No clause 28 (Boy George, 1988)

Il cantante dei Culture Club "Boy George" divenne celebre giovanissimo a livello mondiale non solo per la bella voce e le sue canzoni orecchiabili e ben orchestrate, ma anche per una stravaganza nel vestire al limite (e talvolta oltre il limite) del travestitismo, coltivata con cura (peraltro con successo) a fini promozionali.

Magari oggi fa anche un po' ridere ripensare a quanta fosse cocciuta la determinazione con cui questa signorinella travestita negasse, strillando come un'aquila spennata viva, d'essere omosessuale, nonostante tutti sussurrassero che la canzone "Do you really want to hurt me" fosse stata scritta per un batterista "dagli occhi di bragia" con cui aveva una relazione... cosa che peraltro anni dopo avrebbe confermato lui stesso.

In quella prima parte della sua carriera Boy George fu l'incarnazione stessa della checca fatua discotecara, strafatta dagli alluci fino alle punte delle treccine, che viveva solo di moda, droga, locali notturni e sesso (quest'ultimo ammesso solo molti anni dopo: all'epoca infatti Boy George divenne celebre per avere dichiarato in un'intervista, per spiegare l'assenza di frequentazioni femminili, che in effetti trovava una tazza di buon tè molto più gratificante del sesso. E ci fu chi commentò all'epoca: "Sì, certo: come sostituto del dildo...").
La politica gay era insomma l'ultima, ma davvero l'ultima, delle preoccupazioni di questa bambina stoned.

Poi, la catastrofe. Dopo qualche anno di successi travolgenti la Sorte, volubile e capricciosa, decise che era arrivato il momento di travolgere anche i Culture Club. Per Boy George fu il crollo, un crollo che lo vide anche implicato in storie di droga con relativo arresto e in altre questioni che non è il caso di elencare qui ed ora.

A noi importa il risultato di questa crisi personale e professionale: riuscì a riemergerne un nuovo Boy George, forse un tantinello ancora stonato, ma meno terrorizzato dalla prospettiva del coming out (che finalmente arrivò) e con un nuovo interesse per alcune questioni di politica.
Un Boy George capace addirittura d'accorgersi che nel frattempo era scoppiata un'epidemia, l'Aids, che stava costringendo le agendine del telefono di tutti noi a una cura dimagrante forzata... e contro la quale le autorità non volevano far nulla perché tanto ammazzava solo froci e drogati.

Boy George rivelò insomma un inatteso lato di militante gay, che lo avrebbe portato sia a scrivere canzoni a tematica apertamente gay, sia a rivelare l'ispirazione omosessuale di alcuni successi dei Culture club. Molti anni dopo, nel 2002, avrebbe raccolto tutto questo materiale in quel gioiellino che è il CD U can never be2straight (gioco di parole fra "Non si è mai onesti abbastanza", e "Non si è mai etero abbastanza"), un piccolo capolavoro d'equilibrio negli arrangiamenti e nell'interpretazione.

Il primo videoclip a rivelare la nuova militanza gaya del Boy George è questa "No clause 28", scritta contro la cosiddetta "section 28" o "clause 28", voluta dalla leader conservatrice Margaret Thatcher, che rendeva un reato parlare in qualsiasi modo che non fosse negativo di omosessualità nelle scuole britanniche (quando i laburisti tornarono al governo, abrogarono la nuova legge).

Le parole della canzone sono un po' confuse, e rivelano lo sfogo scritto di getto d'un cantante che di politica s'era sempre disinteressato... e si vede.
Ma proprio perché sembrano uno sfogo hanno un tono diretto che conferisce loro un certo impatto, al di fuori della retorica.
Il tono è quello del volantino politico, senza pretese poetiche:

No al paragrafo 28:
fratello sei troppo, troppo arretrato.
Parlano di Aids e lo chiamano maledizione,
ma fratelli, noi sappiamo che andrà ancora peggio:
sapete che non lo curerete con le campagne tv.

Il video è fatto decisamente tirando al risparmio, e non stupisce che la casa discografica non abbia voluto rischiare troppo su un tipo di brano che si discostava troppo dalla produzione precedente del cantante. E che in effetti non entrò mai nelle classifiche dei brani più venuduti.

Fondamentalmente il video è fatto con un gruppo di ragazzetti poco più che adolescenti che balla, intervallato da primi piani di Boy George ripresi in bianco e nero su uno sfondo coloratissimo, spesso fatto di mosaici di fiori spaventosamente kitsch.
Nel filmato si fa un vero abuso degli "effetti speciali" resi possibili dalle nuove macchine di manipolazione digitale d'immagini. Effetti che al confronto di quelli possibili oggi fanno ridere, e "invecchiano" il video molto più di qualsiasi altra cosa.

Nel complesso non si tratta quindi certamente d'uno dei dieci video a tematica lgbt più riusciti della storia, cionostante questo clip è interessante per il modo in cui segnala e registra il cambiamento sociale e politico causato in quel periodo dall'irruzione dell'Aids e dal "colpo di frusta" antigay che esso aveva reso possibile.

Pur non essendo una gran riuscita, il filmato è insomma una preziosa testimonianza dell'epoca, nonché ovviamente dell'evoluzione graduale di Boy George da svampita da discoteca a militante gay.
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