Infamous

14 agosto 2011

La lettura di A sangue freddo lascia una sola curiosità: il ruolo giocato dall'autore nell'intera storia. Capote, infatti, si elide completamente dalle vicende, e racconta anche quelle di cui è stato testimone come se lui non fosse stato presente e come se tutto fosse il frutto di una ricostruzione a posteriori dovuta alla raccolta di informazioni e testimonianze altrui.

Due film, casualmente sovrappostisi, hanno di recente cercato di colmare questa lacuna, Truman Capote. A sangue freddo e Infamous. Il primo ha il pregio di lavorare con estrema discrezione, il secondo ha il difetto di sbracare senza controllo.

Il problema non sono gli interpreti, e nemmeno Toby Jones, che non è Seymour Hoffmann ma fa un lavoro egregio. Il problema non è nemmeno la facile insistenza su un aspetto trascurato dal più sofisticato Truman Capote, e cioè la reazione suscitata dallo sbarco dell'alieno Capote - omosessuale effeminato e dall'abbigliamento vistoso - in un Kansas fortemente conservatore (la cosa è in sé divertente, e alcune sequenze sono anche piuttosto riuscite).

Il problema è un altro. Il regista e sceneggiatore Douglas McGrath ha vantato una ricerca monumentale alla base del suo film. Viene da chiedersi allora se non sia capace di fare ricerca, o se più semplicemente non ha saputo farsene nulla. Il film, infatti, tutto è tranne che una ricostruzione accurata degli eventi. Sposta fatti, improvvisa dialoghi, trasforma in incontri contatti epistolari solo per opportunità di drammatizzazione, reinventa e spreca persino aneddoti celeberrimi (come quello che coinvolge Tennessee Williams, raccontato dallo stesso Capote nel suo ricordo dell'amico scomparso). Il che andrebbe benissimo, se il film non avesse ambizioni di precisione storica.

Ma soprattutto, Infamous non ha nulla di nuovo da dire rispetto a quanto già noto, vuoi per lo stesso A sangue freddo, vuoi per il lavoro dei biografi di Capote, e in particolare di Gerald Clarke, che ha anche curato l'epistolario dello scrittore.

L'unica novità sostanziale riguarda la relazione fra Capote e Perry Smith, uno dei due assassini, anzi l'unico secondo le sue stesse confessioni (ma McGrath attribuisce comunque al suo compare Dick due dei quattro omicidi, così come attestato dalla prima confessione di Perry, poi ritrattata).

In un'intervista, il regista ha dichiarato che su tale rapporto non sappiamo pressoché nulla, se non che Perry inizialmente non vuole parlare a Capote, poi lo riceve ma solo per dirgli che non gli vuole parlare. McGrath dice di essere partito da qui, e di essersi immaginato tutto il resto, per trovare una giustificazione a questa apparente contraddizione. E "tutto il resto" è un rapporto d'amore fatto e finito, in cui Perry non solo giunge a baciare Capote, ma tenta persino di violentarlo. Per giustificare questa svolta tanto melodrammatica, McGrath fa di peggio: si inventa cioè che lo scatto che dalla rapina andata male fa passare improvvisamente all'omicidio (non premeditato) sia stato provocato dal fatto che Dick insinui che Perry sia attratto dal signor Clutter e dal figlio, due delle vittime della tragica vicenda. Offeso, ma evidentemente scottato in quella che dobbiamo immaginare un'effettiva omosessualità repressa, Perry sgozza il signor Clutter, gli spara in volto e fa altrettanto con il figlio.

Visti i trascorsi di certi stereotipi sull'omosessualità, anche cinematografici, è alla portata di tutti intuire quali siano le rischiose risonanze di una simile scelta (non supportata da alcuna testimonianza, dalle quali emerge invece che a far scattare la furia omicida di Perry furono altre frustrazioni), di nuovo finalizzata semplicemente a far funzionare un meccanismo narrativo inventato a dispetto delle ricerche millantate.

Se poi l'invenzione in sé è ovviamente operazione lecita, tutt'altra questione è spacciarla per il risultato di una ricerca storica in un film che ha tutte le pretese della docufiction (rimette infatti in scena anche interviste - a testimoni interpretati da attori più o meno celebri - tratte da un celebre libro-gossip su Capote).

Allo stesso modo, è vero che Perry Smith, per i suoi trascorsi biografici, era ossessionato da certi aspetti della tradizionale concezione della virilità: emerge chiaramente anche da A sangue freddo. Così è pur vero che fra lui e Capote si fosse stabilito (ma perlopiù epistolarmente) un rapporto complesso di vicinanza e reciproco riconoscimento (di nuovo per singolari coincidenze biografiche), su cui anche si è spettegolato. Ma tutt'altra questione è ciò che, su queste basi, specula McGrath, senza che la sua invenzione sia dichiarata come tale nel film.

Del resto proprio su queste stesse ambiguità lavorava, con altra intelligenza e maggior rigore, proprio Truman Capote, che meritatamente ha goduto di una maggiore circolazione e di un migliore riscontro di pubblico e critica.

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