Carol

2 ottobre 2009

"...erano tempi in cui i bar dei gay erano una porta buia in qualche recesso di Manhattan, e chi voleva andare in un certo bar scendeva dalla metropolitana una stazione prima o dopo quella voluta... ." (Patricia Highsmith, Postfazione, 1989).


Scrive questo Patricia, dalla sua casa nei pressi di Locarno, temendo che la protagonista del romanzo sembrasse ai nostri occhi di giovani lesbiche e gay troppo "violetta", una timida.
Eppure non lo appare affatto, anzi, l'atmosfera di libertà "commerciale" anni '50, fortemente vincolata a stereotipi negli anni della scoperta della pubblicità ("I persuasori occulti" di Packard è il '58) sembra più limpida per lei, giovane lesbica che scopre di esserlo, più limpida che per tutti, anche se costellata dalle sue perplessità e dai suoi capogiri di straniamento nel compimento di un' educazione sentimentale folgorante.

Questo dipende dalla rara facoltà della scrittrice di farci vedere la realtà che ci racconta, e la visione fu da lei stessa definita essenziale nella scrittura,.

Immaginate di essere Willy Coyote: state viaggiando con la mente sulla New York degli anni '50, seguendo una giovane ragazza che somiglia a Patricia Highsmith ventunenne. Siete con lei ma a tre spanne da terra; vedete le strade in gennaio, volate via verso la campagna con le sue severe ville, passate a fianco a gente indaffarata, e poi in suite d'albergo ove si svolgono party che vi ricordano Wilder, e vecchi film e rotocalchi... . La marea di immagini, quelle che costruiscono la finzione-visione-mosaico della storia, quelle che la nostra mente trattiene da tv e film può sfiorarvi ma non vi serve, perché volate in una realtà così essenziale e limpida che non vi servono aiuti d'archivio. Siete dentro la storia e, al contrario di Willy, quando ve ne accorgete non cadete.

Ma un altro dato rende questo libro unico: perché non solo Patricia vi porta dentro la storia ma "è" in qualche modo la storia.

Patricia Highsmith racconta di aver scritto questo libro, "Carol" in italiano, nel 1948, una sera, di ritorno dai grandi magazzini nei quali, anche se già giovane scrittrice, aveva accettato un lavoro natalizio temporaneo, utile alle sue ristrette economie. Scrive la trama di tutto il romanzo in poche ore, mentre si sente febbricitante (scoprirà poi di avere la varicella).

La "fa cuocere a fuoco lento" per poi trovare un altro editore dal solito e pubblicarla nel 1952 con uno pseudonimo, Claire Morgan, perché non le va di prendersi l'etichetta di romanziera lesbica. L'anno dopo, con l'edizione economica, il libro vende quasi un milione di copie e Patricia-Claire viene sommersa per anni da lettere in arrivo da ogni parte degli Stati Uniti.

La gratitudine e l'entusiasmo dei lettori non sono solo dovuti alla maestria della scrittrice, perché stavolta la sua "febbre", la sua ispirazione, sono un po' differenti. La storia infatti è scaturita da una sua esperienza emotiva, l'ingresso di una signora elegante, che "pareva emanasse luce", nei grandi magazzini in cui Patricia lavorava. E' quella visione a scatenare la fantasia della scrittrice, quasi che si srotolasse una pellicola già impressa. Già che i libri della Highsmith sono stati spesso ispirazione per molti registi. Ma è questa improvvisa ispirazione che svela a tutti l'immaginario lesbico della Highsmith, la quale con grande naturalezza fa vivere molti elementi classici della nostra cultura:

il primo, quello della donna-vecchia, della donna-delirante, della donna-sfatta, è la porta della storia, quasi un ingresso attraverso il quale la giovane Therèse passa come in una iniziazione.

L'anziana commessa, signora Ruby Robicheck, per la quale Therèse apre a forza il passaggio verso la metro, la "sotterranea", nella quale poi entrambe scendono "per essere poi risucchiate in modo lento e inesorabile giù per le scale, come frammenti di avanzi fluttuanti giù per lo scarico". E' lei che, ad una giovane donna da poco autonoma nella vita, spalanca un panorama di consunzione e solitudine, è lei quella strana vecchia strega, simile alla vecchia-specchio della poetessa A.Ostriker.

