E questo pomeriggio è passato l'amore...

28 marzo 2005, "Babilonia", maggio 2004, pp. 44-49, in versione notevolmente diversa, e in versione ridotta su www.gay.it – History, 27/09/2004 e su Giòconda – Arcigay Reggio Emilia, 05/06/2004

Molti lettori conoscono già Kostantinos Kavafis e la sua poesia. Desidero però soffermarmi su un aspetto specifico di alcune "liriche omosessuali" del grande poeta alessandrino, bilingue e dalla cittadinanza inglese. Poco importa se i visi, i luoghi e gli incontri siano un ricordo reale o solo frutto di poetica immaginazione. In ogni caso alcune situazioni descritte da Kavafis rispecchiano un ben noto aspetto del gay lifestyle d'ogni epoca, pertanto questi versi sono d'attualità anche un secolo dopo esser stati scritti. Nella splendida decadenza caratteristica della poesia kavafiana, l'autore mise a frutto la sua profonda conoscenza dell'antichità, fondamento della sua produzione, in una continua riflessione tra presente e passato.


Kavafis (1863-1933) nacque e morì ad Alessandria d'Egitto.

Era uno dei centomila greci che, insieme a ebrei e copti, italiani e armeni, abitavano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento in questa città cosmopolita mediterranea.

Le diverse comunità etniche vi erano giunte attratte dalle innovazioni promosse dal khedivé Mehmet Ali (viceré d'Egitto dal 1805 al 1849), che aveva una certa preferenza per i greci. I genitori provenivano dalla comunità greca di Istanbul.

Da Alessandria, Kavafis si mosse poco: evidentemente l'ambiente culturale della città lo soddisfaceva. Alessandria era una città vitale e ricca: con i suoi fiorenti commerci del cotone e del legname, una borsa attiva, i club di tennis e di polo, le ville europee circondate da giardini e i grandi alberghi in cui si davano feste, balli e cene in cui tutti parlavano disinvoltamente almeno cinque lingue.

Appariva così la città, oggi snaturata dal nazionalismo arabo di stampo nasseriano. Ma cent'anni fa era anche la città della memoria, del condottiero Alessandro, che la fondò nel 332 a.C. senza mai vederla. Era stata la città ospite dei filosofi stoici e dei pensatori cristiani, dove si discuteva dei misteri della mistica ebraica e dei segreti gnostici; aveva goduto dello splendore dei Tolomei, dell'oro e degli incensi della liturgia bizantina; aveva ascoltato il canto d'addio di Cleopatra e Antonio; in essa Kavafis si sentiva cittadino del mondo.


Le permanenze fuori d'Egitto di Kavafis furono poche: in Inghilterra per due anni, e un viaggio turistico a Parigi con la famiglia, tre deprimenti viaggi ad Atene, lunghe visite ai nonni a Istanbul.

La cultura polimorfica di Kavafis forse ha origine dalla consapevolezza che era la storia greca, oltre alla lingua e alla religione, a unire le comunità elleniche della diaspora. Egli infatti frequentava quasi unicamente greci in Inghilterra e a Istanbul, era sempre in un ambiente greco anche lontano da Alessandria e cercava di non allontanarsi dal mondo originario. Riconosceva alla comune Storia il valore di legame che univa tutti i greci anche fuori della madrepatria.

Fu ad Istanbul che il giovane Kavafis conobbe il sesso. Ebbe contatti con giovani donne e con ragazzi; probabilmente fu con un cugino stambuliota che iniziò la propria vita omosessuale attiva.

Tornando a casa, Kavafis si accorse che la città natale non era un crogiolo di culture, ma aveva una sua peculiare cultura risultante dal crogiolo di varie culture, in cui quella arabo-islamica era percepita come estranea. Molte specificità culturali erano infatti presenti solo ad Alessandria e non ad Atene, non a Londra o Istanbul.


Durante trent'anni, Kavafis fu impiegato al ministero egiziano dei Lavori Pubblici (nel settore dell'irrigazione), attività che lo lasciava annoiato e frustrato. Alcune liriche rendono questo senso di noia:

Monotonia

Il monotono giorno da un monotono

identico giorno è seguito. Cose identiche

si faranno e rifaranno nuovamente -

momenti identici incombono e dileguano.

