Tatuare l’anima

Le competenze sociali per definire la diversità

19 marzo 2005

Premessa

Gli omosessuali moderni lottano costantemente per far valere i loro diritti, cercando di rivendicare il loro patrimonio storico e culturale nell'atto di muoversi compattamente verso la giustizia sociale[1], affermando al tempo stesso lo loro differenza. Nel rapporto specifico con la maschilità egemone, il motivo principale della lotta per l'affermazione della propria diversità, potrebbe rintracciarsi nella visione dualistica dell'omosessualità in rapporto con la maschilità da parte tanto degli eterosessuali che degli omosessuali stessi: i primi, nella maggioranza dei casi, vedono particolarmente i gay come una minaccia non tanto del loro potere quanto del territorio della sessualità che sentono di dominio proprio per cui da difendere da ogni tentativo di espropriazione; mentre i secondi, trascurando spesso questa posizione egemone della mascolinità eterosessuale, si concentrano in ragguagli e manifestazioni di potere, anziché studiare a fondo e sovvertire la presunta autorità dei primi. Ciò significa che, nonostante confortanti aperture politiche, religiose e di potere istituzionale ad altri livelli in molti paesi dell'Europa occidentale e dei paesi occidentalizzati, l'identità omosessuale, soprattutto quella maschile, si costruisce ancora attorno a un forte impulso di emarginazione sociale. Questo sentimento non solo viene alimentato da più parti e attraverso l'applicazione di pesanti restrizioni, in alcuni casi è la reazione alle campagne di sensibilizzazione per i diritti GBLT e alle loro manifestazioni sempre più colorate, ai riferimenti pubblici circa cose private, oltre che attraverso il coinvolgimento delle proprie amicizie, famiglie e dei mass media che in più contesti possono amplificare, talvolta distorcendolo, il diritto degli omosessuali ad esistere come "naturale" e non come esigenza di una non ben precisata uniformità sociale. Gli stereotipi e i pregiudizi o tatuaggi simbolici che accomunano i gay e le lesbiche ancora oggi, cioè di coloro che sono spinti a ignorare, reprimere o rimuovere le loro diversità rispetto agli eterosessuali, possono farci riflettere su quanto è pericoloso negare l'importanza di certe differenze sessuali che risiedono molto in profondità; differenze che la politica dei generi - e soprattutto della maschilità eterosessuale - ha concretizzato nel tempo in diverse forme di repressione e riadattamenti dei dispositivi atti alla marchiatura, definiti perlopiù in termini di dominio e subordinazione - trasversalmente ciò che Donaldson (1993) definisce come logica maschilista del progresso universale della società. Si potrebbe certo mantenere un piano discorsivo che tenga conto di questo, come delle costanti di definizione della maschilità in rapporto alle altre identità per costruire o rivedere modelli concettuali e saperi dell'omosessualità maschile, ma piuttosto che addentrarci nelle caliginose visioni scientifiche e di senso comune circa la maschilità residua di alcuni gruppi devianti, incrociando analiticamente l'intendimento di Connell (1991) da una parte o quello di Mosse (1997) dall'altro, nella presente trattazione si disporrà l'attenzione sul pregiudizio impresso attraverso quella specie di procedura figurativa che ha come obiettivo ultimo l'applicazione del marchio alle diversità sessuali.

