Bruce Weber: un linguaggio particolare

19 febbraio 2005, "Babilonia" n. 85, gennaio 1991, in versione abbreviata

"La pubblicità per me è una forma d’espressione artistica del nostro tempo. Guardo la pubblicità come andrei a visitare i musei".

Andy Warhol


Il successo ottenuto da Bruce Weber è un caso eclatante di come i mass media possano creare un vasto consenso intorno alla figura di un artista.

Nell'arco di pochi anni Weber è divenuto un cult photographer lavorando per alcune riviste di moda indi­rizzate principalmente a un pubblico giovanile. Ha uno stile inconfondibile ed inimitabile perché le sue foto sono riuscite a catalizza­re e riproporre in modo del tutto perso­nale le suggestioni e le fantasie della cultura di massa contemporanea.

La sua personalità s’avverte dietro ogni scatto, l’originalità e sensibilità artistica hanno fatto si che le sue foto emergessero qualitativamente nel panorama della foto di Moda degli anni Ottanta.

Già dall’inizio, fu chiaro come Weber andasse cercando d'imporre la propria personalità all'interno di un settore editoriale e commerciale in cui, già da anni, s'erano sclerotizzate regole che la maggior parte dei fotografi erano costretti a rispettare.

Weber sconvolse alcune di queste regole eseguendo ser­vizi fotografici in cui il prodotto da pub­blicizzare non faceva più bella mostra di sé ma diventava uno dei molti ele­menti compositivi dell'immagine.

Il principio che regola le foto di moda è quello per cui al prodotto si deve far su­perare il valore "materiale" per giungere a quello "esemplare".


In Bruce Weber si passa dallo stato di "necessi­tà" a quello di "sogno", principalmente attraverso un uso raffinato dell'immagi­ne del corpo umano e in particolare ma­schile.

Weber riuscì ad incantare gli annoiati e diffidenti consumatori d’immagini di Moda: tutti avvertirono che dietro quelle fotografie c’era un mondo da scoprire e da desiderare.

Una volta riuscito ad affermarsi, Weber pretese dagli editori i lay-out, cioè la possibilità di decidere la scelta e l'impa­ginazione delle proprie fotografie, ri­vendicando così il suo lavoro d'artista e non solo di fabbricante d'immagini com­merciali.

Il suo esempio fece scuola tra i fotografi di Moda e al giorno d'oggi ci si accorge che le migliori pubblicazioni del settore hanno raggiunto un grado di ricercatez­za estetica talmente elevato da ricorda­re il periodo d'oro della foto di moda (dagli anni Venti ai Cinquanta), in cui la rappresentazione dello stile dell'epo­ca era affidato a grandi e già affermati artisti-ritrattisti quali Cecil Beaton, Horst B. Horst, Hoyningen-Huene, Edward Steichen eccetera.

Usciti dagli anni Settanta, negli Ottanta s’avvertì un riflusso verso i piaceri edonistici, verso l’immagine d’evasione della realtà, o meglio: della sublimazione della realtà con la messa in scena dei desideri più profondi e tenaci delle masse.

Il fotografo artista traduce in immagini il pensiero di una generazione e il suo lavoro resta ad emblema dello stile di un epoca, le sue foto non vi­vranno soltanto nel momento fugace in cui si sfoglia una rivista ma saranno apprezzate come opere d'arte da espor­re in gallerie o da raccogliere in pubbli­cazioni.

I meccanismi artistici a cui si affida Weber, sia nelle foto di moda su com­missione che nelle ricerche personali, fanno ricorso a quelle che potrebbero definirsi le doti di un buon pubblicita­rio: immaginazione, istinto e coraggio.

Nelle sue foto c'è sempre qualcosa "die­tro": l'immagine non si consuma con una sola occhiata ma attrae l'osservato­re come un moderno "specchio di Alice" in fondo al quale esiste un mondo che sembra "più vero del vero". Questo po­tere illusionistico, con cui si seduce e si convince al tempo stesso l'osservatore, è dovuto alla particolare "aura" che il fotografo riesce a costruire intorno ai soggetti fotografa­ti.