E' dopo quell'incontro che a Therèse, stupita e come instupidita, accade di servire al bancone dei grandi magazzini in cui lavora per Natale, una giovane signora, estremamente elegante, che si fa largo tra la folla come se la sua singolarità rappresentasse e spandesse una diversità, quasi fosse sola, e tutto il resto attorno a lei più insignificante.

Qui c'è il colpo di genio di Patricia, che fa in modo che la protagonista, ricordando l'indirizzo del pacco da spedire a Carol, le invii, chissà perché, degli auguri di Natale. Una cosa che non si fa con le sconosciute, e che innesta l'uscita da quel mondo di formalità e acquisti natalizi per entrare in un altro mondo, fatto di profondità.
Altri elementi tipici dell'immaginario lesbico si fanno allora avanti: quello del viaggio, del trasloco, del cambiamento, tipico della nostra cultura che spesso ci spinge a muoverci alla ricerca di noi e delle altre. La Highsmith ci rende questo elemento molto piacevole, facendoci viaggiare dentro le città e lungo l'Ovest. Poi l'attesa, il tempo che scorre e che ci permette di conoscere l'altra, e che certo negli anni '50 era molto più lungo di adesso in molti casi. La nostra comunità era frammentata e sprovvista di spazi propri, era difficile ed a volte rischioso palesarsi alle altre.

Questa attesa, questa esperienza di incontro lenta e graduale, ha fatto scrivere a Ron Collins che la storia sembra presentare una sorta di supplizio di Tantalo. Veramente a me pare che la scrittrice voglia presentare l'incontro tra due donne estremamente diverse eppure egualmente lucide, e che non esista nessun gioco di "sottrazione" dell'una all'altra ma un continuo rituale di avvicinamento. Non si tratta cioè di Tantalo, che tende la mano all'albero carico di frutti e questo subito gli sfugge. Ma bensì di un processo di comprensione reciproca lento perché per entrambe darà vita ad una nascita. Quella di Carol, già madre, ma che non vuole vivere contro la propria natura ("to live against one's grain") e che ne paga il prezzo (da qui il titolo). Di lei non ci viene presentata la "tragedia" neorealista della forzata, forse temporanea, separazione dalla figlia ma la lucida scelta che è quasi un Pride.

Di Therèse vediamo la crescita emotiva graduale, e poi lo shock, nel momento stesso in cui si rende conto che questo amore che le è "piovuto dal cielo" va scelto, e non semplicemente accettato, e che è legato, proprio perché vero amore, alla sua vita intera, alla sua socialità, alla sua scoperta del crinale tra solitudine ed autonomia.

E' qui che il gioco tra Carol, più adulta, e la giovane Therèse si scioglie, si interrompe bruscamente e poi si capovolge, ci svela l'assoluto augurio rivoltoci dalla scrittrice: quello di essere noi stesse senza mai farsi stringere dagli stereotipi.

Così quella sorta di sfumata (e anche simpatica) aggressività che riusciamo a percepire dentro il personaggio di Carol è un riflesso naturale, presentato con grande maestria, della costrizione sociale che soprattutto lei deve fuggire. E la taciturna Therèse incarna invece quella condizione di libertà e di plasticità ai sentimenti propria di chi non ha ancora costruito difese adulte, per sua fortuna, certo, anche se ciò causa sofferenze e colpi al cuore. La funzione "pedagogica" di Carol non "tantalizza" Therèse ma semmai la aiuta a confrontarsi anche razionalmente coi sentimenti. E lascia infine a lei, alla più giovane, la scelta.

Certo, non potremo non invidiare Therèse, col suo affitto newyorkese da 50 dollari al mese. Possiamo anche invidiarla per il suo incontro fortunato con questa donna "blonde, slender, mysterious", che, come direbbe Margherita Giacobino, ci deve far sperare che non possa "esserci un limite al meglio"... o che forse torva le radici del nostro estetismo in stile LWord.
Certo restiamo a bocca aperta di fronte allo stratagemma, alla miccia del thriller, attraverso il quale la Highsmith permette alle due di incontrarsi: un semplice cartellino scritto a matita, con su l'indirizzo di Carol, di quelli che si attaccavano ai pacchi per il fattorino.

Meglio dunque guardare il mondo con occhi attenti; così avrebbe fatto anche Ripley.


Francesca Palazzi Arduini


* La recensione di Ron Collins è in http://www.laurahird.com/newrewiew/priceofsalt.html
** L'archivio Highsmith a Berna http://www.nb.admin.ch/slb/aktuelles/.../index.html


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