Questa non è la sede adatta per una delucidazione circa i concetti sociologici di stigma e di pregiudizio e per i quali si rimanda all'ampia e specializzata letteratura in merito, ma è indispensabile indicare come stereotipi omosessuali quei pregiudizi, luoghi comuni e caratteristiche che contraddistinguono ancora oggi la percezione generalizzata degli omosessuali come i devianti dalla normalità in senso fortemente negativo, individui cioè fuori dal controllo sociale e dunque, soprattutto con riferimento ai gay, i rappresentanti visibili della minaccia permanente di un'alternativa, più o meno stabile, alla maschilità egemone eterosessuale. A fronte di ciò, i pregiudizi sono di doppia natura e cioè "positivi", laddove riguardano membri della propria comunità, con i quali ci si identifica per il raggiungimento di scopi comuni; "negativi" nei confronti di tutti coloro con i quali non ci si identifica in termini di ideali o di stili di vita. In quest'ultimo caso la discriminazione, sebbene non necessariamente connessa al pregiudizio, riguarda tutti quei comportamenti agiti al fine di escludere gli estranei o appartenenti ad altre categorie dalle possibilità di vita riservate al proprio gruppo di appartenenza. Senza scendere in particolari che porterebbero a varie considerazioni puramente psicoanalitiche, è degna di attenzione la relazione bilaterale tra pregiudizio e "meccanismo di proiezione" che si attiva quando alcuni maschi eterosessuali discriminano direttamente o indirettamente, con pratiche violente o meno, gli omosessuali perché rendono visibili all'intera società le caratteristiche e le fantasie erotiche che essi offuscano con dovizia per non incorrere nel rifiuto sociale. Il più delle volte questo meccanismo si attiva in corrispondenza reciproca ad un altro, definito "dislocamento" e per il quale sensazioni e atteggiamenti ostili, di rabbia e di odio vengono incanalati e poi agiti su persone che non hanno nulla a che vedere con gli effettivi motivi dei propri disagi.

Stringatamente il nodo della questione è che la vita di ogni individuo, in qualsiasi contesto spaziale e temporale, è regolamentata da regole. Dove manca la conformità formale o informale a certe norme e stili di vita standardizzati si rischia di incorrere in sanzioni, discriminazioni e negazioni sino ad essere etichettati o marchiati a fuoco come devianti.



Pregiudizi e stereotipi omosessuali come strumenti per etichettare la diversità sessuale


La devianza e il controllo sociale rappresentano due pietre miliari nella storia di studi e ricerche sul comportamento umano da parte di sociologi e scienziati sociali del comportamento collettivo, in quanto sono concetti che hanno fra di loro profonde relazioni di complementarietà, laddove non ne abbiano di vera e propria contrarietà. Seppure ad oggi questi concetti fortemente intersecabili non hanno occupato uno spazio solido né nel linguaggio di senso comune né nel linguaggio di altre scienze, è noto che i sociologi si esprimono circa il comportamento deviante quando intendono spiegare un comportamento non conforme alle aspettative di regolarità sperimentate da una certa società[2]. In riferimento a queste aspettative le istituzioni attuano un controllo sociale di riproduzione della cosiddetta "normalità" in termini morali, oltre che politici, giuridici e religiosi; presupponendo, di fatto, che gli individui conoscano le norme che stanno infrangendo e le abbiano distinte da quelle che dovrebbero osservare.

Il più delle volte, come nel caso di questa trattazione, scrivere circa gli intrecci tra relazioni di potere, genere e diversità sessuali, indirizza l'attenzione ai comportamenti devianti individuali e di gruppo; proprio perché le norme sociali sono influenzate notevolmente dalle divisioni di potere e dall'amministrazione dell'autorità da parte delle stesse. Difatti, nell'ottica dei rapporti di potere fra i generi, il comportamento deviante di un individuo è pertinente alle sue azioni pubbliche e private, oltre ad essere storicizzato e correlato in più modi al suo orientamento sessuale, cioè differente nelle varie fasi storiche e nei vari territori di vita. Nella Grecia classica, per esempio, mentre le pratiche di natura omoerotica erano regolamentate in quanto non considerate affatto alla stregua di una qualche stranezza individuale o sociale, "oggi abbiamo la tendenza a pensare che le pratiche sessuali, quando abbiano luogo fra due partner dello stesso sesso, rientrino nel campo di un desiderio dalla struttura particolare"(Foucault, 1996). A ben vedere dunque la diversità sessuale in generale viene tuttora disposta e regolata su due livelli del tutto discrezionali, almeno laddove non risultino essere discriminanti: precisamente, in alcune comunità, le attività omoerotiche sono permesse e controllate, ma non specificate come il marchio visibile di una qualche forma di devianza, perché rappresentano dei fondamenti rituali per l'accesso all'età adulta da parte degli adolescenti, mentre in altre vengono strutturate rappresentazioni specifiche o ruoli dell'omosessualità, come segni visibili della diversità sessuale, particolarmente in relazione ad alcuni momenti di vita quotidiana.