Il mese passa che porta un altro mese.

(...)

Finisce che il domani non sembra più un domani.


I muri

Senza riguardo senza pietà senza pudore

mi drizzarono contro grossi muri.

(...)

Mi alzavano muri, e non vi feci caso.

Mai un rumore una voce, però, di muratori.

Murato fuori del mondo e non vi feci caso.

Peraltro sappiamo che il suo comportamento in ufficio e verso i colleghi era improntato a una forse inconscia sensazione di superiorità, e indulgeva al lassismo tipico di una classe sociale europea costretta a servire in un'amministrazione levantina, i cui ritmi erano blandi e mai rigidi. Pur risultando un impiegato coscienzioso e utile, Kavafis si permetteva molte libertà sul posto di lavoro, impensabili al giorno d'oggi. La sua reale vocazione erano la storia, specialmente bizantina, e la poesia. Scrisse: Quante volte durante il lavoro mi viene un'idea bella, (...) certi versi improvvisi (...) e sono costretto a trascurarli, perché l'ufficio non ammette rinvii. (...)Quando poi torno a casa, (...) cerco di richiamarli alla mente, ma invano, ormai.


Era consapevole della propria capacità artistica e non voleva essere giudicato dai soli aspetti esteriori ma da tutta la sua attività.

Cose nascoste:

Dalle cose che feci o dissi

non cerchino d'indovinare chi fui.

C'era un impedimento a trasformare

il mio modo di vivere e di agire...

Resosi conto della realtà delle proprie origini e lungi dall'essere intimorito dal complesso melting pot in cui viveva, il poeta reagì trasformandolo in una delle principali fonti d'ispirazione per i propri versi. Appaiono così fusi in molte poesie erotiche la sensualità e alcuni dettagli della città. Una città con una dozzina di religioni, cinque razze e cinque lingue, e anche cinque sessi che solo il peculiare greco quasi demotico delle liriche di Kavafis era in grado di distinguere.


Apprese l'inglese prima del greco e dovette decidere in quale greco scrivere, se in katharevusa, la lingua letteraria purificata o in dimotika, quella popolare e corrente.

Egli invece scelse di coniare un idioma a proprio uso, succinto e magistrale. Il premio Nobel Giorgio Seferis disse di Kavafis: egli non esiste al di fuori delle sue poesie.

Non scriveva di getto; lavorava su più versioni allo stesso tempo. Sempre su fogli sciolti. Dopo anni decideva quale fosse la versione finale, dopo altri tagli e aggiunte: un mosaico composto più volte con le stesse tessere.

Il tempo non aveva molta importanza e ciò che era accaduto tempo prima si poteva confondere con il momento presente.


L'opera di Kavafis ruota attorno a due grandi principali temi, la gloriosa storia greca e l'erotismo maschile. Egli riuscì a restituire vita e spessore a personaggi delle civiltà antiche, dall'epoca ellenistica a quella bizantina. Ma la sua inclinazione sessuale spesso prendeva il sopravvento e sembra quasi che si fermasse solo per fissare in versi il ricordo dell'attimo vissuto e goduto.


Passando all'analisi dell'aspetto più sensuale e immediato dell'erotismo omosessuale nei versi di Kavafis, possiamo tracciare un percorso più specifico. Alcuni versi evidenziano il gusto del poeta per l'avventura sessuale, l'attrazione verso la sola bellezza del corpo maschile, verso l'istinto da seguire e l'appartarsi con un giovane senza averlo quasi conosciuto.


La vetrina del tabaccaio:

Stavano accanto alla vetrina illuminata

di un tabaccaio, insieme a molti altri.

Per caso s'incontrarono gli sguardi,

e l'illecito desiderio della carne

espressero timidi ed esitanti.

Poi, pochi passi inquieti sul marciapiede

- un sorriso, un lieve cenno d'intesa.

E dopo, la vettura chiusa...

