Ipotesi gay. Psicanalisi e amore omosessuale.

È legittimo da parte della psicoanalisi continuare ad interrogare l'erotismo e l'amore omosessuali facendone materia di studio a sé stante?

È uscita per la Borla una raccolta di saggi a cura di Olga Pozzi e Saranthis Thanopulos, entrambi psicoanalisti di scuola freudiana.

Nel deserto delle pubblicazioni italiane sull'omosessualità il 2006 ha visto l'uscita di ben due raccolte di saggi di psicoterapeuti; del volume edito dalla Raffaello Cortina Gay e lesbiche e psicoterapia a cura di Graglia e Rigliano abbiamo diffusamente parlato sul portale della Lista Lesbica Italiana.

Ipotesi gay, nelle intenzioni dei due curatori che ne hanno fortemente voluto la pubblicazione, si pone l'obiettivo

"di segnalare l'esigenza di guardare con più sincerità e responsabilità [all'omosessualità] rifiutando i pregiudizi e superando gli steccati";

possibilmente in una pluralità di prospettive che renda conto della complessità delle varie forme di omosessualità. Da qui l'idea di coinvolgere anche un biologo e uno storico delle religioni.

Nella prefazione Giovanni de Renzis pone una serie di interrogativi sull'evoluzione della psicoanalisi di scuola freudiana; si chiede infatti cosa abbia determinato la presa di distanza dalla posizioni sfumate e problematiche di Freud, che oltre alla proposizione di una bisessualità primitiva, in più circostanze si era opposto a un preciso e univoco inquadramento psicopatologico dell'omosessualità tanto da arrivare a proporre nel 1932, nella "lezione 33", lo slittamento dal piano della patologia a quello dell'antropologia.

Da dove deriva dunque quella tendenza che lo stesso De Renzis classifica come omofobia, che connota le psicoanalisi postfreudiana? Un'omofobia così accentuata da indurre gli analisti presenti nella commissione degli organismi psichiatrici statunitensi, che doveva decidere sul mantenimento o meno dell'omosessualità fra le patologie cliniche, ad essere i più acerrimi oppositori di ogni ipotesi innovativa.

Egli ritiene che ciò possa essere legato alla progressiva istituzionalizzazione della psicoanalisi, via via sfrondata della sua carica rivoluzionaria.
Certo è che gli esiti, almeno nei confronti dell'omosessualità, appaiono ai nostri occhi come l'espressione di un potente dispositivo di controllo e difesa della norma e della normalità.

De Renzis è consapevole del fatto che i saggi qui raccolti non possono definirsi "militanti", bensì come esprimenti posizioni problematiche, spesso contraddittorie

"ma - egli sottolinea - chi vuole cercare di capire, soprattutto quando sa che la possibilità di farlo passa inevitabilmente attraverso la propria particolare soggettività, come peculiarmente accade nel lavoro analitico, deve dar conto, per quanto può, esattamente di questa condizione".

Tanto più che il lavoro degli psicoanalisti si basa per definizione su dati "statisticamente non significativi", con risvolti soggettivi innegabili, su soggetti portatori di una specifica sofferenza: tutti elementi che fanno sì che ci sia ben poco del consueto "lavoro scientifico"; una consapevolezza che faceva dire allo stesso Freud: "i nostri casi clinici si leggono come novelle".

Dopo queste considerazioni De Renzis sottolinea l'esigenza di dare testimonianza di un'attitudine critica ed empatica insieme che (attraverso un'interazione tra i propri referenti teorici e l'immediatezza del proprio vissuto) possa portare ad una comprensione " non prevenuta" nei confronti di diverse modalità esistenziali, e di molteplici forme di relazione fantasticate e realizzate.

E forse proprio qui è lo snodo essenziale della questione: lo sforzo percepito, da parte di me che scrivo, di superare il pregiudizio e il riaffiorare dello stesso in alcuni frangenti, sia pure con sfumature diverse.
Di questo può essere spia, pur nella pregevole prefazione di De Renzis, il riferimento al carattere a suo avviso contraddittorio degli spazi separatisti della comunità omosessuale: egli ipotizza due funzioni: una "difensiva" e l'altra "offensiva" e "con carica esibizionista".

Ora chi lavora da anni, come io che scrivo, nella comunità lesbica e gay, sa quanto sia fondamentale il sostegno comunitario per quel processo di accettazione di sé e di crescita consapevole con cui ciascuna/o si trova a fare i conti per contrastare la pressione esterna fortissima e lo stigma sociale.