E’ un gioco di seduzione dell’immaginario collettivo, in cui Arte e Consumo interagiscono facendo leva sulla "cultura psichica" del "villaggio globale" che secondo le teorie di Marshall Mc Luhan caratterizza la società delle comunicazioni di massa.



Modelli


Nelle foto commerciali, Weber rende difficilmente individuabile con una sola occhiata la presenza del prodotto: que­sto risulta immerso nell'atmosfera spe­ciale che avvolge la situazione interpre­tata dai fotomodelli-testimonials. Si cer­ca d'attirare l'attenzione sul mood che coinvolge i corpi; sarà in seguito che nell'osservatore si muoveranno i mecca­nismi narcisistici per la ricerca di quei dettagli che compongono uno stile da prendere come esempio, e da imitare. Tra i dettagli si troverà il prodotto re­clamizzato che è all’origine della foto e contemporaneamente si entrerà in pos­sesso della chiave d'accesso al mondo ideale proposto dai fotografo.

L'effetto che se ne ottiene è di alto coin­volgimento, ed è proprio questo che ren­de speciale l'operato di Weber.

Sia per le foto di moda che per le foto destinate ad usi meno commerciali, Bruce Weber rifiutò l’uso di fotomodelli forniti da agenzie specializzate. Ciò ac­cadde perché Weber vuole rendere i sog­getti delle sue fotografie fisicamente più reali e spontanei, e questo non può certo farlo con modelli di vasta esperienza, che ol­tre ad essere omologati agli stereotipi di "bellezza" delle riviste del settore, riuscivano anche a falsificare le proprie emozioni di fronte alla macchina foto­grafica. Per rendere più credibili le sue foto, Weber ha bisogno di soggetti che abbiano una "fisicità" e allo stesso tempo una lo­ro "personalità".

Era chiaro che questo fotografo stesse abbandonando la foto di Moda tradizionale avvicinandosi alla tradizione fotografica americana del ritrattismo.

Raramente Weber fa ricorso a perso­naggi famosi: quasi sempre crea lui stesso delle celebrità prendendo scono­sciuti come modelli che per la loro par­ticolare bellezza vengono innalzati al ruolo ideale di simboli dell'americanità. Per gli ammiratori di questo fotografo, personaggi sconosciuti come Sasha Mit­chel o Andy Minsker hanno la stessa importanza, o forse maggiore, di Brooke Shields o Matt Dillon, anch'essi immor­talati da Weber in celebri fotografie.

Weber studia a fondo il modello, nel modo in cui parla, in cui si muove e nel tipo di rapporti che intrattiene con la gente anche al di fuori del set.

Per cat­turare l'attimo dello scatto decisivo, in cui si riesce a fissare un gesto o un'espressione ca­ratteristica del modello, Bruce Weber non esita ad impressionare anche venti­cinque rullini alla volta.

È questo che rende memorabile ogni sua foto.

Lo scatto decisivo sarà poi pubblicato e affiancato da didascalie che comunicheranno con brevi cenni, ol­tre al nome del modello alla sua età e al luogo di provenienza, anche la profes­sione e le sue aspirazioni. L' Ideale e al tempo stesso il Reale vengono cosi a con­fondersi in un'unica immagine che ren­de per un attimo esperienza "possibile" il mondo raffigurato.

Weber ha più volte confessato che pre­ferisce fotografare persone giovani e belle perché lui stesso da giovane desi­derava essere come loro: è una dichiara­zione che conferma ancora una volta il narcisismo di cui si nutrono queste im­magini.