L'accostamento sensuale dei due corpi;

le mani unite, le labbra unite.

S'informava della qualità:

(...)

Andava a zonzo per strada

(...)

Ma passando davanti a un negozietto

(...)

vide un viso là dentro, una figura

che lo indussero a entrare, col pretesto

di vedere fazzoletti colorati.

S'informava della qualità dei fazzoletti

e del loro prezzo, con la voce rotta

e quasi spenta per il desiderio.

E sullo stesso tono le risposte:

distratte, a bassa voce,

con un consenso sottinteso.

Continuavano a parlare della merce - ma

con un solo scopo: di toccarsi le mani

sopra i fazzoletti; avvicinare

come per caso labbra, visi;

un contatto istantaneo delle membra.

Furtivamente e in fretta, cosicché il padrone

che stava in fondo non se ne accorgesse.

Sulla soglia del caffè:

Qualcosa detta accanto a me rivolse

la mia attenzione alla soglia del caffè.

E lo vidi il bel corpo, che pareva

modellato da Amore con la sua perizia:

plasmate con gioia le perfette membra,

elevata e scolpita la statura,

effigiato con commozione il viso

e, lasciato dal tocco delle mani,

un non so che sulla fronte, negli occhi, sulle labbra.

Ad Alessandria era esistita una società tollerante e permissiva, ben distinta dal resto dell'Egitto. La situazione cambiò con l'arrivo degli inglesi (1882) e della loro prurigine. A causa dei pregiudizi, Kavafis preferiva celare le proprie tendenze omosessuali e solo di notte frequentava i bordelli del quartiere Attarine o le birrerie dove i soldati dell'occupazione inglese creavano un altro bazar dell'amore (il quartiere che vive solo la notte a Seleucia). Ma anche ogni viuzza, le equivoche taverne del porto, i crepuscoli orgiastici di San Stefano, il mercato orientale dei profumi... erano luoghi dove fare incontri.


Di sera:

(...)

Poi per mutare pensieri,

sono uscito malinconicamente sul balcone,

per guardare almeno

un po' di quest'amata città,

un po' di traffico nei negozi e nella via.


Esisteva una maison de passe (ormai demolita da tempo) dove ragazzi e ragazze, in genere greci, guadagnavano qualche tallero in più, rispetto alla misera paga per la quale dall'Europa erano sbarcati sulle coste africane.

Kavafis aveva una stanza fissa in questa casa.


E su quei letti mi distesi e giacqui:

Quando entrai nella casa del piacere

non restai nella sala ove festeggiano

quasi ordinatamente amori ammessi.

Andai nelle camere segrete

e su quei letti mi distesi e giacqui.

Andai nelle camere segrete

che si ha vergogna solo a nominarle.

Ma non per me vergogna - perché allora

che artefice sarei?

Meglio una vita ascetica: più consona

alla poesia, molto più consona

che nella sala comune del tripudio.


Sulle scale:

Scendevo quella maledetta scala;

tu entravi dalla porta; per un attimo

vidi il tuo viso ignoto e mi vedesti.

Poi per non esser rivisto, mi nascosi, e tu

passasti in fretta, nascondendoti il viso,

e t'infilasti in quella maledetta casa

dove non avresti trovato il piacere, come anch'io del resto...


Molti anni dopo ancora se ne ricordava, rimpiangendo la perduta giovinezza:


Sotto la casa:

Ieri, passeggiando per un quartiere

fuori mano, passai sotto la casa

dove giovanissimo entravo.

Là il mio corpo s'era preso Amore

con la sua forza prodigiosa.

(...)


In gran parte, gli incontri omosessuali nelle poesie di Kavafis erano furtivi, mercenari, e lasciavano solo presagire un inizio di innamoramento poi lasciato cadere. È difficile stabilire se nella propria vita reale il poeta prediligesse i contatti sfuggenti e gli amori inappagati, ma senza dubbio era questo particolare aspetto ad affascinarlo di più e a dargli spunti di lirica.


L'origine:

Il loro piacere illecito è consumato.