In ogni caso, tralasciando di investigare sul tipo di strategia usata dalle società per gestire le pratiche omoerotiche, quello che ci interessa è l'esistenza di certe peculiarità o tratti di regolamentazione istituzionalizzati assai comuni a tutte esse e che rimandano al controllo stesso di queste pratiche: nella maggioranza dei casi, infatti, queste si modellano attorno e per conto della più ampia condanna sociale della non conformità alle norme in vigore socialmente condivise, creando, dov'è possibile farlo senza scontrarsi con qualche principio liberale, dei veri e propri segnalatori degli atteggiamenti devianti. In questa che sembra a grandi linee una dinamica discorsiva, il comportamento deviante in pratica non rispetta le attese sociali che normalmente circoscrivono la percezione della realtà quotidiana di un determinato ambiente (scuola, lavoro, etc.) e con il quale il deviante ha comunque a che fare, mentre la conseguenza più visibile dell'azione deviante risiede nella perdita di efficacia della norma istituzionalizzata, nel senso che quella determinata regola, sentita come imposta dalla società attraverso pratiche illegittime, non attiene affatto quel soggetto particolare. Quando poi da personale ciò diviene una questione di gruppo e pubblica dopo, il comportamento deviante si scontra con una forma di contrattacco politico e istituzionale diversificata per modi e tempi a dichiarazione dell'obbligo ineluttabile di controllo e rispetto delle norme che ogni struttura sociale deve promulgare e ostentare per esistere.

In tal senso, forse una delle conseguenze più significative delle azioni collettive degli omosessuali è stata la rivendicazione del diritto alla diversità attraverso proposte di nuove definizioni tanto dei rapporti uomo-donna quanto di quello tra eterosessualità e omosessualità, accompagnate spesso a una diversificata ridistribuzione delle risorse di produzione sociale all'interno dei ruoli omosessuali stessi. Di contro la resistenza ideologicamente operativa all'omosessualità imperante e ribelle, può essere interpretata anche come espressione istituzionale del sistema normativo/regolamentare nella politica di distribuzione dei poteri da parte di chi è al comando e sente di avere pieno diritto di rammendare le sdruciture culturali e dottrinali provocate dalla devianza sessuale al tessuto collettivo[3] - specialmente in quei casi per cui l'omosessualità viene additata come una pericolosa minaccia all'istituto familiare e alla riproduzione delle risorse sociali. Ciò implica la proliferazione di svariate forme di riprovazione morale oltre che la ratificazione dei diritti e dei doveri di quel particolare cittadino, sebbene non in un sistema di facile catalogazione normativa.



Stigma e identità devianti: i concetti di base utili alla preparazione teorica dei marchiatori.


La presente trattazione come accennato prima non prevede un approfondimento analitico delle diverse posizioni sociologiche circa la devianza in relazione a quanto scritto fin qui, ritengo tuttavia importante evidenziare che in esse emerge l'intenzione quasi paradigmatica a non sospendere l'impegno conoscitivo dell'azione individuale in quel dato stato di cose ed in quella data occasione storica nelle quali i devianti sono stati oggetti di persecuzioni e violenze di ogni genere. Questo è palese già a una prima analisi delle posizioni teoriche per le quali ambienti e tempi sono anch'essi definiti/ridefiniti in relazione all'atto deviante; ciò al fine di comprendere più adeguatamente il momento in cui e i motivi per i quali si istituisce un procedimento contorto di "etichettamento" o marchiatura come discriminazione vera e propria. Gli studi sociologici riguardanti l'identità omosessuale e la sua visibilità in questi termini e attraverso la teoria dell'etichettamento, particolarmente negli anni Settanta e con Dank (1971), hanno evidenziato come la definizione di sé quale gay/lesbica da parte di un omosessuale sia in realtà una specie di passaggio dalla devianza primaria alla devianza secondaria: in pratica il comportamento deviante, percepito prima e compreso dopo come esito della repressione sociale, della discriminazione e dell'etichettamento, segue l'assunzione di un'identità deviante nella maggioranza dei casi analizzati, altre volte - e secondo attuali intendimenti sociologici - succede viceversa (Saraceno, 2003). Ovviamente, le relazioni tra assunzione di un'identità omosessuale ed esperienze omosessuali, tra visibilità e nascondimento, tra accettazione e contestazione delle norme, appaiono più articolate di quanto non sembrino e risentono dell'impostazione teorica con cui si analizzano i casi, tanto da costringere gli studiosi a più classificazioni degli atti devianti. E questo è tanto più evidente se si considera che i difensori della teoria dell'etichettamento definiscono la devianza nei termini di un modello relazionale agito tra devianti e non devianti (Giddens, 2000), piuttosto che come l'insieme di qualità specifiche di individui o gruppi.

