza nella direzione di "Il Dito e la Luna", uno dei progetti più vivaci e interessanti di un settore in tenace sviluppo.

"Da 'Fuori!' a 'Pride' - Breve storia delle riviste glt italiane" di Paolo Pedote ricompone il mosaico di un "giornalismo particolare", strettamente connesso alla militanza e all'azione politica, strumento instancabile di "coming out"; un repertorio variegato, oggi integrato in modo crescente da periodici web e siti di informazione "che assolvono discretamente il compito di raggiungere con una certa capillarità gli angoli più remoti della comunità lgt".

"L'immaginario gay & il cinema" è il tema affrontato da Vincenzo Patanè, consapevole della valenza di suggestione di un'arte visiva che "sa proporre le cose epicamente".
La partecipazione gay a questa "epopea" è stata sia spettatoriale - con quelle "icone" soprattutto femminili che più delle altre hanno rispecchiato la "fluidità delle identità sessuali" - sia creativa.
Patanè ripercorre i "momenti forti" della cinematografia omosessuale arrivata sul grande schermo dagli anni Settanta ad oggi, ma le sue preferenze vanno decisamente alla meno conosciuta produzione indipendente, il cui immaginario "dà vita a un mondo a sé, particolarissimo, che deve molto anche ad altri veicoli", come i fumetti, le riviste "muscle", la grafica, la fotografia, la pubblicità, la musica e persino l' "hard core".
Tuttavia, conclude Patanè, il film più bello e "veramente significativo, che finalmente dia corpo ai nostri sogni e alle nostre speranze", deve ancora essere realizzato e appartiene al futuro.

La regista Luki Massa, in "Cinema lesbico - Da oggetti della rappresentazione a soggetti", è riuscita brillantemente nell'impresa eroica di conciliare il ridotto spazio a sua disposizione con un argomento di notevole vastità quale l'evoluzione dello "schermo viola".
Il suo contributo, denso di informazioni e riflessioni, spazia dalla rappresentazione all'autorappresentazione lesbica, dagli esordi della cinematografia alle realizzazioni attuali, incluse quelle televisive, sottolineando anche l'importanza della "forma del documentario, legata allo sviluppo della 'herstory' e delle comunità lesbiche contemporanee". E, da filmaker consapevole del valore dello sguardo del pubblico e dell'interazione artistica, Massa riconosce:
"Il cinema lesbico, al di là del 'mainstream', ha contribuito fortemente a ricostruire un immaginario lesbico più positivo, ricco, variegato, fedele alla nostra esperienza. Dobbiamo questo non solo alle registe, ma anche alle spettatrici, che con la frequentazione dei Festival ed un lavorio continuo di ricerca, su Internet e sullo schermo televisivo, hanno compiuto il proprio ruolo e dato valore alla produzione lesbica".
Marco Mori con "L'identità gay On-line" e Patrizia Colosio con "Donne in rete: l'esperienza della Lista Lesbica Italiana" danno conto della capacità di aggregazione e socializzazione offerta dai siti Internet e dalle Comunità Virtuali.
Mori osserva che nella rete le minoranze "non sono aprioristicamente visibili" e quindi vi trovano un ambito "libero e consapevole per agire e vedersi riconosciuta una propria legittimità".
Gli utenti, "confortati dalla dimensione anonima, ovattata, immediata, ed efficace della rete", quasi priva delle "tensioni che la vita reale può comportare", si schiudono alla comunicazione, "risignificando" la propria identità e collegando la sessualità alla testualità.
Mori definisce questo processo "una esplosione di potere" che spalanca la possibilità di "un insieme di relazioni e condivisione di emozioni, non solo virtuali", una sorta di "controbilanciamento attivo dell'eterosessualità obbligatoria, omofoba e vincolante e che quotidianamente satura la vita".

Patrizia Colosio illustra il progetto della LLI, nata nel 1996 con l'ambizione di costituire "un formidabile strumento di connessione", quale in effetti poi è diventata:
"Una 'piazza' virtuale in cui si discute di tutto senza perdere di vista il focus lesbico; uno spaccato della realtà lesbica interclassista e intergenerazionale capace di mettere in comunicazione le ricercatrici all'estero con le donne dei piccoli centri di provincia, le giovani studenti con le donne sposate, spesso al loro primo approccio all'esperienza lesbica".
Ma la Lista Lesbica Italiana, che oggi conta 850 iscritte, va al di là della "second life" che rischia di subentrare alla "doppia vita" del passato lesbico: con un bellissimo e colorato striscione e con un enorme lenzuolo arcobaleno partecipa alle manifestazioni colorando strade e piazze, organizza meeting, aggiorna con articoli, notizie, informazioni e rubriche un portale (www.listalesbica.it) che ha oltre 50.000 accessi mensili.

Infine, Marco Geremia, in "Pratiche lgbtq: cortei, frocessioni, sfilate No Vat! (2005-2007)", sintetizza lo sdegnato fermento laico che, in seguito all'invadenza clericale e agli attacchi da parte del centro destra, ma soprattutto al tentativo di fare dell'Italia uno stato semi-integralista, ha riunito associazioni, collettivi e singoli in una mobilitazione permanente, un movimento d'opinione che si è dato il nome di "Facciamo Breccia".
Si tratta di una sintesi di valori "eticamente fondativi per la definizione stessa della laicità", in cui lesbiche, gay e trans - bersagli prioritari dell'aggressione insieme al movimento delle donne - hanno un peso non secondario.
Questa rete nata nel 2005, che raccoglie diverse "energie propositive", mette in atto "gioiose pratiche brecciarde" già sfociate in incisive manifestazioni, tra le quali "No Vat!" a Roma nel 2006, e in parecchie azioni di protesta.

Con questo esempio di "politica di coalizione" si conclude l'antologia We Will Survive!, accompagnata dall'ideale colonna sonora della celebre canzone di Gloria Gaynor (I Will Survive) che ha ispirato il titolo.
Il coro è composto da voci molto diverse, eppure sincroniche e sintoniche.
Alcune possono essere sentite più vicine, altre più lontane.
Ma nessuna di loro "stecca", perché, adottando una bella espressione di Francesca Polo, provengono tutte da "esperte/i di noi stesse/i".
La riproduzione di questo testo è vietata senza la previa approvazione dell'autore.

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