Biografia (e omosessualità) di Foucault

14 luglio 2006

Su Foucault sono stati scritti molti saggi, fin da quando egli era ancora vivo, e molti libri, taluni di dichiarato attacco, tesi quasi a 'smontare' il personaggio, e a negare in toto il valore della sua opera, altri quasi agiografici. Questo volume di Eribon è quello di cui si sentiva il bisogno: una biografia seria, ricca e ben documentata, che è, ed è destinata a rimanere per un pezzo, la biografia di riferimento per gli studi su Foucault (basti pensare che è già stata tradotta in sedici lingue). Per redigerla, l'A., che è gay come Foucault, di formazione filosofica come Foucault, francese come Foucault (e nessuna di queste tre determinazioni è inessenziale per comprendere pienamente la figura di Foucault, e la cultura in cui egli s'inscrive), ha svolto non solo un approfondito lavoro di archivio, ma ha anche parlato e discusso con numerosi testimoni diretti: amici, compagni di lotta, professori, studenti; senza dimenticare che Eribon stesso ha conosciuto Foucault e collaborato con lui. Certo, tutti questi requisiti sono la condizione necessaria, ma non ancora sufficiente, per scrivere una buona biografia. Che è, non dimentichiamolo, un genere della ricerca storica e storiografica, e richiede quindi, da parte di chi scrive, almeno una capacità supplementare: quella di disegnare, o almeno schizzare, sullo sfondo della biografia vera e propria, i tratti salienti dell'ambiente culturale in cui visse e operò il personaggio considerato. Eribon è riuscito anche in questo, talché il suo libro sarà utile anche a chi voglia avere un'idea, sintetica ma precisa, su alcune tendenze intellettuali e su alcuni grandi nomi della cultura francese dagli anni '50 agli anni '80: Dumézil, Deleuze, Althusser, l'ambiente universitario e delle grandi Ecoles parigine.


Il libro è stato pubblicato nel 1989, ma ha ricevuto una seconda edizione nel 1991, rivista, corretta e arricchita di cinque Annexes (pp. 356-76), in cui sono pubblicati documenti inediti di vario tipo. Il volume si divide in tre parti, ognuna delle quali porta su un periodo determinato della vita di Foucault, così da disegnare il percorso di Foucault dagli studi universitari al primo incarico d'insegnamento a Lille fino ai tre incarichi negli Istituti francesi di Uppsala, Varsavia e Hambourg, dall'elezione al Collège de France fino ai viaggi e periodi di insegnamento svolti in America. Eribon ricostruisce la genesi degli interessi culturali e teorici di Foucault, spiega brevemente il significato e le motivazioni delle sue opere, documenta i suoi rapporti di amicizia e le sue relazioni con altri intellettuali (in primo luogo Dumézil), ma presta anche la dovuta attenzione alla vita sentimentale e privata di Foucault, che, è noto, mantenne su di essa sempre un forte riserbo. E come non si può negare che uno dei motivi più forti d'interesse di questa biografia risiede nelle informazioni che vengono date sia su Michel quale gay sia su tutta la vicenda, spesso fraintesa, della malattia e della morte, così non è dubbio che Eribon è il primo, salvo errore, ad avere outed Foucault. In seguito alla pubblicazione di questo libro, anche la Chronologie di Foucault pubblicata nella raccolta dei suoi Dits et Ecrits (Paris, 1994) farà apertamente menzione di questo aspetto così volutamente protetto della vita del filosofo.


In particolare, nel capitolo 6 della prima parte del libro (Les dissonances de l'amour, pp. 82-94), Eribon ricostruisce la relazione di Foucault con Jean Barraqué, giovane musicista d'avanguardia, allievo di Messiaen, che aprì a Foucault le porte di un mondo al quale egli prima di allora non aveva avuto accesso, quello della musica, mentre Foucault farà conoscere al suo amante Nietzsche, segnalandogliene testi da mettere in musica. Il loro fu un rapporto tempestoso, a cui dopo circa tre anni pose fine Barraqué, un rapporto che ci fa conoscere un Foucault molto diverso dal personaggio ufficiale, indefinibile, brillante e razionale: un Foucault appassionato, e vulnerabile. Nel terzo capitolo della seconda parte (Le dandy et la réforme, pp. 153-69) Eribon evoca invece la figura di Daniel Defert, con il quale Foucault ebbe una relazione amorosa cominciata subito dopo il suo rientro in Francia dalla Germania e durata fino alla fine della sua vita. E dopo la morte di Michel, Daniel Defert sarà tra i curatori dei Dits et écrits (nonché uno dei fondatori dell'associazione Aides: cosa che si presta a molte riflessioni).