In ogni caso, molti testi e articoli di scienze sociali che trattano del comportamento deviante in relazione all'omosessualità maschile e femminile, lo fanno con paragoni (spesso concettualmente irrisolti o poco chiari) alla condotta criminale, alle svariate forme di malvivenza e all'uso dell'aggressività incontrollata come rimedio per trovare la soluzione ai problemi che emergono nelle relazioni sociali quando si attuano pratiche di contestazione; oppure attraverso riferimenti affatto sereni con l'abuso di droghe, la malattia mentale ed il suicidio. C'è chi invece, come nell'intento di chi scrive, l'interesse ad affrontare la devianza in relazione ai rapporti di potere istituiti all'interno delle categorie di genere. Questo perché si prende atto del fatto che, per un sociologo interessato al deviant behaviour, collegare la devianza solamente ad una specifica personalità ha scarsa rilevanza in termini di descrizione della logica insita nel fenomeno in sé; quando al contrario sarebbe più interessante inquadrarla in un sistema di significati che correla al comportamento deviante distinti ruoli sociali.

La vita quotidiana degli individui regolari, soprattutto in rapporto con le altre identità sessuali, è un insieme strutturato di rappresentazioni in cui viene impersonata una parte assai articolata e nella quale si segue, volente o nolente, un copione (un rituale) decisamente composito - come suggeriscono gli intendimenti di Erving Goffman e di altri studiosi. Qualsiasi rappresentazione di sé, però, per quanto attiene a delle norme precise e riconosciute da tutti non prevede l'inviolabilità di queste regole, che possono così essere infrante, anche se spesso consta di stancanti fatiche farlo - e non soltanto in termini di sanzioni dirette, legittime o illegittime, ma anche negli effetti di indecifrabilità cognitiva del contesto sociale in cui si vive. Le aspettative circa la vita quotidiana di ogni attore sociale, quali per esempio l'acquisto di un paio di scarpe mediante il bancomat, un gesto di gentilezza verso una signora anziana, le pratiche di corteggiamento al chiuso o all'aperto, sono modellate attorno e per mezzo di norme e rituali. Laddove queste regole sono violate si crea uno stato di crisi o disordine di cui la società, a tutti i livelli, ha timore; ma non è solo un riferimento ad ampi contesti di vita, piuttosto si risolve in spazi e tempi anche più ristretti e privati, perché - e come suggerisce acutamente Goffman (1979) - qualsiasi mossa studiatamente impropria può lacerare il velo sottile della realtà immediata. Quando il velo si strappa, cioè quando la formalità dei rapporti regolari viene minacciata si condanna chi ha sbagliato e le punizioni, per chi infrange le direttive dell'interazione, non sono prive di consistenza, collocandosi su un continuum che parte dall'esclusione per giungere all'internamento, se non alla morte in alcuni paesi e nei casi più gravi. A ben vedere ciò comporta il declino inarrestabile della panacea di una società dell'informalità. Credo che Goffman (1956), più di quanto abbiano fatto i teorici dell'etichettamento in generale, indaghi il concetto di devianza con maggiore attenzione ai processi di costruzione dell'identità, proponendo un'analisi circostanziata del rapporto esistente fra ruolo e identità. Egli formalizza, infatti, i tre componenti specifici del ruolo (l'aspetto normativo, l'aspetto tipico, l'aspetto dell'interpretazione) all'interno dell'ambiente di interazione dove il ruolo stesso è agito: in pratica il ruolo si definisce ed organizza all'interno di un sistema di interazione e di attività situata, in modo che l'attore si possa conformare alle aspettative altrui. Questo è quanto accade per esempio negli ambienti lavorativi o a scuola per molti omosessuali; sebbene in questi casi si evidenzino congiuntamente specifiche e poliedriche difficoltà interpretative circa la definizione e la difesa della propria identità, come nel caso di quelle cene tra colleghi in cui è invitato il proprio partner. Goffman suggerisce di risolvere analiticamente questa articolazione con il concetto di distanza dal ruolo, in cui