Weber ,al pari di Lewis Carroll o Von Gloeden, instaura una consuetudine comunitaria con i suoi modelli e la fotografia diventa un’appendice della vita dell’artista in una mescolanza continua tra sogno e realtà, cioè ,in un’atmosfera d’inesauribile gioco.

I ragazzi ritratti da Bruce Weber "giocano" ad essere seducenti e provocanti, in realtà s’avverte che sono come dei bambini dispettosi che pur rimanendo se stessi si divertono a scherzare narcisisticamente con la propria immagine.



L'America


Altra particolarità delle foto di Bruce Weber è quella di trasmettere l'idea di americanità in tutte le sue espressioni. L'America ha i significati di libertà, gio­ventù e benessere; è l'idea astratta di un luogo dove tutto è possibile e in cui

ogni sogno diventa realtà.

I mass-media dettano istruzioni comportamentali che si rifanno a questo grande mito occiden­tale in cui America è sinonimo di speri­colatezza, genuinità, salute, sport e ci­nema.

Bruce Weber tende ad eliminare la dif­ferenza di ceto sociale nelle sue foto: c'è uguaglianza e universalizzazione di gu­sto in un clima da "eterna giovinezza", lontano dai problemi quotidiani della sopravvivenza.

Il benessere è affiancato dai valori della fratellanza e della soli­darietà di gruppo in un'atmosfera di malinconia e sensuale pausa riflessiva (figg. 1-2).

Rivolgendosi ad un pubblico giovanile di livello benestante ,Weber non si è mai preoccupato d'introdurre tematiche so­ciali: basti pensare che sono rarissime le foto scattate a ragazzi di colore.

Nelle immagini di questo fotografo tutti i problemi quotidiani sono sublimati o dati sempre per scontati, e ciò accade anche per quanto riguarda i ruoli ses­suali.

La figura maschile è sempre pre­ponderante, l'uomo incarna tutti gli ideali americani: è giovane e simpatico, autoironico e infantile, sincero e libero, intelligente e sensibile, disponibile e sexy.

Se l'uomo weberiano è perennemente al centro dell'attenzione, la donna invece è quasi sempre di compendio, è un gadget (figg. 3-4) dell'universo maschile, una figura forte e silenziosa che di volta in volta si pre­senta come pudica o spregiudicata.

Ap­pare chiaro che tale immagine femmini­le, misteriosa, carnale e inquietante, è la proiezione del mondo dei desideri maschili al cui centro c'è un "uomo - sog­getto", che si maschera da "uomo -ogget­to" nella speranza di riconciliare l'origi­nale frattura esistente fra i due sessi.

L'uomo è chiuso infantilmente nel suo narcisismo, deve innanzitutto "piacere a se stesso" per essere sicuro di piacere agli altri, la sua ricerca d'identità si esteriora nell'aperta esibizione di un fi­sico perfetto e sensuale.

In un commercial che Weber ha realiz­zato per la ditta El Charro nel 1987, tutto questo appare esplicitato nelle im­magini in cui alcuni ragazzi seminudi, distesi su un letto, si accarezzano e pic­chiano freneticamente le mani su dei bonghi mentre in sottofondo si sentono voci che dicono: "Le belle ragazze sono tutte pazze perché sono libere, selvagge e possono fare quello che vogliono".

Ne­anche a farlo apposta il titolo della serie di questi commercial era Beauty Bro­thers (figg. 5-8), cioè la fratellanza come quintes­senza dello specchio di Narciso.

Tutto ciò sconfina in un territorio di chiaro significato omosessuale: non a caso Weber subì opposizioni da parte della rivista americana GQ, la quale si rifiutò di pubblicare certe foto perché considerate sconvenienti per una edito­ria rivolta ad un pubblico maschile.

Ciò accadeva nel 1983, anno in cui l'America si vedeva coinvolta in una nevraste­nica campagna moralizzatrice anti­omosessuale a causa della dilagante epidemia di Aids.



Lo stile


Weber non usa "uno" stile, ma più stili contemporaneamente per affascinare e catturare il suo pubblico.