È per questo che se dovessi suggerire un termine alternativo, definirei "liberatoria" l'uscita al mondo, finalmente senza paura ed angoscia. Una sorta di rinascita, in cui molte persone si trovano a vivere finalmente senza dover spendere le proprie energie a nascondere ciò che sono.

Per tornare al testo, risulta interessante la lucida disanima di Olga Pozzi sulle tendenze maschiliste freudiane e sulla difficoltà di sfuggire a quell'inquinamento moralistico (cui lo stesso Freud cercava di sottrarsi) che si propone quando si parla di sessualità e in modo particolare di omosessualità.

Così come l'esigenza che ella pone di un approfondimento sul controtransfert con pazienti omosessuali, nel suo caso con le donne, dopo un'esperienza vissuta che lei stessa definisce a rischio di "invischiamento affettivo".

Da parte di una psicoanalista donna mi sarei tuttavia aspettata uno sguardo che tenesse conto dei contributi che il femminismo ha portato anche nell'ambito della psicoanalisi.

Quando infatti ella scrive che è necessario guardare alla pubertà per cercare di comprendere la scelta dell'omosessualità, il pensiero va agli studi di Chasseguet-Smirgel, ripresi da Jessica Benjamin in Legami d'amore. Contro la teoria della madre impotente e castrata esse sottolineano, invece, la percezione, nei primi anni di vita dei bambini di entrambi i sessi, di una madre potentissima e della fondamentale funzione del padre, per permettere il processo di individuazione.
Una sorte di amore identificatorio, che però normalmente è precluso alle bambine, in quanto i padri vedono in esse essenzialmente delle "cosine adorabili". Con conseguenze disastrose sul loro desiderio.

Possiamo però provare a chiederci cosa succede quando i padri permettono alle proprie figlie questa identificazione quando cioè esse possono essere "come il padre".
Con un briciolo d'azzardo a questo punto stabilirei un ponte con le teorie di Judith Butler, in particolare con quanto ella enuncia in Corpi che contano; riprendendo infatti la teoria lacaniana sull'essere e l'avere il fallo ella teorizza il "fallo lesbico" come espressione di un desiderio altro, ponendo l'attenzione sui possibili, molteplici, incroci dell'identificazione fantasmatica.
Del resto è bene tenere presente che gli studi di Butler hanno indotto i membri dell'Associazione Psicoanalitica Americana a rivedere alcune delle loro posizioni sull'omosessualità .

La stessa perplessità, tornando ad Ipotesi gay, mi sorge leggendo il saggio di un'altra donna psicoanalista, Malde Vigneri, sulla bisessualità femminile e quello di Sarantis Thanopulos sull'omosessualità come riparazione della castrazione
pur tenendo presente ciò che egli scrive:

"questo scritto riflette la mia esperienza clinica e le mie letture psicoanalitiche e quindi una conoscenza dell'omosessualità che si restringe in un'area ben delimitata: gli omosessuali, uomini e donne, che a un certo punto della loro vita decidono di intraprendere un percorso psicoanalitico per affrontare i loro conflitti e le loro ansie esistenziali".

La sensazione che si prova nel complesso è quello di uno sfasamento tra la consapevolezza critica e la presentazione di casi, inseriti all'interno di quadri teorici predefiniti e molto rigidi, che rimandano a un codice autoreferenziale.

Sensazione solo in parte mitigata dalla presenza di un saggio sulla biologia - dove non poteva mancare il riferimento alle scimmie bonobo, gli splendidi primati che praticano il sesso come soluzione dei conflitti e in tutte le varianti con predilezione ai rapporti tra femmine - e sulle religioni.

Resta tuttavia il valore di una scelta coraggiosa da parte di chi ha deciso di mettersi in gioco senza trincerarsi dietro la maschera del politically correct.

Nell'introduzione i curatori sottolineano che hanno ritenuto di sottoporre al lettore solo una parte del materiale raccolto come prima occasione di verifica

"con l'intento di una successiva ripresa del discorso in grado di fruire anche dei rimandi e delle riflessioni che - secondo una formula di Bion cara agli psicoanalisti, ma ovviamente non di loro esclusiva pertinenza - solo l'apprendere dall'esperienza può permettere".

Ed è per questo motivo che attendiamo il seguito con grande interesse.

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