praticamente l'attore mostra agli altri interpreti sulla scena che egli non si sottomette interamente ai doveri concernenti il ruolo di cui gli altri lo hanno investito, per cui nel predente esempio e nella maggior parte dei casi gay (e lesbiche) declinano l'invito a cena o presentano coraggiosamente il proprio partner come un amico(a), piuttosto che come amante e compagno(a) di vita - a meno che l'ambiente lavorativo non sia stato il luogo di coming out della propria omosessualità o che i colleghi presenti alla cena non siano a conoscenza della natura di quel rapporto. In ogni caso il tutto deve procedere senza contraccolpi, perché se lo scarto fra ruoli ascritti o volutamente interpretati e identità viene compreso dagli altri attori impegnati nella rappresentazione come una particolare forma di inosservanza degli standard sociali che disciplinano il ruolo, il comportamento dell'attore che non osserva le regole viene stigmatizzato come deviante, evidenziando così il carattere specifico della trasgressione: cioè il riferimento diretto a norme che regolano da una parte l'ordine costituito e dall'altra lo status sociale, ciò che identifica agli occhi di tutti l'attore. Concretamente lo stigma è una sorta di abito culturale, alcune volte associato anche a una qualità fisica come il colore della pelle o l'handicap, la cui attenta considerazione solleva un'incertezza di collocazione in categorie stabilite circa l'identità dell'attore a cui è riferito quel particolare carattere. Chi è stigmatizzato dal canto suo prova a gestire questa situazione spesso assai scomoda adattando criteri specifici di controllo dell'informazione sociale circa il suo Self (altro concetto caro a Goffman) o addirittura applicando vere e proprie tattiche di nascondimento della propria identità onde incorrere in sanzioni e discriminazioni di varia entità - in parte questo spiega i motivi per i quali gli omosessuali moderni dispongono la loro visibilità su un continuum multisfaccettato di rappresentazioni delle proprie identità.

Orbene, viene spontaneo chiedersi a questo punto: quando una qualità individuale o un attributo del comportamento del deviante viene precisato dagli altri regolari come uno stigma o un marchio, dunque come la mise del soggetto da tatuare? Secondo Goffman, qualunque peculiarità individuale può trasformarsi in uno stigma nell'interazione faccia a faccia (e poi generalizzato a contesti più ampi), in quanto è la modalità dei rapporti sociali che riguardano il soggetto a delimitare l'insorgenza della devianza, piuttosto che possedere lo stigma stesso; in questo senso, il deviante o tatuato non è altro che l'attore avente insufficienti opportunità di accertare le informazioni che lo discreditano agli altri ed è per questo relegato in ambienti sociali poco favorevoli alla cura dei propri interessi. A meno che - come in effetti accade dal '69 con la Rivolta di Stonewall - non si creino delle subculture che contengano spazi e tempi atti a garantire una proficua amministrazione della propria identità attraverso l'associazionismo in circoli politici e culturali o in locali, pub e discoteche per omosessuali che, raccogliendo appieno su di loro lo stigma, il tatuaggio della diversità da relegare il più possibile nell'altrove, gestiscono in comunità separate le loro diverse identità. In tutti questi casi di appropriazione diretta o indiretta, cosciente o meno dei caratteri negativi insiti nella definizione di senso comune della diversità, l'omosessualità può essere vista come uno stigma marchiato a fuoco prima nei modi di pensare e poi sulla pelle di molti individui. In quest'ottica forse l'aspetto peculiare delle attività inerenti i collettivi omosessuali e dei gay più che delle lesbiche, comunque concepite da uno stigma, è sicuramente il declino dell'immagine positivista di una maschilità informale all'interno di una società ordinariamente regolare, anche nei casi più esasperati in cui l'omosessualità viene additata come un'inquietante sfida alle norme che regolamentano la sessualità, piuttosto che relativamente alla gestione del potere sui generi o sulle maschilità subordinate.