E un atteggia­mento che ricorda quello di un camale­onte nei confronti delle sue prede.

Il camaleontismo si basa sulla ricerca della sorpresa e del rinnovamento con un lavoro che unisce le doti del narratore e del pubblicitario a quelle del fotografo.

Wil­lhelm von Gloeden (1856-1931) è un fo­tografo che per certi versi è curiosamen­te paragonabile a Bruce Weber per quanto riguarda la ricerca di un perso­nale stile eclettico (figg. 9-13).

Von Gloeden, rifacendosi al mito del­l'antica Grecia, aveva come punto di ri­ferimento lo studio d’Accademia di quel­l'epoca.

Weber invece ha come fonte d'i­spirazione l'immagine concreta del mito americano proposta dai mass-media.

Sia Von Gloeden che Weber ricercano un mondo vissuto come mito in lonta­nanza per riproporlo nel presente ,attualizzato, vivo e desiderabile, a portata di mano, o meglio d’illusione, dell’osservatore delle loro fotografie.

In entrambi i fotografi, quindi, c'è la fuga dalla realtà per rifugiarsi in un mondo d'innocenza (figg. 14-18).

Nel caso di Bruce Weber, si trovano in lui i richiami a caratteri sti­listici propri di una tradizione fotografi­ca che parte dagli anni Trenta e arriva sino agli anni Sessanta, è cioè lo stile del cosiddetto periodo "eroico america­no" che storicamente inizia col New Deal e termina con l’assassinio del presidente Kennedy.

I gio­vani ritratti da Weber e da Von Gloeden restano riconoscibili nella loro attuali­tà, poche volte risultano veramente "d'epoca", ed è ciò che dà un effetto straniante (figg. 19-22) alle loro fotografie.

Le opere di questi due autori sfruttano mescolanze di codici eteroge­nei che rendono le foto contemporanea­mente "sublimi" ed "anatomiche".

Bruce Weber giunge alla credibilità at­traverso un "iperrealismo americano", che se da una parte permetto di "idea­lizzare" e fuggire dal reale, dall'altra in­vece approda a delle immagini "analiti­che" e dettagliate dei corpi fotografati nel presente.

Questo è ciò che Roland Barthes, in una introduzione al catalogo di una mostra dedicata a Von Gloeden nel 1978,ha indicato come "eterologie", cioè la mescolanza di Codici a livello della Forma.



Il neobarocco


L'opera di Bruce Weber è da conside­rarsi come piena espressione del gusto "neobarocco" contemporaneo e come ta­le ne presenta tutte le caratteristiche e contraddizioni.

Il semiologo Omar Cala­brese nel suo studio intitolato L'età neo­barocca (edito da Laterza nel 1987) ha localizzato nei campi del sapere, nei mass-media e nei comportamenti quo­tidiani del mondo d'oggi tratti comuni d'instabilità, polidimensionalità e mu­tevolezza che sono in netto contrasto con i canoni dell'ordine e della sistema­ticità che avevano caratterizzato la sce­na socio-culturale degli ultimi decenni.

In campo espressivo, per definire que­sta linea di tendenza contemporanea, è già stato largamente utilizzato il termi­ne postmoderno ,il quale, snaturato dal suo significato originario è divenuto uno slogan per operazioni diversissime tra loro e che perciò porta ad inevitabili equivoci di discorso.

Il "barocco" ha il valore di una determi­nata morfologia in competizione peren­ne con quella tipica del "classico", en­trambi sono insiemi di scelte di "gusto" che possono essere ritrovati ciclicamen­te, pur con esiti diversi, nell'intera sto­ria dell'arte.

Nell'attuale periodo "neobarocco" addi­rittura non si ha più una rigida opposi­zione col classico, e l'instabilità si mani­festa anche nella costante convivenza e dialettica reciproca tra le forme classi­che e barocche.