Ho detto outed, che è termine leggermente improprio, ma può essere usato se lo si intende come un deciso recupero di Foucault come gay a tutto tondo, operazione che non a caso è stata compiuta da Eribon, il quale ha un'impostazione militante e una sincera vocazione di intellettuale engagé alla buona, vecchia maniera francese, che lo conducono però alquanto lontano dalla speciale cifra di Foucault. Usando quel termine non voglio infatti implicare che Foucault abbia alzato un velo su di sé come gay. Al contrario, Foucault ha sempre riconosciuto pubblicamente la sua omosessualità, pur se senza particolari clamori, coerentemente con il suo pensiero, critico nei confronti di quella concezione (di fin troppo chiara derivazione psicologico/psicoanalitica) della sessualità che la intende quale metro di giudizio di tutte le facoltà (intellettuali, morali, emotive) dell'individuo. Nel 1981, conversando con il cineasta tedesco omosessuale Werner Schroeter, egli, parlando della distinzione tra passione e amore, diceva testualmente (riferendosi, senza nominarlo, a Defert):

«Vivo da diciotto anni in uno stato di passione nei confronti di qualcuno. Forse, a un certo momento, questa passione ha preso la forma dell'amore. In verità, si tratta di uno stato di passione tra noi due, di uno stato permanente che non ha altra ragione di finire se non sé stesso, e nel quale sono completamente investito, [uno stato] che passa attraverso me. Credo che non c'è una sola cosa al mondo, niente, qualunque cosa sia, che mi fermerebbe quando si tratta di andarlo a trovare (d'aller le retrouver), di parlargli» (Conversation avec Werner Schroeter, 3 dicembre 1981, in Gérard Courant, Werner Schroeter, Paris, Goethe Institut, 1982, pp. 39-47 = Dits et écrits, II, pp. 1070-79; tr. it. mia)

Nel seguito della conversazione, continuava osservando che l'omosessualità è «più interessante» dell'eterosessualità, che esistono non pochi eterosessuali che vorrebbero diventare omosessuali, laddove sono davvero pochi gli omosessuali che vorrebbero realmente diventare eterosessuali, (sarebbe come voler «passare dalla Germania Ovest alla Germania Est»), e concludeva:

«Noi, potremo amare una donna, avere un rapporto intenso con una donna più, forse, che con un ragazzo, ma non avremo mai voglia di diventare eterosessuali» (Dits et écrits, II, p. 1074; tr. it. mia).

Il 1981 è anche l'anno in cui Foucault concede una famosa intervista alla rivista Gai Pied (in cui conversa con lo scrittore omosessuale René de Ceccaty, con J. Danet, e con Jean Le Bitoux, direttore della rivista e militante gay). Egli parla come omosessuale dell'omosessualità, e pone il problema, che sarebbe presto diventato molto importante e molto discusso, della creazione di un «modo di vita» gay, e dell'amicizia come modo di vita specificamente omosessuale. Osserva tra l'altro, usando ripetutamente il «noi»:

«Noi dobbiamo dunque accanirci a diventare omosessuali e non ostinarci a riconoscere che lo siamo», e ancora: «Sta a noi avanzare in una ascesi omosessuale, che ci faccia lavorare su noi stessi e inventare, non dico scoprire, una maniera d'essere ...» (cfr. De l'amitié comme mode de vie, «Gai Pied», n° 25, avril 1981, pp. 38-39 = Dits et écrits, II, pp. 982-86; tr. it. mia. La si veda anche in Jean Le Bitoux (ed.), Entretiens sur la question gay, Paris 2005).

Nell'intervista intitolata Michel Foucault, an Interview: Sex, Power and the Politics of Identity, realizzata con B. Gallagher e A. Wilson e pubblicata su «The Advocate» del 1984, di nuovo Foucault ribadisce e precisa le sue idee sull'omosessualità, il movimento di liberazione sessuale, la richiesta di diritti per le persone omosessuali, parlando implicitamente o esplicitamente da capo a fondo del testo come omosessuale, e affermando tra l'altro:

«Noi dobbiamo ancora, penso, fare un passo avanti [= rispetto alle lotte e ai movimenti di liberazione sessuale degli anni '70]. E credo che uno dei fattori di questa stabilizzazione [= delle conquiste già realizzate] sarà la creazione di nuove forme di vita, di rapporti, di amicizie ... Noi dobbiamo non solo difenderci, ma anche affermarci, e affermarci non soltanto in quanto identità, ma in quanto forza creatrice» («The Advocate», n° 400, 7 agosto 1984, pp. 26-30 e 58 = Dits et écrits, II, pp. 1554-65; tr. it. mia).