La natura del rapporto tra le parti e i primi segnali della rimozione del "tatuaggio omosessuale"


In questi ultimi anni il comportamento deviante degli omosessuali, soprattutto quando manifestato attraverso azioni collettive come il Gay Pride o manifestazioni simili, è mutato da forme esemplari di nascondimento a dispositivi di difesa assai evidenti, garantendo la possibilità agli stessi di destreggiarsi tra le numerose e contrastanti reazioni sociali alla loro visibilità. E questo perché, come fa notare acutamente Lemert (1967), una parte significativa della definizione sociale dei tatuati non trova correlazione diretta, quando manca del tutto, nel suo comportamento effettivo. Particolare è la negazione istituzionale in moltissimi paesi del diritto ad unirsi civilmente come coppie di fatto, proprio perché gli omosessuali sono considerati atipici rispetto all'istituto matrimoniale formato da un uomo e da una donna eterosessuali e che vede nella famiglia, eterosessuale appunto, l'unica garanzia della continuità sociale nell'atto della procreazione. Tuttavia questa è una visione contorta dei fatti che, per quanto difficile da spiegare in queste pagine, dipende dall'intrecciarsi in più punti delle proposte politiche e intellettuali degli omosessuali - in genere poco chiare - con un'abbondante reazione sociale alla loro visibilità e, dunque, dalla relativa penalizzazione degli atti e degli stili di vita degli stessi. Ad alimentare questa visione sfocata dei fatti vi è poi l'insieme di pregiudizi che potremmo definire di controparte a quelli gay e fortemente radicati riguardo la figura del maschio eterosessuale: il "trionfatore", il "dominatore dei sensi" o il "maliardo", tanto per citarne alcuni che rappresentano la percezione generalizzata di un'identità saldamente incastrata nei ruoli di vita quotidiana e ancorata fermamente al potere.

In ogni caso è proprio nei rapporti di potere tra i generi e le altre identità sessuali che si misura sostanzialmente quel processo di falsa imputazione che caratterizza i dispositivi di reazione alla devianza come fosse la cassetta degli attrezzi del controllo sociale. In particolare, fra tutte queste pratiche (o attrezzi), c'è l'uso manipolativo della diversità da parte dei gruppi dominanti della maschilità eterosessuale. Accade, infatti, che quando gli omosessuali rifiutano di farsi tatuare o cercano più alternative per cancellare il marchio della disapprovazione, oltrepassando così il limite della sopportazione eterosessuale, la critica dei tatuati alla supremazia viene respinta attaccandone proprio la differenza; il ché provoca vertigine di genere e violenza. Queste resistenze, soprattutto relativamente ai gay piuttosto che alle lesbiche, sono distribuite in modo irregolare nel tempo e nello spazio, facendo insorgere talvolta gruppi e individui in modo definitivo, evidenziando pubblicamente certi tipi di caratteri - come nel caso di quei gay che si appropriano dello stereotipo virile del commilitone, filtrandolo ed esponendolo alla società attraverso film erotici, manifestazioni e quant'altro, con desideri sessuali di tutt'altra specie rispetto a quelli ascritti dall'immaginario collettivo a un ruolo specifico creduto aspro e spavaldo, prettamente eterosessuale. Nondimeno il carattere specifico del potere è di essere repressivo e di soffocare con particolare attenzione le energie inutili, le intensità dei piaceri e dei comportamenti irregolari, soprattutto quelli funzionali alla sua intima logica di mantenimento e "del principio di isomorfismo fra relazione sessuale e rapporto sociale"(Foucault, 1996).