Il classico e il barocco convivono nell'in­tera produzione weberiana, e anzi, si può affermare che nel gusto della com­posizione d'immagine si sia effettuata un’evoluzione dal predominio del classi­co e quello del barocco. Alle forme stabili, ordinate, regolari, simmetriche ,si vanno sostituendo delle forme instabili, disordinate, irregolari e asimmetriche.

Il classico è divenuto nell’obiettivo di Bruce Weber uno degli elementi di citazione e decorazione delle immagini neobarocche.

Il genere classico che si trova nelle foto di Weber è quello della "idealizzazione del corpo eroico" che deriva dal genere del nudo artistico dell’arte greca.

Ci sono diversi tipi astratti di nudo greco maschile.

C’è l’Apollo, ovvero il narciso dalla forma perfetta.

C’è il nudo "eroico-energetico" nella variante dell’atleta e del guerriero.

C’è il nudo patetico, con la languidezza e l’abbandono.

E c’è infine il nudo estatico, con la trascendenza della passione.

Per quanto riguarda la donna invece il riferimento è a Venere, nelle due varianti terrestre e platonica(i sensi e lo spirito).

Bruce Weber ha saputo riadattare ap­pieno tutte le tipologie di nudo per le sue esigenze artistiche, perché il corpo denudato e offerto all'ammirazione si propone come un oggetto universale che pretende una piena adesione dello sguardo dell'osservatore.

Nella foto scattata da Weber a Sasha Mitchell (figg. 23-24), pubblicata nel numero di di­cembre 1985 sulla rivista italiana Per Lui abbiamo un caso esemplare d'uso del classico all'interno di un contesto barocco. La foto di Sasha Mitchell è co­struita secondo i principi classici del nudo greco eroico-energetico ed estati­co, ma nella pagina a fronte veniamo ad avere un surplus d'informazioni che ci fanno capire che Sasha sta solo giocan­do il ruolo dell’ "Essere mitico".

Le sta­tue dell'antica Grecia non dicono nulla sull’identità del modello e ciò conferisce loro un carattere leggendario.

A fianco della foto di Weber vengono invece illustrati con fotografie-documento gli early years della vita di Sasha. Sasha ha un passato, un'identità e un gusto ben preciso: ciò fa scattare un processo di confronto e identificazione nell'osservatore-fruitore della rivista di Moda.

La foto "mitica" scattata da Weber vive nel presente e serve per sottolineare un attimo di stasi particolare nell’esistenza di Sasha a causa delle informazioni fornite sul passato della vita del modello.

Weber ha eternizzato l’immagine della giovinezza di Sasha congelandola per sempre all’interno di una fotografia (gesto classico), resterà la registrazione di un istante in cui si è riusciti a ritrarre un essere umano all’apogeo del suo "meglio" fisico.

Dietro tutto ciò c'è l'idea dell'inevitabili­tà dello scorrere del tempo e del disfaci­mento fisico a cui sarà sottoposta prima o poi la giovane e innocente bellezza del modello.

Perciò Sasha è un mito che si propone nell'immediato quotidiano del­la pubblicazione della rivista di moda, a lui spettano riconoscimenti e onori per merito della giovinezza di cui è il mo­mentaneo possessore privilegiato.

La bellezza di Sasha, vista come ideale collettivo moderno, sottende un gusto neobarocco per "l’instabilità": si ha la certezza solo nel passato, mentre nel­l'attimo presente regna il dubbio e in­combe la morte.

Il puro stile classico, invece, traduceva "l’ideale" in un 'feticcio" che veicolava la sua durata come mo­dello iconico al di fuori dei limiti del tempo ,proiettandosi nel futuro.

Gli oggetti neobarocchi assumono il carattere di "essere sempre e qui", il presente include tutta la Storia e la "attualizza", all’artista spetta il compito di rinnovare il passato e di metterlo in relazione con aspetti e significati della Cultura contemporanea.