Si son levati dal letto

e si vestono in fretta, silenziosi.

Escono separati e furtivi dalla casa;

e camminano inquieti per la via

quasi temendo che qualcosa in loro

riveli su che letto giacquero poco fa...


Mezz'ora:

Non t'ebbi e non t'avrò,

forse mai. Due parole, un contatto

come nel bar due giorni fa, nient'altro.

È - non dico - dolore. Pure noi dell'Arte

in tensione di mente, e certo solo

per poco, a volte creiamo un piacere

che quasi di materia pare.

Sin da molto giovane si fece sedurre dalle lusinghe dell'eros e frequentava le case di piacere. Ma doveva avvertire un certo malessere, se a volte criticava la società puritana del suo tempo che lo obbligava a non svelare dove si recasse in quei giri serali. Cedeva allora alla viltà del nascondersi, come egli ammise in una lettera a un amante.


Giorni del 1896:

(...)

troppo conformista era la società

(...)

S'era ridotto in modo che se eri visto spesso

in compagnia con lui addio reputazione

(...)

Della reputazione? Ma troppo conformista

era la società. Da sciocca giudicava.


Solo in età più tarda ebbe il coraggio di ammettere che la vita sordida e scellerata gli era stata prodiga di ispirazione lirica e anch'essa aveva i suoi lati poetici.


Comprensione:

(...)

Quanti rimorsi inutili, superflui, (...)

Ma il senso mi sfuggiva allora. (...)

si formavano intenti di poesia. (...)

Perciò così precari i miei rimorsi!


Kavafis era spesso in cerca di piacere e di sesso. Amava cantare la bellezza del corpo maschile, sapeva vedere il lato affascinante di ogni ragazzo. Sono immagini che si ripetono, malinconiche. Il corpo efebico nudo fra le lenzuola, l'attesa interminabile davanti una porta che non si apre, una voce o un rumore di passi.

Kavafis conosceva la Storia, le vicende degli imperatori e delle guerre, sapeva che tutto scorre... (panta rei).

Non poteva quindi fare altro che cogliere ciò che il suo breve tempo gli donava: la voluttà della carne, il contatto fugace di una mano, due occhi inquieti rapiti in uno specchio, la luce d'una lampada, un canto notturno lontano.


Assai di rado:

(...)

Le loro menti sane e sensuali,

le loro carni armoniose e sode,

fa vibrare il suo ideale di bellezza.


Lo specchio nell'ingresso:

La casa lussuosa aveva nell'ingresso

un grande specchio molto antico;

comprato almeno ottant'anni fa.

Un ragazzo bellissimo, lavorante di un sarto

(la domenica atleta dilettante),

(...)

ora gioiva il vecchio specchio

fiero di aver accolto in sé

per pochi istanti la bellezza perfetta.


La malattia di Clito:

Clito, un affascinante

ragazzo - ventitré anni,

squisita educazione, e una rara cultura

greca - sta molto male...


Guardai così fissa:

Guardai così fissa la bellezza

che se n'è riempito lo sguardo.

Linee del corpo. Labbra rosse. Membra sensuali.

Capelli come da statue greche presi:

anche se spettinati sempre belli,

caduti un po' sopra le fronti bianche.

Volti d'amore, come li voleva

la mia poesia... le notti della mia giovinezza,

nelle mie notti incontrati di nascosto...


A teatro:

Stanco di guardare la scena

levai lo sguardo ai palchi.

E dentro un palco vidi te,

la tua bellezza strana, la tua corrotta gioventù.

(...) e si eccitarono i pensieri e il corpo...


È venuto per leggere:

(...)

Sul divano

sonnecchia. È completamente dedito ai libri -

ma ha ventitré anni, è molto bello,

e oggi pomeriggio è passato l'amore

sulla sua carne perfetta, sulle labbra.

Sulla sua carne pregna di bellezza

è passata la febbre dell'amore;

senza goffi pudori sul tipo di piacere...


Come visto, Kavafis era ossessionato dal corpo maschile ma provava anche tenerezza verso i giovani diseredati che affollavano le case notturne e le strade in cerca di facili guadagni e che invariabilmente destavano il suo eros.