Viviamo in una società in cui essere visibili come diversi, come devianti, marchiati o semplicemente tatuati, è faticoso tanto nei tempi che negli spazi di vita e questo è assai evidente fra quegli omosessuali che cercano costantemente di gestire lo stigma ad essi associato a scuola, a lavoro, in famiglia, attraverso i media e i rapporti sociali in generale. Come se non bastasse, questo contrassegno si propone variamente a seconda che sia associato all'omofobia, piuttosto che all'eterosessismo quali ambiti di ostilità sperimentati tanto dai gay che dalle lesbiche[4] e nonostante le varie forme di contrattacco e i maggiori consensi sociali, soprattutto laddove non siano evidenti dei mutamenti sostanziali nei loro confronti. Tra questi mutamenti credo che il più interessante sia l'uso da parte delle nuove generazioni, di un "vocabolario relativamente nuovo da utilizzare rispetto all'omosessualità che prevede accettazione e presa di distanza riguardo alle discriminazioni subite da gay e lesbiche"(Saraceno, 2003). Si aggiunga che all'esperienza circa questo vocabolario, si correla con fatica la re-interpretazione costante dei limiti di accettazione personale da parte degli omosessuali stessi, che tendenzialmente differenziano la propria rappresentazione di sé privata rispetto alla pubblica in relazione alle considerazioni di legittimità fatte proprio attraverso questo vocabolario.



Osservazioni conclusive


Se volessimo tracciare una certa continuità su quanto sinora osservato relativamente a stereotipi, devianza, controllo sociale e rapporti tra eterosessualità, maschilità egemone e omosessualità, potremmo affermare che le identità sessuali sono state e sono tuttora il correlato di procedure precise di potere, veri e propri dispositivi di marchiatura e che gli omosessuali (i tatuati) rivendicano oggi più che mai altri poteri che quelli ad essi ascritti come fossero impressionati col fuoco sulla pelle - in aggiunta cioè a quelli specifici dettati dall'etica cattolica e dalle nuove forme di politica sociale dei generi. A motivo di recenti sviluppi - soprattutto in paesi Europei un tempo più dichiaratamente cattolici (Francia e Spagna per esempio)- questo è certamente più possibile oggi di quanto non lo fosse in passato, proprio in virtù del fatto che l'omosessualità in sé non desta le preoccupazioni eccessive di qualche decennio addietro. Collocato in articolati e circoscritti schemi interpretativi attraverso l'uso di pratiche certamente più strategiche della tatuazione, infatti, il controllo sociale degli omosessuali opera servendosi di strumenti nuovi ottenuti proprio dalle evoluzioni-inversioni politiche circa la riproduzione delle risorse sociali e dall'uso di un nuovo vocabolario. La stessa logica d'impiego di questi recenti attrezzi li distingue da quelli strumentali del passato che operavano sull'omosessualità in modo violento e decisivo perché considerata alla stregua di un vizio o di una malattia e, comunque, ritenuta priva della legittimità giuridica di quei diritti che ne potessero avallare la visibilità. Certo, alcuni potrebbero obiettare sottolineando che il silenzio e il segreto in generale proteggono il potere e danno basi solide ai suoi divieti, ma è pur vero che esso ha allentato nel tempo i suoi appigli, progettando tolleranze ombrose. Così nel tempo e grazie al contributo di numerosi studi sociali circa la figura dell'omosessuale moderno, sembra che il sistema dei rapporti di potere tra le categorie socio-sessuali abbia mollato la presa, quantunque in realtà la sua logica ha cercato altrove dei bersagli funzionali al mantenimento del controllo sociale e politico della riproduzione sessuale delle identità. In definitiva ciò ha permesso di modificare o creare nuovi strumenti di tatuazione della diversità, impressionando tatuaggi certamente più sofisticati e velati alla sensibilità pubblica, ma comunque dei marchi di riconoscimento ad hoc di corpi e identità la cui diversità si presenta oramai abbondantemente manipolata e stravolta dalla riflessione (pseudo)psicologica ed estetica, mediatica o speculativa in generale di questi ultimi anni.

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