L'artista neobarocco cerca di attualizza­re la Storia più che di rivalutarla (figg. 25-28), è per ciò che nell'età moderna i "documenti" del passato diventano "simulacri" attra­verso la tecnica della "citazione".



La citazione


Nelle opere di Weber la "citazione" vie­ne effettuata con l'introduzione di docu­menti objets trouvés nella veste grafica del lay-out ,oppure all'interno delle foto­grafie stesse.

Le citazioni all'interno delle fotografie (fig. 29) sono difficilmente indi­viduabili anche se il lettore ha un "sa­pere enciclopedico" molto vasto: è sol­tanto quando il fotografo stesso intro­duce "elementi di controllo" a favore del lettore che le citazioni (figg. 30-45) vengono ad esse­re scoperte.

Ciò accade con l'accostamento delle foto di Bruce Weber a quelle foto del passa­to che lo hanno ispirato, oppure per mezzo di scritte esplicative sovrapposte alla foto, il più delle volte dalla mano del fotografo stesso.

Gli objets trouvés, (quali foto sforbiciate, brani di lettere indirizzate a Weber, scontrini fiscali e chissà cos’altro!), interagiscono in strettissimo rapporto con le foto di moda scattate da Bruce Weber e si rafforzano a vicenda di significato.

Tra le foto e gli objets trouvés s'aggiunge l'introduzione di di­segni e pitture, decorative e non, del grafico-artista nuovayorkese Richard Giglio che da anni collabora nell'equipe artistica di Weber.

Il legame tra pittura, fotografia, scrittura e oggetti diventa un curiosissimo collage dall’effetto "diaristico".

Tecnica in passato già adottata dal celebre fotografo di Moda, degli anni Sessanta e Settanta, Peter Beard (figg. 46-48), tra l’altro molto amico di Weber.

La cornice decorativa (figg. 49-54), tecnica grafica già adottata in passato anche da Cecil Beaton e Jean Cocteau, invece di straniare le foto di Moda di Weber ne rafforzano il potere evocativo agli occhi del lettore.

Weber ha adottato questo stile originale per la prima volta con American Album, nel numero di Per Lui del luglio 1985, quasi interamente dedicato al fotografo americano.

Nel "diarismo" di Bruce We­ber lui stesso è il narratore e illustra ciò che è già accaduto, è un testimone che evoca nostalgicamente un passato re­cente, appena vissuto ma che proietta nel presente tutto il suo fascino.

La storia raccontata nel diario weberia­no non ha né inizio né fine; agisce per mezzo di un gioco di continui rimandi, lo scopo è quello di mostrare i diversi istanti della stessa atmosfera ,di cui si può isolare ogni immagine senza che il significato dell'insieme cambi.

C'è in ogni immagine la "sospensione dell'atti­mo" è come se l'osservatore s'intromet­tesse momentaneamente nella vita dei personaggi fotografati.

Nel collage appare ancora una volta ri­confermato il senso della Storia nell'e­poca neobarocca: tutto il passato è rici­clabile (figg. 55-58) nel presente dell’"usa e getta", tutto è revival, tutto può fare look.

Si ha la perdita della totalità a favore del frammento (figg. 67-72), perché l'occhio deve vagare sui particolari e di volta in volta trac­ciare un proprio percorso.

E’ un'unione di "spettacolo" e "avventura" paragona­bile a quello dell'uso dei videogame.

Si richiede all'osservatore di lasciarsi sedurre dal delirio della "metamorfosi" e della "instabilità" per poterne godere l'aspetto giocoso.

La perdita della forma nell’epoca neobarocca, si manifesta nelle sequenze fotografiche di Bruce Weber con salti di motivi, stili e citazioni in cui spetta al lettore riconoscere ciò che è verità e ciò che è menzogna fra i "reperti testuali" impiegati.