Ma già nel luglio del 1978 Foucault aveva concesso una significativa intervista a Jean Le Bitoux, il quale avrebbe voluto pubblicarla nel primo numero di Gai Pied, non fosse che Foucault offrì in sua vece una riflessione sui gay e sul suicidio (Un plaisir si simple, in Dits et écrits, II, pp. 777-79). Questa intervista, non inserita in Dits et écrits, perché la sua pubblicazione non fu mai autorizzata da Foucault, e che lo stesso Eribon ha utilizzato nel sue secondo libro su Foucault (Michel Foucault et ses contemporains, Paris 1994), si legge ora con il titolo Le Gay savoir in Jean Le Bitoux (ed.), Entretiens sur la question gay, Paris 2005. Il testo esprime con grande chiarezza non solo i termini della riflessione teorica di Foucault sull'omosessualità, ma proprio la sua intima esperienza di gay intorno a cose quali le saune, i rapporti sadomaso, le piccole comunità gay che si formano nei bars di Tokio e S. Francisco.


C'è da osservare peraltro che non solo da cinquantenne, quando si è ormai completata la sua maturazione e costruzione di omosessuale, Foucault scrive e dice queste cose. Già da giovane Foucault aveva firmato, insieme con altri intellettuali omosessuali (Jean Genet, Guy Hocquenghem) ed eterosessuali (J.-P. Sartre), e con un ampio gruppo di militanti del FHAR, una delle due grandi pubblicazioni del FHAR stesso, curata dal Félix Guattari: Trois milliards de pervers. Grande encyclopédie des homosexualités (Paris, 1973). Ma non è colpa di Foucault se la sua partecipazione a questo atto militante è rimasta ben poco nota, la pubblicazione essendo stata subito sequestrata dalla polizia e la sua vendita vietata (perché trattava anche di pedofilia e conteneva fotografie che furono giudicate opera di perversi). Foucault non si limitò, peraltro, a una firma in un'opera collettiva. Guattari subì infatti un processo, e il 25 maggio 1974 la 17a camera correzionale di Parigi lo condannava a un'ammenda per «outrage aux bonnes moeurs». Foucault scrisse allora un testo di protesta, intitolato Sexualité et politique, che fu pubblicato sul giornale Combat (n° 9274, 27-28 aprile 1974, p. 16), in cui riconduceva il fatto ai termini teorici di riflessione che gli erano propri, cioè il rapporto tra politica e sessualità. In questo testo, anch'esso poco noto, Foucault rileva innanzitutto che il problema non è solo quello della libertà d'espressione e della necessità di appurare se la pubblicazione incriminata fosse o non fosse di carattere pornografico (piano al quale il tribunale avrebbe voluto circoscrivere il processo), e aggiunge poi:

«Di fatto, dietro questa prima questione, ce n'è un'altra che è molto più seria: l'omosessualità, come pratica sessuale, riceverà si o no gli stessi diritti d'espressione e di esercizio della sessualità cosiddetta normale?» (Dits et écrits, I, p. 1404; tr. it. mia)

sottolineando, in chiusura, la necessità che nel movimento politico tendente al recupero del corpo sorgano movimenti per la liberazione della donna e dell'omosessualità maschile e femminile (Dits et écrits, I, p. 1405).


Naturalmente, non voglio, ricordando tutto ciò, sostenere che Foucault fu un militante gay: non solo perché non è vero, e perché Foucault non volle essere militante di alcun movimento quale che esso fosse (pur avendo compiuto un certo numero di atti di lotta), ma soprattutto perché procedendo in questa direzione si finirebbe con il fraintendere il suo pensiero più maturo. In base ad esso, l'opposizione a ogni sorta di istanze repressive e alla normatività dell'eterosessualità poteva facilmente essere tollerata e in certa misura anche favorita dal potere, autocostituendosi come una sua provincia; l'opposizione doveva esercitarsi piuttosto in singoli atti di resistenza, ogni volta da reinventare, proprio perché il potere non doveva, infantilmente, essere immaginato in modo facciale, come struttura estranea ai corpi e quasi entificata, come una palizzata da sfondare a colpi di spallate, ma come una dinamica che sempre traversa i corpi ed è messa in azione in e da essi. Inoltre, un'affermazione continua, di tipo militante, della propria identità sessuale gli sembrava proprio sancire la subalternità a quel dispositivo, quasi perfetto, di identificazione dell'individuo in base alla propria sessualità che egli aveva studiato e ricostruito nella sua analisi del potere:

«In questo campo preciso, non sono stato sempre ben compreso da certi movimenti miranti alla liberazione sessuale in Francia. Per quanto dal punto di vista tattico sia importante, in un dato momento, poter dire 'Io sono omosessuale', non bisogna più, a mio parere, su una durata più lunga e nel quadro di una strategia più ampia, porre delle domande sull'identità sessuale. Non si tratta dunque all'occorrenza di confermare la propria identità sessuale, ma di rifiutare l'ingiunzione d'identificazione con la sessualità, con le differenti forme di sessualità. Occorre rifiutare di soddisfare all'obbligo d'identificazione per il tramite e con l'aiuto di una certa forma di sessualità» (Interview de Michel Foucault, con J. François e J. de Wit, 22 maggio 1981, «Krisis. Tijschrift voor filosofie, 14 (1984) pp. 47-58 = Dits et écrits, II, pp. 1475-86; tr. it. mia).

La tutto sommato scarsa propensione di Foucault a parlare di sé come gay rinvia in definitiva, a mio vedere, da un lato al desiderio, forse anche polemico, di contrappore al militantismo gay attivo e dichiarato un altro modello, dall'altro al trasferimento dell'istanza dell'identità da affermare in quella del sé da costruire, e all'indicazione dello strettissimo nesso esistente, fin dalla Grecia, tra un tale souci de soi e l'omosessualità:

«Per me, la sessualità ha a che fare con un modo di vita, e rinvia alla tecnica del sé. Non nascondere mai un aspetto della propria sessualità, e non porsi la questione del segreto, mi sembra una linea di condotta necessaria, che non implica tuttavia che si debba proclamare tutto. D'altronde non è indispensabile proclamare tutto. Direi anzi che lo trovo spesso pericoloso e contraddittorio. Io voglio poter fare le cose di cui ho voglia, ed è ciò che faccio, d'altronde. Ma non domandatemi di proclamarlo» (Ibidem = Dits et écrits, II, p. 1482; tr. it. mia).


L'altro episodio biografico, che ha fatto molto discutere, e sul quale fa luce il libro di Eribon, è l'aids e il modo in cui fu annunciata la morte di Foucault. Si era nel 1984, dunque in tempi molto diversi, quanto alla conoscenza del virus, da quelli attuali, ma è un fatto che mentre Jean-Paul Aron annunciò pubblicamente di avere contratto l'aids (fu il primo a farlo, in Francia), Foucault preferì tacere. Scarso coraggio intellettuale, autocensura? A parte la legittima diversità delle reazioni individuali, a parte anche l'estrema riservatezza su di sé che era propria di Foucault, la verità che emerge dall'ultimo capitolo (pp. 339-55) di questo libro è alquanto diversa, e molto più semplice: Foucault non sollecitò mai una diagnosi esplicita e precisa dai medici, non volle, cioè, vedere in faccia la morte, né volle che gli altri (i medici, gli amici e i congiunti, i colleghi e infine il mondo) vedessero in lui la morte, pur non ignorando, in cuor suo, di avere proprio l'aids («Je crois bien que j'ai attrapé le sida», ebbe a dire negli ultimi tempi all'amico Dumézil, e, come nota Eribon, in francese «Je crois bien» non esprime una certezza, cfr. p. 348). E questo per mantenere quell'elemento di distanza rispetto alla malattia e alla morte che gli era necessario per tenerla a bada, e signoreggiarla, lavorando intensamente fino alla fine. La grande gaffe fu compiuta invece dal quotidiano Libération, nel numero del 26 giugno, che, volendo mettere a tacere la voce che già correva, essere morto Foucault di aids, scriveva testualmente: «Si resta confusi dalla virulenza di questa voce. Come se bisognasse che Foucault fosse morto nella vergogna» (corsivo e traduzione miei). Indignazione generale, lettere di protesta. Dalla biografia di Eribon apprendiamo anche che l'ultimo volume de La Volonté de savoir, Les Aveux de la Chair, era ormai pronto, grazie allo sforzo di Foucault, che lavorò indefessamente fino alla fine al compimento della sua opera (e questo volume, assicura Eribon, fornisce la giusta prospettiva in cui leggere anche gli altri tre). Mancava solo una revisione editoriale del manoscritto, cosa che qualunque bravo laureato avrebbe potuto fare, e, come diceva Dumézil, il volume si sarebbe potuto pubblicare. Ma gli eredi di Foucault si attennero, forse troppo rigidamente, a quanto Michel ebbe a scrivere in una lettera privata, anteriore peraltro alla sua malattia, nella quale dichiarava di non volere «alcuna pubblicazione postuma». Speriamo invece che anche questo libro possa presto vedere la luce, magari con un «Avvertimento al lettore», come di nuovo suggeriva Dumézil, in cui si spieghi lo stato del manoscritto, che desideriamo intensamente leggere.


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