Così:

In questa foto oscena, venduta di nascosto

...com'è finito in questa foto pornografica

un viso di sogno come questo?

Come sei finito qui tu?

Chissà che vita volgare e sputtanata fai;

e che orribile ambiente...

che anima abietta sarà mai la tua.

Malgrado ciò, per me più che mai resti

il bel viso di sogno, la figura

plasmata per il piacere greco, dedicata ad esso -

così resti per me e ti dicono i miei versi.


I sentimenti costituiscono il punto più delicato del suo universo. Ma spesso sembrano sopraffatti dalla carne, dal gusto morboso per l'estetica del corpo maschile. Quindi anche sgomento e paura del tempo che guasta la bellezza. Desideri: A bei corpi di morti scampati alla vecchiaia, chiusi tra il pianto in mausolei preziosi...

Grigi:

(...)

S'è ancor vivo, si saranno imbruttiti gli occhi grigi;

si sarà sciupato il bel viso...


Rimpianto e nostalgia sono due dei sentimenti predominanti nella lirica erotica kavafiana. Qualsiasi incontro egli avesse deciso di raccontare o di immaginare, finisce sempre in un nulla di concreto, ma rimangono solo tenui ricordi, qualche fotografia ingiallita, irripetibili sensazioni fisiche verso cui provava un'acuta nostalgia.

Prima che li mutasse il tempo:

Il loro separarsi assai li rattristò.

(...)

prima che si estinguesse

il sentimento, prima che li mutasse il Tempo.

Per sempre resterà ognun dei due per l'altro

il bel ragazzo ch'era a ventiquattro anni.

Torna:

Torna sovente e prendimi,

torna e prendimi amata sensazione -

quando il ricordo del corpo si ridesta

e trascorre nel sangue il desiderio antico;

quando labbra e pelle rammentano,

e alle mani pare di nuovo di toccare.

Torna sovente e prendimi, la notte,

quando labbra e pelle rammentano...


A Kavafis pesava non poco il senso di inadeguatezza sociale dei suoi comportamenti ma era convinto che assecondasse solo il proprio istinto naturale e dovesse accettare l'ineluttabilità delle pulsioni sessuali.

Nella via:

(...)

ipnotizzato ancora dal piacere illegittimo,

dal piacere illegittimo provato, così intenso.


Sulle scale:

(...)

Ma ci nascondemmo, tutt'e due sconvolti.

Giura:

Giura ogni tanto di ricominciare una vita migliore.

Ma quando giunge la notte con i suoi consigli,

con i suoi compromessi e coi suoi pegni,

quando giunge la notte con il suo potere

del corpo che desidera e reclama, fa ritorno,

smarrito, a quel suo predestinato piacere.

Amava soffermarsi sul ricordo e fissarlo su uno dei suoi soliti foglietti volanti, magari per tornarci a distanza di anni e modificarlo.

Il compito di un Poeta era quello di comunicare il più fedelmente una sensazione, di catturarla appena possibile e di eternarla.


Quando si destano:

Tenta di conservarle, poeta -

per quanto poche siano quelle che puoi fermare -

le tue visioni erotiche.

Insinuale seminascoste nei tuoi versi.

Sfòrzati di tenerle vive, poeta,

quando ti si destano in mente

di notte o nel bagliore del meriggio.


L'origine:

(...)

Ma per la vita del poeta che guadagno.

Domani, doman l'altro o fra anni scriverà

i versi forti ch'ebbero origine da qui.


Per Kavafis l'eros è occasione di Arte. Per lui la continua tensione verso le sensazioni e il tentativo di trasferirle verso un altro codice è Arte.

L'eternazione delle sue nostalgie di sessantenne per i ricordi dei ragazzi amati trenta o quaranta anni prima è un sistema per lasciarci la sua eredità morale, che la sua società coeva non sarebbe stata in grado di apprezzare.

Cose nascoste:

(...) Più avanti - in una società perfetta -

apparirà di certo qualcun altro

che mi somigli e come me sia libero.

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