All’interno del maxi-collage Weber chiede al lettore di abbandonarsi al gioco delle metamorfosi, lui stesso finisce per rendere inidentificabile la sua presenza d’autore ,mischiando il proprio pensiero scritto con estratti di lettere inviategli da amici o brani provenienti da opere letterarie (figg. 73-74).

E’ come se Weber aves­se previsto la figura del lettore e gli avesse costruito intorno un labirinto (figg. 75), in cui ,per uscirne, si dovesse tener conto della globalità dell’insieme e nello stesso tempo risolvere le ambiguità passo a passo.

Il labirinto è un mito barocco legato al piacere trovato nello "smarrirsi" (perdita di sé) e nel "ritrovarsi" attraverso giochi d'acutezza, d'astuzia, di meravi­glia e d'intreccio.



L'instabilità


Il gusto barocco della "mancanza di for­ma" nei collage di Bruce Weber si mani­festa nella libertà d'interpretazione dei "frammenti" lasciata al giudizio dell'os­servatore.

A volte il lettore ,non riuscendo a formulare che risposte approssimative, cade nel "non so che", cioè in un "sentimento del sublime" che lascia sospeso il soggetto tra "il voler sapere" e il "non poter sapere".

Si riesce a creare un'atmosfe­ra anche attraverso un unico "fram­mento" che mostri parzialmente il sog­getto fotografato: sarà in seguito l'osser­vatore che mediante un procedimento deduttivo ricostruirà mentalmente il quadro generale.

Esemplari sono le foto scattate da We­ber per alcune campagne pubblicitarie in cui i fotomodelli risultano con gran parte del corpo fuori dall'inquadratura (figg. 76-78).

Un'altra figura tipicamente barocca che sembra ossessionare Weber è quella dei fratelli gemelli (figg. 79-86) ,in cui si riafferma l'in­stabilità all'interno di una forma perfet­ta.

I gemelli sono generati da un’ "esteti­ca della ripetizione" che vuole raddop­piato ciò che già di per se stesso era compiuto e meraviglioso.

Il "meraviglioso" barocco consiste appunto nell’effetto di stupore nato dalla rarità e casualità di qualcosa generato in natura che nasconde una misteriosa teologia nella sua forma.

Il riaffermarsi due volte della stessa bellezza la rende più magica e al tempo stesso più concreta, si è al limite estre­mo tra il mito di Narciso e quello della produzione industriale moderna.

Quello dei gemelli è un motivo che risulta im­parentato con il gusto barocco per i "mostri" di natura.

È curioso confrontare l'ossessione del "doppio" in Weber con quello della foto­grafa Diane Arbus (1923-1971) che fu sua amica e maestra.

In entrambi c'è un ef­fetto di stordimento, di spiazzamento che sottolinea questo mistero della na­tura, ma se nella Arbus c'è l'attrazione verso ciò che è mostruosamente folle ,in Weber prevale l'elemento barocco del narcisismo, dello specchio e della carna­lità.



Il virtuosismo del caos


Weber si libera dal classicismo spingen­do le regole alla base di ogni stile sino al loro eccesso (figg. 87-90).

Fa mostra di un tale vir­tuosismo iconico, tematico e narrativo che riesce a tradurre in "preziosismi" anche quelli che tradizionalmente sono considerati "errori" fotografici (fig. 91): il mosso, il sovraesposto e lo sfocato.

Attraverso questi "errori", al limite formale dell'e­stetica fotografica, Weber riesce ad in­trodurre nelle fotografie il senso del rit­mo.

E’ un modo di segnalare fisicamente il "furto della realtà" attraverso il mezzo fotografico.

Ad esempio il "mosso" indi­ca il prolungamento del tempo di ripre­sa quanto la velocità del tempo d'azione del soggetto.

Il soggetto riceve più "veri­tà" mentre la macchina fotografica se­gnala la sua ostinata e ossessiva pre­senza.

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